Ogni giorno, nel consueto bollettino del capo della Protezione Civile Angelo Borrelli, sentiamo parlano di persone contagiate, persone guarite e nuovi casi positivi al Covid-19. Ma cosa significa essere guarito dal coronavirus? Chi sono i contagiati? La risposta è ben precisa ed è stata stabilita dal Consiglio superiore di sanità, organo di consulenza tecnica e scientifica del ministero della Salute. Ecco cosa vuol dire guarire dalla Covid-19, secondo i numeri ufficiali (che ovviamente non tengono conto delle guarigioni silenziose, in cui il virus non era stato cercato visti i sintomi lievi o assenti).
Coronavirus, cosa significa essere guarito?
Ci sono due diverse definizioni tecniche, definite in un documento del Consiglio superiore di sanità, nonché riportate dall’Istituto superiore di sanità: quella di “paziente clinicamente guarito” e quella di “paziente guarito”.
Un malato che ha avuto il Covid-19 si definisce “clinicamente guarito” se, dopo aver manifestato i sintomi associati all’infezione da Sars-CoV-2, diventa asintomatico e le manifestazioni cliniche si sono risolte. L’infezione da Sars-CoV-2 deve essere stata documentata tramite il test virologico in laboratorio. In pratica si parla di chi smette di avere sintomi dopo averli manifestati in maniera più o meno grave – si va da febbre, tosse e affanno, nei casi lievi o medi a polmonite e insufficienza respiratoria in quelli gravi. Pur essendo clinicamente guarito, dunque asintomatico, il paziente può però ancora presentare un test positivo al Sars-CoV-2.
Il paziente guarito
Diverso è il caso del “paziente guarito”, che non lo è solo dal punto di vista clinico, ma anche virologico. In questo caso, infatti, la persona, oltre a non avere più i sintomi della Covid-19, deve essere risultata negativa a due test per il coronavirus Sars-CoV-2, svolti consecutivamente, a distanza di 24 ore uno dall’altro. Le autorità sanitarie, inoltre, consigliano di ripetere il test sul paziente, sia asintomatico sia in presenza di sintomi, non prima di sette giorni dal primo riscontro risultato positivo.
Ma quando il virus scompare del tutto?
Quando il paziente è guarito, di fatto il Sars-CoV-2 non è più rilevabile. I medici parlano in questo caso di clearance – ovvero eliminazione – del virus, un’espressione che indica la scomparsa dell’rna virale (il nuovo coronavirus è un virus a rna) rilevabile nei fluidi corporei. Questo vale sia in persone risultate positive e che hanno avuto la malattia sia in persone positive ma senza sintomi.
Chi è risultato positivo, anche se asintomatico (dunque non malato), deve ripetere il test, secondo le raccomandazioni delle autorità, dopo 14 giorni (che è anche la durata della quarantena) dal primo test, per verificare che sia diventato negativo. Non è un caso che 14 giorni sia anche la durata periodo dell’isolamento o della quarantena, dato che questa finestra temporale copre tutto (e oltre) il periodo di incubazione.
Gli esperti hanno concluso infatti che quando entrambi i test molecolari per il Sars-CoV-2, svolti consecutivamente, in pazienti positivi asintomatici o a cui i sintomi sono passati sono “indicativi della clearance virale dall’organismo”, si legge nel documento del ministero. La negatività confermata e ripetuta indica che non si è più contagiosi, come spiegato precedentemente: non si rimane portatori sani, un elemento confortante.
Guarire da un virus
Definire con esattezza la guarigione da un virus è complicato: quando ci si ammala, si manifestano sintomi che tendono a diventare più lievi e poi a scomparire man mano che il sistema immunitario riesce a contrastare l’infezione. La febbre, per esempio, è una reazione dell’organismo per impedire all’agente che ha causato l’infezione di replicarsi, causando ulteriori danni. La scomparsa dei sintomi per qualche giorno indica che è avvenuta la guarigione e che il sistema immunitario ha imparato a riconoscere una nuova minaccia, serbandone il ricordo per evitare di subire un nuovo attacco in futuro (abbiamo semplificato molto, e in alcuni casi la memoria del sistema immunitario non si rivela così efficace).
Clinicamente guarito
Un paziente viene definito “clinicamente guarito” da COVID-19 quando non mostra più i sintomi della malattia, che comprendono: febbre, mal di gola, difficoltà respiratorie e nei casi più gravi polmonite con insufficienza respiratoria.
La definizione “clinicamente guarito” non esclude che a un test per rilevare la presenza del coronavirus, tramite un tampone, il paziente risulti ancora positivo.
Guarito
Un paziente viene definito “guarito” quando non ha più i sintomi della COVID-19 e risulta negativo a due test consecutivi, eseguiti a distanza di 24 ore uno dall’altro, per la ricerca del coronavirus.
Il Gruppo di lavoro permanente consiglia inoltre di ripetere il test, almeno dopo una settimana, per i pazienti che risultano positivi e che però non mostrano più sintomi.
Cosa succede quando coronavirus scompare
L’eliminazione del virus solitamente si accompagna alla comparsa di anticorpi specifici di tipo IgG per il Sars-CoV-2 prodotti dall’organismo. Questo è un passo importante perché si sviluppa un’immunità al patogeno. “Tali anticorpi”, si legge nel documento del ministero della Salute, “hanno un carattere protettivo, ovvero sono in grado di difendere l’organismo da eventuali reinfezioni con lo stesso virus”.
Ci si può re-infettare subito dopo essere guariti?
Ma è stato riferito dai media il caso di una persona due volte positiva al coronavirus e qualcuno si è chiesto se sia possibile una re-infezione, anche se gli scienziati sono scettici. Nel documento del ministero della Salute si legge che riguardo al caso di “possibile reinfezione da Sars-CoV-2, non è escludibile che venga ricondotto ad una lunga persistenza del virus nell’organismo, e che alla base dell’osservazione vi possa essere o un’inadeguata gestione pre-analitica del campione o un limite di sensibilità del test”.
Insomma, è verosimile che ci sia stato un problema nello svolgimento del test e che la persona sia sempre stata positiva lungo tutto il periodo fra le due presunte infezioni. E il documento aggiunge è poco probabile che ci sia stata una seconda nuova infezione dovuta a una mutazione del virus. “I dati correnti – si legge – sembrerebbero escludere la possibilità di rapida insorgenza di mutanti in grado di sfuggire al controllo del sistema immunitario quando questo sia stato in grado di eliminare il virus”.
Incubazione e test
Il coronavirus ha un tempo di incubazione medio intorno alla settimana, con un massimo di 14 giorni: significa che dal momento in cui si è contratto il virus al momento in cui si sviluppano i sintomi possono passare fino a due settimane. Una persona che non mostra ancora sintomi può quindi risultare ugualmente positiva ai test perché ha comunque già il coronavirus: in questo caso, viene consigliato di ripetere il test non prima di 14 giorni dal precedente, in modo da verificare l’effettiva negativizzazione (parola complicata per dire che il paziente è diventato negativo al test).