C’è anche un affiliato al clan dei Casalesi nella maxi inchiesta della Guardia di Finanza di Perugia che ha portato all’esecuzione di 10 misure cautelari – tra imprenditori e professionisti – ed al sequestro di 1 milione di euro. Stando a quanto riferiscono gli inquirenti, l’uomo già condannato per associazione di stampo mafioso, avrebbe percepito senza averne diritto i bonus Covid con la complicità di un consulente del lavoro calabrese, quest’ultimo poi finito in carcere.
Bonus Covid ad affiliato al clan dei Casalesi, maxi inchiesta a Perugia
Le indagini, svolte dal Nucleo di Polizia Economico – Finanziaria e dal Servizio Centrale di Investigazione Sulla Criminalità Organizzata, hanno portato la Procura perugina a contestare agli indagati i reati di trasferimento fraudolento di valori, emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, autoriciclaggio, ricettazione, indebita percezione di erogazioni pubbliche, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Nello specifico, l’attività investigativa – avviata nel 2020 e condotte dai finanzieri del Gruppo d’Investigazione sulla Criminalità Organizzata di Perugia, con il supporto del S.C.I.C.O. di Roma, con l’impiego delle più avanzate tecniche di investigazione, unitamente ad appostamenti, pedinamenti, esame di documentazione contabile, amministrativa e finanziaria – ha consentito di delineare un articolato quadro indiziario in relazione a plurimi casi di intestazioni fittizie di quote societarie ed immobili, di emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e di reimpiego dei connessi proventi illeciti, riconducibili a soggetti già gravati da precedenti penali o di polizia per associazione mafiosa o destinatari di misure di prevenzione.ù
L’attività
Sono, inoltre, stati appurati casi di indebita percezione di contributi pubblici erogati per fronteggiare l’emergenza epidemiologica ed episodi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, mediante l’instaurazione di fittizi rapporti di lavoro a favore di cittadini extracomunitari, finalizzati all’ottenimento del permesso di soggiorno nell’ambito della procedura di regolarizzazione di colf, badanti e braccianti agricoli, prevista dal “Decreto Rilancio”, nonché dal D.P.C.M. del 7 luglio 2020 (“Decreto Flussi”).
L’attività trae origine dagli approfondimenti di natura patrimoniale, avviati d’iniziativa nei confronti di un imprenditore edile calabrese, da anni residente in provincia, già sottoposto alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ed attualmente imputato in altro procedimento, per il reato di cui all’art. 416-bis c.p. – quale affiliato alla cosca della ‘Ndrangheta Farao-Marincola – che avrebbe attribuito fittiziamente a propri congiunti la titolarità di una nuova azienda, al fine di eludere l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali ed agevolare il riciclaggio di proventi illeciti. Dai successivi sviluppi è emerso, inoltre, che tanto la nuova impresa quanto la preesistente azienda operavano come “serbatoi” di manodopera, illecitamente somministrata a terzi, attraverso la stipula di contratti di appalto ritenuti di natura fraudolenta.
Come accertato, infatti, anche dai funzionari dei competenti uffici dell’INPS e dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro, il personale formalmente assunto dai soggetti appaltatori era, in realtà, stabilmente alle dipendenze del committente (una storica società perugina attiva nel settore della fabbricazione di prodotti in calcestruzzo) che dettava le direttive, elaborava i piani di lavoro e ne definiva le concrete modalità di esecuzione, esercitando poteri assoluti di controllo, esautorando, di fatto, gli appaltatori da ogni autonomia organizzativa, riducendosi, quest’ultima, alle funzioni di mera gestione amministrativa dei rapporti di lavoro, senza assunzione del rischio d’impresa.
Tale elementi sono stati considerato tutti indici rivelatori della non genuinità dei contratti di appalto e della esternalizzazione di fasi o cicli del processo produttivo. Di conseguenza, le fatture relative ai contratti sono state ritenute giuridicamente inesistenti, atteso che, secondo l’orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione, la fattura indicante una prestazione di servizi nell’ambito di un appalto, che cela una somministrazione di manodopera di carattere fraudolento (in quanto tesa ad un illecito risparmio di spesa sul trattamento economico e previdenziale del personale), costituisce documento contabile inerente ad operazioni che giuridicamente non esistono, integrandosi, pertanto, i delitti tributari di emissione di fatture per operazioni inesistenti e dichiarazione fraudolenta mediante fatture per operazioni inesistenti.
Figura cruciale è risultata essere quella di un consulente del lavoro di origine calabrese che, oltre a mettere a disposizione le proprie competenze professionali per la realizzazione del sistema fraudolento descritto, si sarebbe adoperato a favore di numerosi pregiudicati, al fine di consentire agli stessi il raggiungimento di indebiti benefici, attraverso la perpetrazione di vari reati.
I beneficiari
Fra i “beneficiari” delle illecite prestazioni professionali, attinti dal provvedimento cautelare, figurano un soggetto già condannato in via definitiva per associazione mafiosa in quanto considerato affiliato al clan camorristico dei Casalesi, un imprenditore edile calabrese, attualmente imputato per reati aggravati dal metodo mafioso, un soggetto pugliese, responsabile anche della ricettazione di orologi contraffatti, ed un pregiudicato di etnia rom di Bastia Umbra, il quale, dietro compenso, avrebbe favorito l’ingresso illegale nel territorio dello Stato di numerosi soggetti extracomunitari, procurando loro fittizi rapporti di lavoro. In questo ulteriore filone, risultano coinvolti anche una cittadina cinese e quattro soggetti residenti a Perugia e nei comuni limitrofi nonché una persona originaria dello Sri Lanka, residente a Gualdo Cattaneo.
Gli indizi
Visti i gravi indizi di colpevolezza nei confronti dei soggetti indagati per i reati a ciascuno provvisoriamente contestati, il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto sussistenti i presupposti per l’applicazione di misure cautelari, disponendo la custodia in carcere nei confronti di un imprenditore di origine calabrese e del consulente del lavoro, gli arresti domiciliari per un altro imprenditore edile calabrese indagato per intestazione fittizia ed indebita percezione di erogazioni pubbliche ed, infine, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria nei confronti di sette persone, a vario titolo, coinvolte. Con il medesimo provvedimento è stato disposto, infine, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del capitale sociale e del compendio aziendale di sei imprese, di immobili (fra cui un intero complesso residenziale di recente costruzione), autovetture e disponibilità finanziarie per un valore complessivo di oltre 1.000.000 di euro.