Site icon Occhio Notizie

La dissoluzione dell’Unione Sovietica, i fatti correlati all’indipendenza delle degli Stati del grande freddo

La dissoluzione dell’Unione Sovietica fu il processo di disgregazione che coinvolse il sistema politico, economico e la struttura sociale sovietica, compreso tra il 19 gennaio 1990 e il 26 dicembre 1991, portando alla scomparsa dell’Unione Sovietica, all’indipendenza delle repubbliche sovietiche e alla restaurazione dell’indipendenza nelle repubbliche baltiche, avvenuta il 26 dicembre dello stesso anno, dando così nascita ai cosiddetti Stati post-sovietici.

La dissoluzione dell’Unione Sovietica, fine di un’era

Con l’elezione di Michail Gorbačëv nel 1985 quale segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) era iniziata una nuova fase nella storia dell’U.R.S.S. Infatti Gorbačëv fu sostenitore di una innovativa politica per l’Unione Sovietica fondata sui concetti chiave di perestrojka (ristrutturazione del sistema economico nazionale) e alla glasnost’ (trasparenza) volta al superamento dei problemi socio-economici del paese. Questa politica di riforme, se da un lato portò alla fine della Guerra fredda e dell’isolamento internazionale dell’U.R.S.S., dall’altro lato portò all’emersione dei problemi economici dello Stato che fino ad allora erano stati tenuti nascosti.

La fine della rigida politica di repressione interna, la recessione economica e l’ammissione della fragilità del sistema politico, fecero emergere ben presto i contrasti, gli odi razziali e le spinte indipendentistiche dei numerosi popoli che erano stanziati nello sterminato territorio dello stato sovietico e che fino a quel momento erano state tenute sotto controllo dall’apparato centrale. La grave situazione economica e i crescenti disordini nelle varie Repubbliche sovietiche portarono alle prime elezioni multipartitiche nella storia dell’U.R.S.S.

1986

 

Nel 1986 Gorbačëv continuò a premere per una maggiore liberalizzazione. il 23 dicembre 1986 il maggior dissidente sovietico, Andrei Sacharov, ritornò a Mosca dopo aver ricevuto personalmente una chiamata telefonica da parte di Gorbačëv che gli diceva che gli oltre sette anni del suo esilio interno per sfidare le autorità erano finiti.

I Paesi Baltici, incorporati nell’Unione Sovietica nel 1940, cominciarono a spingere per il ripristino dell’indipendenza, iniziando dall’Estonia nel novembre 1988, quando il legislatore estone approvò delle leggi nonostante l’opposizione del governo centrale. L’11 marzo 1990 la Lituania fu la prima delle tre repubbliche baltiche a dichiarare il ripristino della propria indipendenza, sulle basi della continuità di stato.

La CTAG Helsinki-86 (Cilvēktiesību aizstāvības grupa, Gruppo di difesa dei diritti umani) fu fondata nel luglio 1986 nella città portuale lettone di Liepāja da tre operai: Linards Grantiņš, Raimonds Bitenieks e Mārtiņš Bariss; il nome fa riferimento agli accordi di Helsinki e all’anno della sua fondazione. Helsinki-86 fu la prima organizzazione apertamente anti-comunista e apertamente in opposizione al regime in Unione Sovietica, facendo da esempio per altri movimenti indipendentisti delle minoranze etniche.

A Riga, il 23 dicembre 1986, nelle prime ore del mattino dopo un concerto rock, circa trecento giovani lavoratori lettoni si riunirono nella piazza della cattedrale e marciarono verso viale Lenin gridando, una volta giunti al monumento alla Libertà: “Russia sovietica fuori! Libera Lettonia!”. Forze di sicurezza si confrontarono coi manifestanti e diversi veicoli della polizia furono rovesciati.

1988

Nel 1988 Gorbačëv iniziò a perdere il controllo in due piccole regioni dell’Unione Sovietica: le tre repubbliche baltiche, che furono conquistate dai rispettivi fronti popolari, e il Caucaso (dove già da anni c’erano forti tensioni in Nagorno-Karabakh, che sfociarono nella violenza e nella guerra civile).

