La coscienza di Zero(calcare)

Zero, Secco, Sara e Alice i dubbi e le paure della generazione che ha vissuto sulla propria pelle e sofferto più di tutti la crisi finanziaria del 2008 e poi quella pandemica del 2020

Complice la full immersion nella fictionStrappare lungo i bordi” di Zerocalcare, che mi ha lasciato un sapore agrodolce, questa settimana vorrei occuparmi del tema che mi pare meglio rappresentato nella serie: la sensazione di inettitudine, quella che già Italo Svevo aveva magnificamente dipinto con “La coscienza di Zeno” e che nella versione moderna assume le sembianze dell’inquietudine derivante dall’incertezza del domani.
Come non rivedere in Zero, Secco, Sara e Alice i dubbi e le paure della generazione che ha vissuto sulla propria pelle e sofferto più di tutti la crisi finanziaria del 2008 e poi quella pandemica del 2020.

Nello sconforto, la sfiducia e l’immobilismo dei protagonisti prodotti da Netflix è facile proiettare le aspettative tradite di chi, ammaliato dalle speranze di un nuovo millennio e dai successi di chi lo ha preceduto, ha investito nel futuro in previsione di un riscatto personale e sociale, per poi ricevere l’amaro conto delle spiegazioni postume, mai completamente soddisfacenti.

L’ascensore sociale si è bloccato”, si è detto, perché “a causa della crisi le aziende non investono più” e “ci sono meno opportunità”. Anzi, “è già una fortuna avere un lavoro”.

Si affievolisce così la luce negli occhi di chi credeva in un domani meno tortuoso e più prevedibile, dove costruirsi una carriera stimolante e soddisfacente, programmare la propria vita, crearsi una famiglia fossero obiettivi alla portata di tutti.

Scatta invece la fobica rincorsa a qualsiasi posto nel mondo, pur di difendersi da un destino “sgambettatore” e rispondere alle aspettative sociali, che, senza eccessiva premura, scaricano in avanti il peso degli standard di realizzazione, fregandosene della diversità dei tempi che corrono.

In questa condizione, c’è qualche eroico avventuriero (Zero) che persegue con tenacia e costanza le personali aspirazioni, nonostante il giudizio affrettato degli iscritti al partito del #chitelofafare, efficacemente rappresentati dall’unica battuta di Secco, al quale importa solo di “prendesse un gelato”.

C’è chi (Sara) ha deciso di adeguarsi al ‘sistema’, accontentandosi di ciò che dà, con la speranza, ripetuta come un mantra, che “prima o poi le cose miglioreranno!”.

Infine, c’è chi (Alice) non riesce a sostenere il peso dell’incolpevole, ma spietato divario tra le proprie ambizioni e le opportunità che la società offre, arrendendosi prematuramente e tragicamente all’idea di non avere più futuro.

È a questo esercito di persone che occorrerebbe, quando ne abbiamo l’occasione, riconoscere un delicato incoraggiamento e, soprattutto, l’impegno sociale e politico di non abbandonarle alle sorti di un destino che hanno incolpevolmente ereditato, ma che si può ancora trasformare nella versione più fedele possibile alla “forma che doveva avere”.


di Fabio Coppola

Avvocato penalista, PhD e Post-Doc in Diritto Penale, Presidente di Scuola Giuridica Salernitana

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