Cronaca, Politica

Ecco perché l’Italia non può prescindere dai collaboratori di giustizia

L’ultima settimana ha riacceso il dibattito in merito alla disciplina prevista per i collaboratori di giustizia, ritenuta particolarmente tenera in alcune situazioni, soprattutto nel caso Brusca. Eppure, proprio attraverso i collaboratori di giustizia sono venute alla luce vicende particolarmente occulte ed articolate. Ecco perché l’Italia non può prescindere dal loro apporto.

I collaboratori di giustizia in Italia

La legge sui collaboratori di giustizia rappresenta una delle battaglie maggiormente significative del magistrato Giovanni Falcone, per evidenti motivazioni. In primis, per contrastare la piaga della criminalità organizzata, si è rivelata notevolmente efficace. Soltanto grazie all’apporto di chi è addentrato in determinate logiche e sistemi è possibile risalire alle fitte relazioni ed ai reati tipici delle organizzazioni criminali. In sostanza, la collaborazione permette una lettura maggiormente dettagliata, “interna”, delle strutture e degli affari delle organizzazioni criminali, oltre a consentire l’acquisizione di fondamentali mezzi di prova, altrimenti irreperibili.

Infatti, proprio in merito alla sua utilità, per sgominare progetti criminali molto vasti, è bene rammentare che determinati illeciti sono perpetrati in contesti di totale omertà, ove risulta quantomai impossibile ripercorrere le tracce dei delitti. Ecco che in questo solco, soprattutto culturale, la disciplina dei collaboratori di giustizia appare impareggiabile per apprendere informazioni ben occulte.


collaboratori di giustizia

L’excursus della disciplina dei collaboratori di giustizia in Italia

Il primo prototipo di legge sui collaboratori di giustizia, risalente al 1980, era destinato ai soli soggetti condannati per terrorismo. Poi, dietro le continue e pressanti richieste, soprattutto del dott. Falcone, si arrivò all’emanazione del d.l. 15 gennaio 1991, n.8, convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1991, n.82, con cui nell’ordinamento italiano si disciplinò la figura del collaboratore di giustizia. Questa novità evidenzia la costruzione di un sistema premiale, destinato ai collaboratori di giustizia per i delitti di stampo mafioso, così come già previsto per i reati di terrorismo. In questo modo, laddove ve ne fosse la necessità, poteva essere applicato un programma di protezione per coloro che risultassero esposti a “grave e attuale pericolo”, a causa della collaborazione con la giustizia. La tutela, inoltre, veniva estesa anche ai familiari.

Altre fondamentali novità vennero introdotte dalla L. n. 45 del 2001. Dalla previsione di  un nuovo termine per le dichiarazioni (6 mesi dalla dichiarazione di collaborazione), al fine di raccogliere sempre maggiori informazioni, alla subordinazione della “protezione” alla valutazione concreta della testimonianza resa. In realtà, la Cassazione, con sentenza delle Sezioni Unite Penali n. 1150 del 2008, ha stabilito che le dichiarazioni rese oltre il termine dei 180 giorni, ovvero le cd dichiarazioni tardive, saranno ugualmente legittime ed utilizzabili.

Inoltre, sempre secondo la legge n.45 del 2001,”Modifica della disciplina della protezione e del trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia nonché disposizioni a favore delle persone che prestano testimonianza”, per poter accedere ai benefici, i collaboratori di giustizia devono rendere dichiarazioni inedite, importanti, attendibili e complete. Questi elementi appaiono fondamentali per implementare le indagini o ai fini del giudizio successivo e per non allontanare la misura dalla propria natura. Sarebbe sicuramente nocivo un eccessivo ricorso ai collaboratori di giustizia non sorretto da tangibili risultati, nella complessa lotta volta a contrastare la criminalità organizzata.