Cozze contaminate da diossine nei ristoranti di Taranto: 19 persone sono indagate. Tra gli indagati figurano mitilicoltori, commercianti e ristoratori. I mitili erano coltivati in acque vietate, situate nell’area conosciuta come primo seno del Mar Piccolo.
Cozze contaminate da diossine nei ristoranti di Taranto: 19 indagati
Diciannove persone sono state indagate per il commercio di cozze nere contaminate, in particolare da diossine. Il pubblico ministero Francesco Ciardo ha concluso le indagini e ha emesso il relativo avviso. Sei di loro sono accusati di associazione a delinquere. Gli indagati includono mitilicoltori, commercianti e ristoratori, sia del capoluogo che dei comuni limitrofi.
Le cozze rappresentano un prodotto di punta dell’economia ittica locale, ma la Procura ha sollevato dubbi sulla loro provenienza dalla foce del fiume Galeso, situata alle porte di Taranto, poiché risultano inquinate e quindi nocive per la salute pubblica. Questi mitili erano allevati in acque vietate, parte dell’area conosciuta come primo seno del Mar Piccolo, un mare interno in cui le autorità sanitarie e l’Arpa, l’Agenzia per l’ambiente della Regione Puglia, hanno riscontrato la presenza di inquinanti come i pcb (policlorobifenili) e le diossine. Di conseguenza, un’ordinanza regionale, rinnovata a settembre scorso per un periodo di 36 mesi, impone misure di controllo sulle cozze allevate in questa zona.
L’ordinanza
L’ordinanza firmata dal governatore pugliese Michele Emiliano stabilisce che, entro il 28 febbraio di ogni anno, il trasferimento del novellame regolarmente allevato (mitili con lunghezza delle valve inferiore ai 3 cm) dal primo seno del Mar Piccolo verso altre aree deve avvenire esclusivamente previa autorizzazione dell’autorità di controllo. Inoltre, è necessario verificare che i livelli di diossine e PCB siano conformi ai limiti di legge. I mitili che non rispettano queste disposizioni devono essere sequestrati e distrutti.
La Procura ha accertato che le cozze allevate in questo specchio d’acqua venivano vendute senza rispettare le norme igienico-sanitarie e senza la corretta etichettatura necessaria per la tracciabilità del prodotto, creando così un pericolo per la salute pubblica.