Il 1º luglio 1988, il quarto e ultimo giorno della 19ª conferenza del partito, Gorbačëv vinse la resistenza dei delegati alla sua proposta di creare un nuovo organo legislativo supremo chiamato Congresso dei Deputati del Popolo dell’Unione Sovietica. Frustrato dalla resistenza della vecchia guardia ai suoi tentativi di liberalizzazione, Gorbačëv intraprese una serie di riforme costituzionali per separare il Partito dallo Stato e quindi isolare i suoi avversari conservatori. Proposte dettagliate per il nuovo Congresso vennero pubblicate il 2 ottobre 1988, e, per consentire l’apertura della nuova legislatura del Soviet Supremo, durante le sessioni tra il 29 novembre ed il 1º dicembre, attuò degli emendamenti alla Costituzione del 1977, promulgando una legge sulla riforma elettorale e fissando come data delle elezioni il 26 marzo 1989.

Il 29 novembre 1988 l’Unione Sovietica cessò di interferire con le trasmissioni radio straniere consentendo ai cittadini sovietici l’accesso a fonti di informazioni diverse da quelle istituzionali.

1990

Unione Sovietica centrale – Perdita di sei repubbliche

Riga: Monumento alla Libertà, il luogo di ritrovo delle manifestazioni pro-indipendentiste.

Il 7 febbraio 1990, nel suo 70º anniversario di lungo monopolio di potere politico, il Comitato Centrale del PCUS accettò le raccomandazioni di Michail Gorbačëv. Come conseguenza, durante il 1990 tutte e quindici le repubbliche che costituivano l’URSS tennero le loro prime libere elezioni: riformatori e nazionalisti etnici ottennero la maggioranza dei seggi. Il PCUS perse le elezioni nelle seguenti sei repubbliche:

Elezioni multipartitiche

La folla festeggia il fallimento del colpo di stato reggendo un’enorme bandiera russa in Piazza Rossa, Mosca, 22 agosto 1991.

Nel febbraio 1990, il Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica accettò di rinunciare al suo stato di partito unico. Nel corso delle settimane successive, le 15 repubbliche dell’URSS tennero le loro prime libere elezioni.

Le repubbliche costituenti iniziarono a dichiarare la propria sovranità nazionale e iniziarono una “battaglia legislativa” con il governo di Mosca, in cui i governi delle repubbliche costituenti respingevano la legislazione a livello di Unione, dove era in conflitto con le leggi locali, affermando il controllo su tutte le loro economie locali e rifiutandosi di pagare le entrate fiscali al governo centrale di Mosca.

Il movimento indipendentista lituano convocò il 3 giugno 1988, giorno della visita di Michail Gorbačëv, una manifestazione a sostegno dell’indipendenza.

L’11 marzo 1990 la Lituania, guidata dal Presidente del Consiglio Vytautas Landsbergis, dichiarò la propria indipendenza. Tuttavia, l’Unione Sovietica mise in atto una sorta di embargo nei confronti della Lituania e vi mantenne le sue truppe “per garantire i diritti dell’etnia russa”.

Il 30 marzo 1990 il Consiglio Supremo Estone dichiarò illegale il potere sovietico in Estonia, e avviò un processo per ristabilire l’indipendenza dell’Estonia. Il processo di ripristino dell’indipendenza della Lettonia iniziò invece il 4 maggio 1990, con voto del Consiglio Supremo che previde un periodo transitorio di completa indipendenza.

Il 17 marzo 1991, in un referendum, il 76,4% di tutti gli elettori votarono per il mantenimento dell’Unione Sovietica in una forma riformata. Paesi Baltici, Armenia, Georgia e Moldavia boicottarono il referendum. In ciascuna delle altre nove repubbliche, la maggioranza dei votanti sostenne un’Unione Sovietica riformata.

Il 12 giugno 1991 El’cin vinse con il 57% dei voti le elezioni presidenziali per il posto di presidente della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, superando tra gli altri il candidato di Gorbačëv, Nikolaj Ryžkov.

Exit mobile version