Edoardo Scarpetta , è stato un attore e commediografo italiano. Fu il più importante attore e autore del novecento, capostipite della dinastia teatrale degli Scarpetta-De Filippo.
Edoardo Scarpetta,
Edoardo Scarpetta è nato a Napoli il 12 marzo del 1853. Figlio di un funzionario statale, Domenico Scarpetta (che tentò più volte di avviarlo agli studi e alla sua carriera) e di Emilia Rendina, il suo nome di battesimo fu Odoardo Lucio Facisso Vincenzo.
Nel 1868, all’età di quindici anni decise di entrare in una compagnia teatrale: in primo luogo per seguire la sua ambizione, ma anche per poter aiutare la famiglia trovatasi in gravi condizioni economiche per il cattivo stato di salute del padre. Riuscì così a farsi presentare dall’attore Andrea Natale all’impresario Alfonso Ventura, il quale lo scrittura come generico nella compagnia di Antonio Petito di cui divenne capocomico nel 1879.
Dal 1870 comincia il suo successo personale con l’interpretazione di Felice Sciosciammocca. Lo stesso Antonio Petito scritturò Scarpetta conformando su di lui il personaggio di Felice Sciosciammocca che accompagnava Pulcinella nelle sue farse. Petito scrisse infatti per Scarpetta alcune farse fra cui le più note sono: “Feliciello mariuolo de ‘na pizza” e “Felice Sciosciammocca creduto guaglione ‘e n’anno” che Scarpetta porterà in scena insieme ad alcuni copioni che lui stesso, ormai esperto, aveva approntato. Dopo la morte di Petito, sostituito da De Martino, lascia il San Carlino.
La tortuosa scalata verso il successo
Ambizioso, arrivista, mira ad emergere ad ogni costo, preferendo patire la fame piuttosto che sottostare a Davide Petito, nuovo capo della compagnia. Dopo un brevissimo periodo trascorso a Roma, nella compagnia di Raffaele Vitale (uno dei più celebri Pulcinella dell’epoca) prende in affitto con alcuni comici del San Carlino un baraccone sul Molo, il Metastasio, dove rappresenta alcuni suoi lavori. Nel 1878 accetta di far ritorno al San Carlino, sapendo che al suo fianco avrebbe recitato in sottordine il pulcinella Cesare Teodoro; qui ottiene un grande successo con la commedia Don Felice maestro di calligrafia meglio conosciuta come Lu curaggio de nu pompiere napulitano. L’anno successivo viene scritturato per una tournée a livello nazionale.
Nel 1880 ottenne un prestito di 5mila lire dall’avvocato Severo e, grazie alla sua tenacia, riesce a riaprire e rinnovare il vecchio e glorioso teatro San Carlino, dove debutta il primo settembre con la commedia Presentazione di una Compagnia Comica. Egli stesso, nelle sue Memorie racconta che «Il pubblico sorpreso e ammirato dall’affiatamento della compagnia, dalla naturalezza della recitazione, dalla inappuntabile proprietà del vestiario, rise e applaudì fragorosamente».
Iniziò così una stagione di grandi successi, che lo portano ben presto a diventare un idolo. Diventato ormai un capocomico di successo, nato da una famiglia modesta, possiede ora un palazzo in Via Dei Mille, costruito dallo stesso architetto del Teatro Bellini, Vincenzo Salvietti, carrozze e cavalli. Sposato dal 1876 con Rosa De Filippo (la quale, da giovane, era stata amata dal re Vittorio Emanuele II e si mostra spesso con diademi e brillanti degni di una regina) aveva poi intrecciato una relazione con la nipote di costei, Luisa De Filippo.
I frutti del duro lavoro
Il 15 maggio 1889 ottenne un memorabile successo con ‘Na Santarella al Teatro Sannazzaro di via Chiaia. Tutta Napoli, elegante e mondana, accorre al piccolo teatro, e con gli incassi della commedia, che gli apre definitivamente le porte della capitale, si fece costruire una villa sulla collina del Vomero, chiamata appunto Villa Lba Santarella, dove sulla facciata principale campeggiava la scritta «Qui rido io!» che qualche anno dopo vendette perché la moglie aveva paura di abitarci da sola quando il marito era in tournée.
Il suo successo più grande, Miseria e nobiltà, che in seguito ebbe tre trasposizioni cinematografiche (memorabile fu quella del 1954 con Totò), fu scritto unicamente per permettere la partecipazione alla commedia del figlio dodicenne Vincenzo, che nella prima rappresentazione recitò nel ruolo di Peppiniello.
La fondazione del Teatro Salone Margherita, il primo grande varietà napoletano, costruito nei sotterranei della nuova Galleria Umberto I, cominciò a minare le fortune del commediografo, che in risposta alla nuova moda si ripresentò al pubblico con un suo Cafè-chantant, ma il colpo di grazia gli arrivò nel 1904, quando fu protagonista suo malgrado di una delle più clamorose vicende teatrali dell’epoca: quella riguardante la parodia de La figlia di Iorio di Gabriele d’Annunzio, che gli procurò un cocente insuccesso (D’Annunzio addirittura lo trascinò in tribunale per una memorabile causa durata tre anni, dal 1906 al 1908, che comunque Scarpetta vinse) e tante amarezze. Moltissime sono le critiche di questi anni, soprattutto da parte di Salvatore Di Giacomo e Roberto Bracco. Unica voce in sua difesa fu quella di Benedetto Croce.
