Infuria la “crisi” dei chip che sta mettendo a serio rischio la capacità dei comparti produttivi, in primis il settore automotive, di cavalcare l’onda della ripresa economica, dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19. Può bastare un chip da un dollaro per rallentare tutto il mercato dei dispositivi più moderni, dalle console alle schede video passando per le automobili ricche di elettronica e i telefoni.
Ci sono moltissimi chip nei prodotti che usiamo ogni giorno e che presiedono a moltissime funzioni importanti, alcuni costano molto e sono frutto di anni di ricerca, altri sono componenti estremamente comuni e arrivano al massimo a costare un dollaro o poco più, ed è proprio la carenza di quest’ultimi che stanno facendo rallentare moltissimi settori.
La crisi dei chip: cos’è?
L’industria automobilistica statunitense e non solo (compresi marchi come Volkswagen, Ford e General Motors) ha a più riprese esortato il governo a intervenire vista la carenza globale di semiconduttori che potrebbe provocare solo negli Stati Uniti 1,28 milioni di veicoli consegnati in meno quest’anno e interrompere la produzione per altri sei mesi.
Contemporaneamente, le società produttrici di chip stanno registrando ordini record per il primo trimestre, con una domanda in aumento che ha contribuito a più che raddoppiare gli utili registrati nel trimestre precedente. Ad esempio il marchio olandese Besi, che produce attrezzature per i produttori di chip, ha riportato ordini record a 327 milioni di euro in crescita del 108% rispetto al trimestre precedente e del 176% rispetto allo stesso trimestre del 2020.
La grande domanda di microchip
La domanda è stata particolarmente forte per le applicazioni di fascia alta degli smartphone legate ai prodotti 5G, ma anche per le applicazioni automobilistiche e i dispositivi logici utilizzati nell’intelligenza artificiale e nei data center. Insomma, le case automobilistiche competono contro la tentacolare industria dell’elettronica di consumo: la carenza globale di microchip e semiconduttori – i chip sono in pratica i sistemi nervosi che controllano i dispositivi elettronici – sta rallentando infatti la loro capacità di realizzare nuovi prodotti nel 2021.
Quando a febbraio e marzo del 2020, le case automobilistiche a causa dei lockdown hanno smesso o quasi di produrre auto, anche gli ordinativi di chip si sono fermati. Quando poi erano pronte a riprendere la produzione, hanno scoperto che i produttori di chip erano sovraccaricati dagli ordini dell’industria dell’elettronica di consumo che ha visto un boom di domanda per i dispositivi premium – sia per il lavoro che per il tempo libero come nuove console di gioco, smartphone, computer, il cui uso è stato alimentato dalle misure di restrizione anti Covid-19. A questo si sono aggiunti anche problemi contingenti che hanno avuto un impatto sulla produzione di chip come il terremoto in Giappone e la tempesta invernale in Texas.
Come ci siamo trovati in questa situazione?
Secondo Bloomberg in parte è stata sfortuna. Alcuni incidenti nelle fabbriche essenziali in Asia e blocco della produzione a causa dei blackout in Texas hanno azzoppato una produzione che era già troppo bassa per soddisfare una domanda sempre più in forte, con le aziende ormai al limite fisico della produzione. Ma il problema è stato anche l’aver totalmente frainteso gli andamenti del mercato durante la pandemia.
Con il rallentamento dei ritmi di lavoro, la crisi dell’occupazione e le persone chiuse in casa ci si aspettava che anche i consumi avrebbero frenato. Invece il lockdown ci ha portato a spendere di più per stare meglio in casa e soddisfare i bisogni legati al lavoro e alla didattica a distanza. Questo vuol dire nuovi computer, nuovi televisori, nuove console, nuovi elettrodomestici di ogni tipo. E anche se il mercato dell’automobile ha inizialmente rallentato, molti dopo hanno preferito l’auto ai mezzi pubblici per paura dei contagi, con conseguente rimbalzo verso l’alto di tutto il settore e della domanda di componenti. Quindi le fabbriche inizialmente avevano rallentato la produzione hanno dovuto ricominciare a spron battuto ma senza che chi ne aveva bisogno avesse fatto magazzino.
Il punto più difficile di questa situazione è che eventuali nuovi impianti di produzione necessitano di tempo e potrebbero apportare benefici solo nel lungo termine, ma soprattutto che nessuno li vuole costruire perché non sarebbero economicamente vantaggiosi. L’unica soluzione è aspettare una stabilizzazione della domanda, che richiederà ancora molti mesi, mentre le aziende continuano a bruciare miliardi.
Anche la produzione di Apple sembra messa a rischio dalla crisi globale dei chip: i prossimi MacBook Pro e gli iPad attesi per il mese di aprile subiranno probabilmente dei ritardi, o saranno disponibili inzialmente in quantità limitate.
