L’eco dell’importante esposizione dedicata allo scultore lucano, Donato Linzalata, a pochi mesi dalla scomparsa, intitolata Al monte della seta. Donato Linzalata e i pittori del mito, risuona come il canto di un usignolo, in Basilicata ed oltre. La mostra, organizzata dalla Fondazione Porta Coeli, curata da Donato Faruolo, si è svolta nel castello di Monteserico, a Genzano di Lucania, uno spazio architettonico riconfigurato, adattato all’accoglienza di eventi artistico/culturali, un contenitore perfettamente ed armoniosamente inserito nella natura lucana.
Nella manifestazione, quarta tappa di ‘404 Programma per l’arte contemporanea di Porta Coeli Foundation’ del progetto ABCD, finanziato nell’ambito dei Piani integrati della Cultura – Regione Basilicata 2022 -, sono state presentate esclusivamente opere scultoree (di piccolo e grande formato) di Donato Linzalata, le quali in sinergia con alcuni lavori pittorici e plastici di artisti (da egli) stimati, hanno dato vita ad un dialogo senza eguali. Amici di lunga data, compagni di viaggio con cui ha condiviso l’evoluzione teorica e tecnica della propria ricerca artistica, come – figure note al panorama dell’arte nazionale- Pino Lauria, Salvatore Comminiello, Giovanni Cafarelli, Felice Lovisco, Giuseppe Miriello, Nino Tricarico, Arcangelo Moles e Dario Carmentano, artisti che con le loro ricerche hanno contribuito alla crescita culturale degli ambienti dell’entroterra lucano.
Le sculture di Linzalata, dal respiro elegante e sinuoso, sono caratterizzate da un intaglio pulito, raffinato, le cui venature (i supporti maggiormente adoperati sono il legno di castagno e di pioppo) fanno da guida attenta alla ‘quadri-genia’ dell’artista, ovvero alla volontà di imprimere la visione che aleggia nella sua mente, in materiali dichiarati – apparentemente – poveri. Una Aura Eterna che Linzalata ripropone in termini di ‘Hic et nunc’, un centro cosmico in cui l’esperienza soggettiva dello spettatore si plasma in una metamorfosi di unicità, irripetibile momento che può essere solo raccontato, in quanto testimonianza diretta, con l’ausilio di una rinnovata pratica ecfrastica.
Figure dalle silhouette allungate, lontane da canoni prospettici, memori in qualche modo dell’arte primitiva solcata in Europa nei primi anni del Novecento, che indistinta nel genere e nella forma, tramuta anche in simboli propiziatori di magia bianca, o in riconducibili strumenti occulti di magia nera. Riti/Ponti che conducono chi li pratica in mondi altri, quell’altrove più volte indagato dalle suggestioni surreali, dalle tedesche espressioni spirituali, dal silenzio statico della metafisica. Il fascino dell’indefinizione, il confine tra il visibile e l’invisibile è un perimetro che allo scultore lucano appare con chiarezza, la sua indagine tattile, sospinta da una profonda sensibilità, estrae dalla materia, in questo caso lignea, una essenzialità dell’immagine.
Sembianze antropomorfe, linee totemiche, entità naturali o soprannaturali, restituiscono il contatto di Linzalata con la sua terra natia, di cui lo scrittore, pittore e antifascista torinese Carlo Levi, nel celebre romanzo “Cristo si è fermato ad Eboli”, nel 1945 scrive: “Parlavo con i contadini, e ne guardavo i visi, e le forme: piccoli, neri, con le teste rotonde, i grandi occhi e le labbra sottili, nel loro aspetto arcaico essi non avevano nulla dei romani, né dei greci, né degli etruschi, né dei normanni, né degli altri popoli conquistatori passati sulla loro terra, ma mi ricordavano le figure italiche antichissime (…)”.
Ecco, Donato Linzalata è riuscito a cogliere nella semplicità stilizzata delle forme – in cui a volte sono riconoscibili elementi quali seno, volto, braccia -, i misteri di quella magia contadina che da secoli è spartiacque di pensieri contrastanti. L’incavo fluido, morbido, spigoloso, abitato da leggere cromie (ricorrenti sono il verde e il rosso, la terra e il fuoco, entrambi catalizzatori di potere mistico), è lo strumento scrittorio mediante cui lo scultore dà voce a miti, leggende – memori delle colonne istoriate dell’Antica Roma, manifesti di battaglie trionfanti -, il suo sguardo, soggettivo, è insieme il riflesso di una collettività che per anni è stata lasciata ai margini, e che oggi come allora, chiede, reclama il suo posto nella società ‘italiana’. Lo scultore, con le sue opere ha avvicinato realtà pensate, credute lontane, la sua arte, minuziosa, pura e minimale, ha condotto quello che si riteneva artigianato locale verso soglie di design ricercato e sofisticato.