Cronaca

Affari della ‘ndrangheta “protetti” da carabinieri infedeli: due arresti, 57 indagati a Catanzaro

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I carabinieri

Gli affari della ‘ndrangheta “protetti” da carabinieri infedeli: gli inquirenti hanno eseguito in totale 59 arresti a Catanzaro. “Un capitano che condivide anche i pasti con me”: queste le parole di Domenico Cracolici, il boss della ‘ndrangheta.

Affari della ‘ndrangheta “protetti” da carabinieri infedeli: 59 arresti a Catanzaro

“Un capitano che condivide anche i pasti con me”. Queste sono le parole di Domenico Cracolici, boss che, secondo la Dda di Catanzaro, esercita un’“indiscussa egemonia ‘ndranghestica” nelle aree di Maida, Cortale, Jacurso e Maierato, situate al confine tra Lamezia Terme e la provincia di Vibo Valentia. Il “capitano” in questione è Vincenzo Pulice, luogotenente dei carabinieri e comandante della stazione di Maida. Entrambi sono stati arrestati nell’ambito di un’operazione che ha portato a 59 fermi, eseguiti dalla Procura di Catanzaro sotto la direzione di Vincenzo Capomolla.

Un militare è stato arrestato per concorso esterno con la cosca Cracolici, che è stata gravemente colpita dall’inchiesta condotta dai carabinieri del comando provinciale di Catanzaro. Grazie a un trojan installato sul cellulare del boss, sono state recuperate anche tre fotografie. In una di esse, Domenico Cracolici e il luogotenente dell’Arma appaiono “in una posa di abbraccio amichevole”, mentre le altre ritraggono momenti di famiglia durante una celebrazione, in cui sono presenti alcuni membri maschili della famiglia Cracolici insieme a Pulice Vincenzo e a suo figlio Emmanuel.

Le indagini

Anche l’ultimo soggetto è stato arrestato durante il blitz che ha interessato la stessa operazione che ha coinvolto il padre, un carabiniere. Quest’ultimo non è accusato solo di concorso esterno, ma anche di aver “promosso, diretto e organizzato”, insieme al boss Domenico Cracolici, un’associazione a delinquere finalizzata alla “coltivazione e traffico di sostanze stupefacenti”. Nel capo di imputazione a carico di Vincenzo Pulice si legge che, sfruttando la sua posizione di comandante di stazione e il ruolo di ufficiale di polizia giudiziaria, ha garantito protezione alle attività illecite dei membri dell’associazione, cercando di ottenere informazioni su eventuali indagini in corso e omettendo di effettuare controlli di polizia su di essi.

Inoltre, il carabiniere si è fatto promotore e organizzatore – scrivono i pubblici ministeri – delle coltivazioni di marijuana realizzate a Maida e Mesoraca (in provincia di Crotone, ndr), impegnandosi affinché non venissero scoperte. Si è reso protagonista di consegne di partite di narcotico e, in alcune occasioni, si è occupato della riscossione dei crediti accumulati dagli spacciatori. Per non farsi mancare nulla, il luogotenente avrebbe anche “gestito, insieme al fratello Marcello Pulice e a Giovanni Puja (entrambi arrestati, ndr), la fase di vendita della sostanza stupefacente agli acquirenti del mercato lametino”.

Gli altri indagati

 

Vincenzo Pulice non è l’unico militare dell’Arma arrestato per concorso esterno con la ‘ndrangheta nell’operazione condotta dalla Dda di Catanzaro. Infatti, il gip ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere anche per Antonio Scicchitano, un appuntato dei carabinieri forestali in servizio presso la stazione di Girifalco, accusato di aver compiuto “atti contrari ai doveri d’ufficio”. In pratica, Scicchitano avrebbe ricevuto periodicamente, a titolo gratuito o a prezzi vantaggiosi, quantitativi di legname per sé o per i suoi familiari, concordando in anticipo con il boss Domenico Cracolici “tempi e modalità” dei controlli da effettuare sulle aziende boschive gestite dalla cosca. In sostanza, la cosca compensava i servizi del carabiniere con la fornitura di legna.

La Dda non ha alcun dubbio nel dichiarare che l’appuntato dei carabinieri forestali “rappresentava un punto di riferimento per il sodalizio, avendo instaurato con esso un rapporto stabile ‘sinallagmatico’, caratterizzato da una continua e reciproca disponibilità a fornire assistenza”. Durante la conferenza stampa, il procuratore Vincenzo Capomolla ha evidenziato come la cosca Cracolici “gestisse la produzione e il commercio di marijuana, oltre all’approvvigionamento di cocaina per le piazze di spaccio locali, proveniente dalla piana di Gioia Tauro”. In sostanza, i Cracolici esercitavano “un controllo capillare sulla propria area – ha spiegato il magistrato – ma avevano anche la capacità di relazionarsi con altri clan, sia di territori limitrofi come il lametino e il vibonese, sia di aree più lontane come il crotonese o Rosarno, nel reggino”. Questo controllo capillare, evidentemente, si avvaleva anche di elementi infedeli all’interno delle istituzioni.

 

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