Cos’è un microchip
Il microchip è “un circuito integrato (IC, dall’inglese integrated circuit), in elettronica digitale, è un circuito elettronico miniaturizzato dove i vari transistori sono stati formati tutti nello stesso istante grazie a un unico processo fisico-chimico.Un chip (lett. “pezzetto”) è il componente elettronico composto da una minuscola piastrina del wafer di silicio (die), a partire dalla quale viene costruito il circuito integrato; in pratica, il chip è il supporto che contiene gli elementi (attivi o passivi) che costituiscono il circuito. A volte si utilizza il termine chip per indicare complessivamente l’integrato.Il circuito integrato è adibito, sotto forma di rete logica digitale o analogica, a funzionalità di processamento o elaborazione di ingressi espressi sotto forma di segnali elettrici, al fine di ottenere dati in uscita. L’ideazione del circuito integrato si deve a Jack St. Clair Kilby, che nel 1958 ne costruì il primo esemplare composto da circa dieci componenti elementari, per il quale vinse il premio Nobel per la Fisica nel 2000″, si legge su Wikipedia.
La crisi delle materie prime
“La Cina è ripartita, ed è ripartita molto forte. La richiesta di materie prime è elevatissima in Asia. Ad esempio la bauxite, che serve alla lavorazione dell’acciaio. La Cina ne è ricchissima. Ha diversi giacimenti. Prima esportava un po’ in tutto il mondo. Ora tiene tutto in patria perché c’è forte richiesta”. Un problema quello della produzione dei microchip che coinvolgerà anche aziende italiane del settore come la StMicroelectronics (colosso dei semiconduttori con sede in Brianza) che “sta avendo ordini enormi dall’Asia proprio per la produzione di microchip il settore dell’automotive”.
Decine di fabbriche ferme
E’ dei giorni scorsi la notizia che Subaru chiudera’ il suo stabilimento di Yajima, in Giappone, a causa delle difficolta’ nell’approvigionamento di microchip, necessari alla produzione di auto. Lo ha fatto sapere la societa’ giapponese in una nota dove spiega che il polo produttivo della citta’ nella prefettura dei Gunma dovra’ fermarsi tra il 10 e il 27 aprile perche’ mancano chip per la produzione di circa 10.000 veicoli.La produzione di auto riprendera’ dal 10 maggio, ha fatto sapere la societa’. La scarsita’ di semiconduttori e’ un problema sempre piu’ urgente nella produzione di beni a livello mondiale. Secondo un’analisi Deloitte solo nella produzione di auto l’elettronica rappresenta oggi il 40% del valore di un veicolo. Infuria dunque la “crisi” dei chip che sta mettendo a serio rischio la capacita’ dei comparti produttivi, in primis il settore automotive, di cavalcare l’onda della ripresa economica, dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19. L’industria automobilistica statunitense e non solo (compresi marchi come Volkswagen, Ford e General Motors) ha a piu’ riprese esortato il governo a intervenire vista la carenza globale di semiconduttori che potrebbe provocare solo negli Stati Uniti 1,28 milioni di veicoli consegnati in meno quest’anno e interrompere la produzione per altri sei mesi.
Contemporaneamente, le societa’ produttrici di chip stanno registrando ordini record per il primo trimestre, con una domanda in aumento che ha contribuito a piu’ che raddoppiare gli utili registrati nel trimestre precedente. Ad esempio il marchio olandese Besi, che produce attrezzature per i produttori di chip, ha riportato ordini record a 327 milioni di euro in crescita del 108% rispetto al trimestre precedente e del 176% rispetto allo stesso trimestre del 2020. La domanda e’ stata particolarmente forte per le applicazioni di fascia alta degli smartphone legate ai prodotti 5G, ma anche per le applicazioni automobilistiche e i dispositivi logici utilizzati nell’intelligenza artificiale e nei data center. Insomma, le case automobilistiche competono contro la tentacolare industria dell’elettronica di consumo: la carenza globale di microchip e semiconduttori – i chip sono in pratica i sistemi nervosi che controllano i dispositivi elettronici – sta rallentando infatti la loro capacita’ di realizzare nuovi prodotti nel 2021.
In questo contesto il Governo italiano, applicando per la prima volta la golden power (il potere del Governo di porre il veto sulla cessione di aziende ritenute strategiche), ha bloccato l’acquisizione del 70% di Lpe spa, azienda lombarda che opera nel settore dei semiconduttori, da parte del gruppo cinese Shenzen investnent holdings. La decisione del governo italiano di bloccare attraverso il golden power la vendita di una societa’ italiana di semiconduttori a un’azienda cinese arriva infatti mente nel mondo infuria la “crisi” dei chip. Uno stallo che sta mettendo a serio rischio la capacita’ dei comparti produttivi, in primis quello dell’automotive, di cavalcare l’onda della ripresa economica, dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19.
“Abbiamo più volte sollecitato il Governo italiano di entrare nel merito della questione della crisi dei microchip al fine di poter garantire alle imprese italiane un adeguato aprovvigionamento, ma per ora non abbiamo ottenuto risposte”, conclude Occhiuto.
La preoccupazione dei sindacati
“Siamo fortemente preoccupati – spiega Pietro Occhiuto della Fiom Cgil -. Diversi delegati nelle fabbriche ci informano che c’è in questa fase una richiesta di cassa integrazione in aumento da parte delle aziende non a causa del calo della domanda dei prodotti, non per le chiusure dovute al Covid ma proprio per la mancanza di materie prime, in particolare i microchip che oramai finiscono un po’ in tutti gli strumenti di uso comune: dalle auto ai telefonini, dagli elettrodomestici ai computer. Questa cosa rischia di scatenare una crisi che potrebbe essere ben peggiore addirittura di quella generata dal Covid”.