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Non può essere condannato chi reagisce al bullo: lo dice la Cassazione

Non può ricadere sulla vittima di bullismo che reagisce nei confronti dell’aggressore tutta la responsabilità dell’evento: sbagliato ritenere non applicabile l’art. 1227 c.c. in ragione del fatto che il colpo in viso al coetaneo giunga in un momento diverso rispetto a quello in cui il giovane aveva subito le condotte vessatorie.

Non può essere condananto chi reagisce al bullo

Sia chiaro, l’istinto di vendetta va certamente condannato, ma l’ordinamento non può ignorare le situazioni di privazione e svantaggio che ne costituivano il sostrato, soprattutto qualora sia mancato un intervento, in particolare da parte della scuola, al fine di arginare il fenomeno del bullismo e sostenere la vittima.
Senza una condanna pubblica di tali atteggiamenti, infatti, è legittimo aspettarsi una reazione emotiva e incontrollata da parte del “bullizzato” adolescente che, tra l’altro, ha una personalità non ancora formata in modo saldo e positivo. Senza dimenticare anche il peso dell’educazione impartita dai genitori che deve essere non solo di parole ma anche e soprattutto di comportamenti.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, accogliendo il ricorso di un ragazzo calabrese e dei suoi genitori.

Il caso

Il giovane era stato per lungo tempo bullizzato da un compagno finché un giorno aveva reagito sferrando un pungo in faccia al suo aggressore. Se, da un lato, il Tribunale dei Minorenni decide di non condannarlo per questo comportamento, la Corte d’Appello ritiene che il giovane e i suoi genitori debbano risarcire, in solido e di oltre 14mila euro, il bulletto preso a pugni.
In particolare, poiché la reazione era arrivata in un secondo momento, successivo rispetto alle condotte persecutorie e offensive da parte dei bulli, la Corte ritiene che il ragazzo non avesse agito per legittima difesa, bensì per aggredire fisicamente il proprio rivale. La condotta viene così ritenuta causa autonoma del danno e non conseguente alla provocazione.
La Cassazione, invece, ritiene che sia sbagliato ritenere inapplicabile l’art. 1227 c.c. sul presupposto che la condotta da cui era derivato l’evento fosse giunta in un momento diverso da quello in cui il ragazzo aveva subito l’aggressione.

La reazione nei confronti del bullo

Invece di negare “sbrigativamente” qualunque rilievo al comportamento ripetutamente provocatorio e offensivo di cui il ragazzo era stato fatto oggetto da parte del bullo, la Corte territoriale avrebbe dovuto tener conto dei fenomeni di bullismo che avevano preceduto la reazione, senza i quali l’evento non si sarebbe determinato.
Quando l’autore della reazione è un adolescente, vittima di comportamenti prevaricatori, aggressivi, mortificanti e reiterati nel tempo, è prevedibile una sua reazione che può assumere diversi connotati (addirittura forme autodistruttive): ad esempio, come avvenuto nel caso di specie, nell’assunzione di comportamenti esternalizzati aggressivi.
L’istinto di vendetta del minore bullizzato va certamente stigmatizzato, tuttavia, secondo gli Ermellini, l’ordinamento non può limitarsi a condannare “ignorando le situazioni di privazione e di svantaggio che ne costituivano il sostrato, non solo perché l’ignoranza e la sottovalutazione possono (persino) attivare un circolo negativo di vittimizzazione ulteriore, ma anche perché il bullismo non dà vita a un conflitto meramente individuale, come dimostrano le rilevazioni statistiche, e richiede un coacervo di interventi coordinati che, oltre a contenere il fenomeno, fungano da diaframma invalicabile che si interponga tra l’autore degli atti di bullismo e le persone offese, anche onde rendere del tutto ingiustificabile la reazione di queste ultime”.

L’assenza di scuola e istituzioni

In assenza di prove circa l’intervento delle istituzioni, in particolare della scuola, per arginare il fenomeno del bullismo e per sostenere il ragazzo, e mancando anche la prova della ricorrenza di espressioni di condanna pubblica e sociale del comportamento adottato dai bulli, non era possibile attendersi da parte della vittima, adolescente, una reazione razionale, controllata e non emotiva.
Nel caso di specie, la Cassazione ritiene persino doveroso che l’ordinamento si dimostri sensibile verso coloro che sono esposti continuamente a condizioni vittimizzanti idonee a provocare e ad amplificare le reazioni rispetto alle sollecitazioni negative ricevute, soprattutto, come sembra essere avvenuto nel caso di specie, la vittima venga lasciata sola nell’affrontare il conflitto.
Non una sola parola è stata spesa, infatti, per chiarire se la scuola si fosse fatta carico di predisporre interventi di contrasto della piaga del bullismo attraverso un programma serio e articolato fondato su specifiche direttive psicopedagogiche e su forme di coinvolgimento dei genitori. Per questo la risposta giuridica, nel caso di specie, non avrebbe dovuto ignorare le condizioni di umiliazione a cui l’adolescente in questione è provato fosse stato ripetutamente sottoposto.

Causalità individuale

Il giudice a quo, secondo gli Ermellini, avrebbe potuto approdare ad altro risultato qualora si fosse avvalso del criterio della causalità individuale, che avrebbe avuto il pregio di focalizzare l’analisi sull’evento per come verificatosi e che avrebbe messo il giudicante nella condizione di attribuire il giusto peso in termini di spiegazione causale, a tutti gli elementi concreti e alle circostanze del caso reputate rilevanti.
Nel giudizio di causalità individuale, infatti, devono essere inseriti tutti gli elementi concreti reputati rilevanti. Di conseguenza, il ricorso viene accolto e la decisione passa al giudice del rinvio che dovrà tenere conto di tali principi.

Genitori responsabili

I genitori del ragazzo, invece, non vanno esenti dalla presunzione di responsabilità di cui all’art. 2048 del codice civile. Nell’invocare continuamente l’esenzione da responsabilità del figlio, giustificandone il comportamento antigiuridico, hanno dimostrato essi stessi, in sostanza, di non aver percepito il disvalore della condotta del figlio e la gravità del fatto imputatogli.
Anzi, hanno indirettamente fornito la prova del difetto di un adeguato insegnamento educativo non avendo fornito al minore gli strumenti per ritenere non solo illecito, ma anche non giustificabile un comportamento violento quale quello adottato. Come insegna la giurisprudenza, infatti, “l’educazione è fatta non solo di parole, ma anche e soprattutto di comportamenti” (cfr. Cass. n. 18804/2009).
Per andare esenti da responsabilità, i genitori devono dimostrare, oltre che di aver impartito al minore un’educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari, anche di aver esercitato sul minore una vigilanza adeguata all’età e finalizzata a correggere comportamenti non corretti e, quindi, meritevoli di un’ulteriore o diversa opera educativa.
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