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Coronavirus in Lombardia, parla l’epidemiologo Fabrizio Pregliasco: ecco perchè i casi non diminuiscono

Coronavirus in Lombardia, parla l’epidemiologo Fabrizio Pregliasco: ecco perchè i casi non diminuiscono. Dall’inizio dell’epidemia, nella regione, solo il 4,7% della popolazione è stato sottoposto al test. Nessuno screening di massa, le analisi vengono fatte su persone che hanno un rischio concreto di aver contratto l’infezione. Il rapporto tra persone positive e casi testati è del 14%.

Coronavirus, Lombardia: ecco perchè non diminuiscono i casi

La Lombardia ancora una volta al centro delle polemiche per i dati dell’epidemia di coronavirus: dai numeri che “magicamente” si dimezzano ogni lunedì, fino al boom di casi nelle Rsa, passando per la mancata istituzione della zona rossa in provincia di Bergamo. La gestione dell’emergenza non convince, e la regione continua a condizionare i dati dell’intero Paese.

Epidemia circoscritta a 2 regioni

Il Piemonte, seconda regione più colpita, ha un rapporto tra persone positive e casi testati del 14%, l’Emilia-Romagna ha una percentuale del 13%, in Liguria invece la percentuale è del 15%.

Parla l’esperto

Intervistato da Open, l’epidemiologo Fabrizio Pregliasco, ha parlato dei dati del 5 giugno (+402 casi con 19.389 tamponi eseguiti)

Soffermarsi su un dato che riguarda anche la prima fase dell’epidemia non serve. Fermo restando che bisognerebbe testare più gente in Lombardia, i veri problemi relativi ai tamponi sono altri. Ci sono tre domande alle quali nessuna Regione riesce a rispondere in maniera organica e ci sarebbe, invece, un bisogno incredibile di risposte: data del tampone, data del risultato di quel tampone e soggetto a cui è stato effettuato il tampone. Se non si possiedono questi dati, non capisco come si possano prendere decisioni sulla base del rischio. Qualcuno mi deve spiegare come si calcola l’indice Rt se i tamponi sono confusi, relativi a giorni diversi di prelievo e analisi. Non è possibile, in queste condizioni, avere un indice di rischio affidabile.

La riapertura delle regioni

In merito alla riapertura della circolazione tra regioni l’epidemiologo è pessimista “È rischioso. Rendiamoci conto che si prendono decisioni sulla base di un mix di test e relativi risultati che arrivano da giorni passati, possono essere vecchi anche di una settimana. Manca trasparenza da questo punto di vista”.

Dati confusi

Leggendo i bollettini, noi non possiamo sapere se i 402 casi sono tutti di ieri, oppure relativi a tamponi eseguiti una settimana fa e analizzati gli scorsi due, tre giorni. Non conoscere questi elementi non è solo una perdita per lo studio di questa epidemia: se i dati, quotidianamente, arrivano così confusi, nessuno può essere davvero consapevole di quello che decide, a ogni livello delle istituzioni.

Faccio fatica a capire perché non si faccia chiarezza su questa cosa e ho l’impressione, in generale, che stiamo abbassando troppo la guardia. Va bene che ci aiuta un po’ il caldo, ma la verità è che se il numero di casi di ieri si ripete anche nei prossimi giorni ci sarà da preoccuparsi. Anche perché, il 5 giugno, i tamponi sono aumentati del 30% rispetto al giorno precedente. I casipositivi sarebbero dovuti aumentare di una cinquantina di unità rispettando la proporzione. Invece siamo passati da 177 nuovi casi a 518 in 24 ore.


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