La denuncia di D’Annunzio
Il 2 marzo 1904, al Teatro Lirico di Milano, viene rappresentata, per la prima volta, una tragedia in 3 atti di Gabriele D’Annunzio. Dal titolo “La figlia di Iorio”. Facendo un passo indietro nel tempo di neanche un mese, precisamente al 6 febbraio dello stesso anno, al Teatro Valle di Roma, veniva messa in scena “La geisha’” parodia di un’opera di Sidney Jones firmata da Edoardo Scarpetta.
Al Tribunale di Napoli, Scarpetta si esibì come fosse a teatro
L’apice dello “scontro” avvenne al Tribunale di Napoli, durante un’udienza. Quando Scarpetta, neanche si fosse trovato al centro della scena di uno dei suoi spettacoli, tenne un dialogo con il Presidente, che avrebbe tranquillamente potuto mettere in uno di essi. Come riportarono gli stessi giornali dell’epoca.
«Scarpetta: Ecco, Signor Presidente, io non sono un oratore, farò del mio meglio (ricominciando , con tono solenne) Signor Presidente, signori della Corte (scoppio di risa) Presidente: Scarpetta, questa non è Corte, è Tribunale. Scarpetta: me credevo che stevo facenno o’ terz’atto d’O Scarfalietto…»
Abilmente mise in rilievo la spocchia del Vate quando raccontò del suo incontro con D’Annunzio: «…gli feci scrivere dall’amico Gaetano Miranda, sollecitando il permesso. Ma non ebbi alcuna risposta. Mi si disse che il Poeta aveva l’abitudine di non rispondere a nessuno. Tante grazie!». Disse il Presidente, «È vero che D’Annunzio vi promise una sua fotografia?» e Scarpetta rispose, «Si, volle anche la mia, ma non mi mandò più la sua».
La piena assoluzione di Scarpetta
Infine dopo aver recitato in tribunale alcuni versi de Il figlio di Iorio rivendicò orgogliosamente la sua autentica dignità di autore teatrale dialettale pari a quella di chi componeva opere in lingua letteraria e avanzava il sospetto che l’insuccesso della rappresentazione fosse stato preordinato:
«Era questa una parodia da meritare quei fischi della prima sera? Durante il baccano che si fece, ricordo che Ferdinando Russo gridò “Abbasso Scarpetta, Viva l’arte italiana”. Ma scrivo io, forse, per il teatro turco o cinese? Io non feci una contraffazione, ma una parodia.» Quello tra D’Annunzio e Scarpetta fu il primo processo per diritto d’autore in Italia.
La causa andò avanti fino al 1908 e si concluse con la piena assoluzione di Scarpetta, in quanto il fatto non costituiva reato. Sentenza fondamentale, nel primo processo per diritto d’autore in Italia, per legittimare tutte le parodie che successivamente avrebbero contraddistinto la storia dello spettacolo.
Il ritiro e la morte
Nel 1909, deluso e amareggiato, si ritirò dalle scene, dopo aver preso parte alla parodia La Regina del Mare, composta dal figlio Vincenzo, al quale egli impone di essere suo continuatore nel ruolo di Sciosciammocca. Nel 1920 scrisse un saggio sui caratteri innovatori dell’arte di Raffaele Viviani.
morì a Napoli il 29 novembre del 1925, all’età di 72 anni, e i suoi funerali furono imponenti: venne imbalsamato e deposto in una bara di cristallo; riposa nella cappella delle famiglie De Filippo, Scarpetta e Viviani al Cimitero di Santa Maria del Pianto a Napoli.
Le sue commedie vennero riprese molte volte e sono spesso in cartellone. Oltre al figlio Vincenzo, anche altri celebri attori napoletani, come i fratelli Aldo e Carlo Giuffré, recitarono le sue commedie brillanti. Sul grande schermo vennero ricavati diversi film dalle sue commedie, oltre a tre versioni del suo capolavoro, anche se la versione muta del 1914 è da considerarsi perduta.
La dinastia teatrale
È difficile parlare con semplicità della famiglia di Edoardo Scarpetta per le tantissime chiacchiere, malignità e pettegolezzi proliferati a giusta causa e non attorno alla sua vita privata.
È certo che egli non fece nulla per cercare di impedire o quanto meno arginare la marea di voci che circolavano sul suo conto; certamente erano altri tempi ed esistevano altri modi di leggere i comportamenti privati di un personaggio noto, anzi stranoto.
Così se per un verso erano conosciute nel silenzio le sue paternità extraconiugali, queste erano taciute in pubblico per una sorta di rispetto reverenziale nei confronti del personaggio beniamino delle platee; o ancora erano, in qualche caso, motivo di dileggio più o meno cattivo come quando, rimbeccato al teatro Sannazzaro da uno spettatore che gridò al suo indirizzo: “…Scarpè tiene ‘e ccorna!”, egli rispose con tutta calma: “…Sì, ma ‘e mmie so’ reali!”.