Caserta, Cronaca Caserta

Mente sul marito affiliato al clan dei Casalesi per ricevere il reddito di cittadinanza: condannata la moglie di ‘scintilla’ Assunta Diana

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Foto di repertorio

Mente sul marito affiliato al clan dei Casalesi per ricevere il reddito di cittadinanza: condannata la moglie di ‘scintilla’ Assunta Diana residente a Casal di Principe.

Casal di Principe: condannata la moglie di ‘scintilla’ Assunta Diana

La Cassazione ha confermato la condanna per Assunta Diana, moglie di Salvatore Nobis, legato ai Casalesi, per aver fornito false informazioni nell’attestazione Isee necessaria per ricevere il reddito di cittadinanza. La pena di un anno di reclusione è stata confermata per la 63enne di Casal di Principe, che ha presentato dichiarazioni non veritiere nella domanda inviata all’Inps per accedere al beneficio statale.

La sentenza

La terza sezione penale della Corte di Cassazione, presieduta da Giulio Sarno, ha esaminato il ricorso presentato dall’avvocato della consorte di Scintilla contro la sentenza della Corte di Appello di Napoli, che aveva confermato la decisione del gup del tribunale di Napoli Nord, riconoscendola colpevole. La donna aveva infatti omesso di dichiarare che nel suo nucleo familiare non vi erano soggetti con condanne definitive, mentre suo marito, Salvatore Nobis, era stato condannato in via definitiva per associazione a delinquere di stampo mafioso, con una sentenza della Corte di Appello di Napoli divenuta irrevocabile nel novembre 2014. Il ricorso è stato presentato nell’aprile 2020.

Nell’istanza presentata alla Suprema Corte, la difesa solleva una questione di violazione di legge per la mancata assoluzione della ricorrente. In sostanza, “la ricorrente sostiene che, nonostante il coniuge convivente sia stato condannato per reato associativo, avrebbe comunque diritto alla prestazione, seppur in misura ridotta”.

La Cassazione, tuttavia, considera il ricorso infondato, affermando che “la tesi avanzata dalla ricorrente, secondo cui il reato non sarebbe configurabile poiché avrebbe diritto alla prestazione, anche se in misura ridotta, è priva di fondamento giuridico. Il reato è presente anche quando l’agente agisce con l’intento di ottenere più di quanto le spetti, poiché l’avverbio ‘indebitamente’ deve essere interpretato in un senso più ampio, non limitato solo alla possibilità di ricevere il beneficio senza averne diritto, ma anche a quella di riceverlo in misura superiore a quanto le spetta”.

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