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Cesare Beccaria, il filosofo precursore del diritto penale ed autore dell’opera “Dei delitti e delle pene”

Cesare Beccaria nacque il 15 marzo 1838 a Milano da una nobile famiglia. La sua opera più importante è senza dubbio il trattato Dei delitti e delle pene, in cui viene condotta un’analisi politica e giuridica contro la pena di morte e la tortura sulla base del razionalismo e del pragmatismo di stampo utilitarista ed è tra i testi più influenti della storia del diritto penale ed ispirò tra gli altri il codice penale voluto dal granduca Pietro Leopoldo di Toscana.

Cesare Beccaria: vite e opere del filosofo milanese

Cesare Beccaria nacque a Milano, figlio di Giovanni Saverio di Francesco e di Maria Visconti di Saliceto, il 15 marzo 1738. Fu educato a Parma dai gesuiti e si laureò in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Pavia.

Il padre aveva sposato la Visconti in seconde nozze nel 1736, dopo essere rimasto vedovo nel 1730 di Cecilia Baldroni.



Nel 1760 Cesare sposò Teresa Blasco contro la volontà del padre, che lo costrinse a rinunciare ai diritti di primogenitura; da questo matrimonio ebbe 4 figli: Giulia (1762-1841), Maria (1766-1788), nata con gravi problemi neurologici e morta giovane, Giovanni Annibale nato e morto nel 1767 e Margherita anch’essa nata e morta nel 1772.

Il padre lo cacciò anche da casa dopo il matrimonio, così dovette essere ospitato da Pietro Verri, che lo mantenne anche economicamente per un periodo.



Teresa morì il 14 marzo 1774, a causa della sifilide o della tubercolosi. Beccaria, dopo appena 40 giorni di vedovanza, firmò il contratto di matrimonio con Anna dei Conti Barnaba Barbò, che sposò in seconde nozze il 4 giugno 1774, ad appena 82 giorni dalla morte della prima moglie. Da Anna Barbò ebbe un altro figlio, Giulio.

Cesare Beccaria è il nonno materno di Alessandro Manzoni, figlio della primogenita Giulia e di Pietro Manzoni.

Il pensiero di Cesare Beccaria

Il pensiero di Beccaria fu influenzato da John Locke, Helvetius, Rousseau e, come gran parte degli illuministi milanesi, dal sensismo di Condillac. Fu influenzato anche dagli enciclopedisti, in particolare da Voltaire e Diderot.

Partendo dalla teoria contrattualistica del diritto, Beccaria definì in pratica il delitto in maniera laica come una violazione del contratto, e non come offesa alla legge divina, che appartiene alla coscienza della persona e non alla sfera pubblica.



La società nel suo complesso godeva pertanto di un diritto di autodifesa, da esercitare in misura proporzionata al delitto commesso, il cosiddetto principio del proporzionalismo della pena, e secondo il principio contrattualistico per cui nessun uomo può disporre della vita di un altro.

Il rifiuto della pena di morte e della tortura

Per Cesare Beccaria la pena di morte non rappresenta un deterrente dal compiere altri delitti. Chi ha intenzione di delinquere sarà frenato dal compierlo se ha una pena lunga da scontare.

La tortura, invece, viola la presunzione di innocenza, dato che «un uomo non può chiamarsi reo fino alla sentenza del giudice». Essa consiste in un’afflizione ed è pertanto inaccettabile per Beccaria; se il delitto è certo porta alla pena stabilita dalle leggi, se è incerto non si deve tormentare un possibile innocente.



Inoltre non è operativa in quanto induce a false confessioni, poiché l’uomo, stremato dal dolore, arriverà ad affermare falsità al fine di porre termine alla sofferenza. Ed infine non è accettabile in termini di umanità.

Il carattere delle sanzioni per Beccaria

Beccaria indica come la sanzione deve possedere alcuni requisiti:

Secondo Beccaria, per ottenere un’approssimativa proporzionalità pena-delitto, bisogna tener conto:

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