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L’Europa che insegue tutto e non raggiunge niente

Domenico De Rosa

 

di Domenico De Rosa

C’era una volta un continente che si svegliò un mattino e si accorse con sgomento di essere irrimediabilmente in ritardo su tutto. Anni di delizie burocratiche regolamenti intricati come un romanzo di Dostoevskij vincoli ecologisti degni di una distopia orwelliana e soprattutto una fiducia cieca nella propria capacità di dettare le regole del gioco lo avevano lasciato privo di un vero progetto industriale. Ma invece di fermarsi a riflettere prese la rincorsa per inseguire ogni lepre possibile come un cacciatore goffo e trafelato che carica il fucile mentre inciampa nei rovi.

La prima lepre che l’Europa si lanciò a inseguire fu quella della rivoluzione tecnologica. Quando si accorse che il digitale non era solo un’idea vagamente interessante ma il fulcro della geopolitica del ventunesimo secolo Bruxelles si lanciò nella costruzione di una sua sovranità digitale con l’entusiasmo di chi cerca di fare un’auto elettrica partendo da un carro di legno. Il risultato fu un’orgia di regolamentazioni soffocanti come il GDPR che forse ha reso più sicuri i dati degli utenti ma ha anche blindato ogni innovazione dietro una montagna di scartoffie. Nel frattempo gli Stati Uniti e la Cina si spartivano il mercato dei semiconduttori e dell’intelligenza artificiale mentre l’Europa restava a guardare con la stessa espressione di un turista che si accorge di aver perso l’ultimo treno. Poi ci fu la grande corsa alla sovranità industriale.

Dopo decenni di delocalizzazione e deindustrializzazione mascherate da progresso ecologico si scoprì che senza fabbriche non si fa economia. Apriti cielo. Partirono i piani per riportare in patria la produzione di microchip con investimenti miliardari nel settore dei semiconduttori con la speranza di recuperare in pochi anni il distacco con colossi come Taiwan e Corea del Sud. Una strategia brillante se non fosse che mentre si costruivano le fabbriche e si stilavano report dettagliati sulla competitività futura il resto del mondo correva ancora più veloce. Nel frattempo si apriva la stagione della caccia grossa con la transizione energetica.

Qui l’Europa giocò il suo capolavoro. Dopo aver deciso che il futuro sarebbe stato verde e che la fine dei combustibili fossili era ormai scritta nelle stelle partì con una raffica di regolamentazioni ambientaliste che avrebbero dovuto trasformare il continente in un paradiso ecologico. Peccato che nel frattempo la Cina costruiva il monopolio delle terre rare e dominava il mercato delle batterie e degli impianti fotovoltaici mentre gli Stati Uniti lanciavano il loro mastodontico piano di incentivi per l’industria green lasciando l’Europa a dibattersi tra target irrealistici e una crisi manifatturiera senza precedenti. E quando la geopolitica prese una piega bellica l’Europa si scoprì improvvisamente interessata a diventare una superpotenza militare.

Dopo anni passati a ripetere che la guerra era un ricordo del passato e che la potenza economica era la sola moneta di scambio nelle relazioni internazionali ci si rese conto che il mondo non era d’accordo. L’America guardava con sospetto alla fragilità strategica del vecchio continente la Russia si riaffacciava con una brutalità che i salotti buoni di Bruxelles non riuscivano a spiegarsi e la Cina sorrideva osservando le titubanze europee. Così partì l’ennesimo piano di sovranità questa volta militare con fondi per la difesa e progetti per l’industria degli armamenti da realizzare possibilmente prima della prossima crisi. Peccato che la produzione industriale europea fosse già strangolata da regolamenti e costi energetici insostenibili.

E così l’Europa si ritrova a inseguire tutte le lepri disponibili dalla tecnologia alla manifattura dalla transizione verde alla corsa agli armamenti con la stessa strategia di chi cerca di vincere una maratona iscrivendosi all’ultimo momento senza allenamento e con gli scarponi ai piedi. Si vuole essere leader nell’IA senza un’industria tech di livello globale si vuole produrre chip senza le fonderie necessarie si vuole dominare la transizione energetica senza il controllo sulle materie prime e ora si vuole persino diventare una superpotenza militare senza un’industria della difesa adeguata. Il tutto con la solita convinzione che le norme e i regolamenti possano sostituire la realtà materiale.

La grande ironia della storia è che l’Europa continua a credere che basti decidere qualcosa a tavolino perché quella cosa accada. Si immagina un futuro di primati tecnologici industriali ed ecologici senza mai preoccuparsi di costruire davvero la base per raggiungerli. Si accorge del proprio ritardo sempre troppo tardi e quando parte per recuperare lo fa con il fiato corto e il passo incerto finendo per inciampare nei propri stessi regolamenti. Il destino che la attende è quello di chi rincorre sempre ma non raggiunge mai di chi sogna di essere una superpotenza ma non possiede gli strumenti per esserlo di chi crede di dettare le regole del mondo mentre il mondo va avanti senza aspettare.”

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