Cronaca

Il piccolo Eitan portato in Israele dal nonno | Cosa potrebbe succedere

Il piccolo Eitan, l'unico sopravvissuto al crollo della funivia del Mottarone, è stato portato in Israele dal nonno. Cosa potrebbe accadere ora

A quattro mesi dal tragico crollo della funivia del Mottarone, il destino del piccolo Eitan, l’unico sopravvissuto al disastro, torna al centro delle cronache. Il bimbo di soli 6 anni è stato rapito e portato in Israele da suo nonno. Ma cosa sappiamo? E cosa potrebbe succedere?

Il piccolo Eitan portato in Israele dal nonno: cosa potrebbe succedere ora

Dopo la morte dei genitori, la mamma Tal Peleg e il papà Amit Biran, del fratellino Tom, 2 anni, e dei nonni di Peleg, Itshak e Barbara Cohen, Eitan è stato affidato alla zia paterna, Aya Biran, che ne è tutrice legale. La donna abita in provincia di Pavia, città in cui Eitan è cresciuto. Il piccolo è però nato in Israele, ed è sfruttando la doppia cittadinanza e il doppio passaporto che sabato 11 settembre il nonno l’ha condotto sino a Lugano in auto, e da lì si è imbarcato su un volo privato diretto a Tel Aviv.

Eitan e i contrasti tra i due rami familiari

La famiglia del padre di Eitan ha immediatamente lanciato l’allarme definendo l’accaduto “un rapimento” e dicendosi – in particolare la zia – seriamente preoccupata per le condizioni psicofisiche del bambino. Il ramo materno ha invece sottolineato come i genitori del bambino volessero che crescesse in Israele, sostenendo di avere rispettato le loro volontà.

A nominare la zia paterna di Eitan tutrice legale era stato il tribunale di Pavia dopo la tragedia del 23 maggio scorso, che aveva lasciato il bambino orfano. L’intenzione del ramo paterno della famiglia è sempre stata quella di crescere il piccolo in Italia, facendogli continuare le sedute di fisioterapia e psicoterapia di cui necessita dopo il trauma fisico e mentale che ha vissuto (il ricovero in ospedale è durato settimane, e ha lasciato pesanti strascichi anche dal punto di vista della mobilità). Il ramo materno ha di contro sempre espresso la volontà di portarlo in Israele, sostenendo che non solo i genitori, ma lo stesso Eitan condividevano lo stesso desiderio.

L’educazione e la crescita del bambino sono state al centro di numerosi scontri tra i due rami familiari, con la famiglia paterna che ha sempre sostenuto che i genitori del bambino erano intenzionati a continuare a vivere la loro vita in Italia e quella materna che lo ha invece più volte negato: “Volevano tornare in Israele”, hanno ribadito in più occasioni, dichiarando che il padre e la madre di Eitan volevano far crescere il figlio nel paese natale, tramandandogli usi, tradizioni e lingua.

Da Pavia a Lugano in auto, poi un volo privato sino a Tel Aviv con il doppio passaporto

Proprio per questo la famiglia Peleg ha presentato nel corso del tempo numerosi ricorsi contro la decisione di affidare il bambino alla zia paterna. Il tribunale di Pavia li ha però respinti, intimando inoltre al nonno materno di restituire il passaporto israeliano del bambino, paventando l’ipotesi che potesse essere utilizzato per l’espatrio. Il 30 agosto era l’ultimo giorno utile per rispettare la disposizione del tribunale, ma Shmuel Peleg – ex militare dell’esercito israeliano – non lo ha rispettato e ha usato il passaporto per trasferire Eitan in Israele approfittando di una delle visite concordate con il tribunale. Stando a quanto riferito da Aya Biran, l’uomo sabato mattina ha detto di voler accompagnare il nipote a comprare dei giocattoli, ma alle 18.30 la zia materna del bambino, Gali Peleg, ha inviato un sms ad Aya dichiarando che “Eitan è a casa”. Attualmente, stando a fonti locali, il bambino sarebbe ricoverato in ospedale a Tel Aviv.

“Non abbiamo rapito Eitan e non useremo quella parola”, ha detto Gali Peleg in un’intervista a Radio103FM rilasciata all’indomani dall’arrivo di Eitan in Israele. E poi ha ribadito: “Abbiamo riportato Eitan a casa. Abbiamo dovuto farlo dopo che non abbiamo ricevuto alcuna informazione sulla sua salute o sulla sua condizione mentale. Se il giudice non avesse programmato gli incontri non lo avremmo neppure visto”. La famiglia materna di Eitan ha sempre sostenuto di essere stata tagliata fuori dalla vita del nipotino e di non essere stata aggiornata sulle decisioni prese per lui, tra cui l’iscrizione a una scuola cattolica. I numerosi botta e risposta tra le due famiglie hanno portato alla luce conflitti radicati, e diverse visioni a livello non solo educativo, ma anche politico e sociale.

Cosa potrebbe succedere adesso

Che cosa succederà adesso a Eitan è complesso da stabilire. La zia paterna, dopo avere sporto denuncia, ha intimato di riportare il piccolo in italia dicendosi molto preoccupata per le sue condizioni di salute, ma la famiglia materna non sembra intenzionata ad accogliere la richiesta (Gali Peleg avrebbe già avviato le pratiche per l’adozione del bambino). Pare però che il governo israeliano propenda per dare ragione alla famiglia paterna: stando a quanto riportato da Channel 12 News, domenica sera il ministero degli Esteri e quello della Giustizia hanno emesso un parere legale in cui si rileva che portare Eitan in Israele contro la volontà della tutrice legale costituisce con tutta probabilità un rapimento.

La zia Aya, tramite i suoi avvocati, ha citato la Convenzione dell’Aia, l’insieme di norme riconosciute a livello internazionale per la protezione e la tutela dei minori. La convenzione, cui aderisce anche Israele, stabilisce che in caso di sottrazione internazionale di minore si interpellino i giudici dello Stato dove è stato portato il bambino, e che in caso di riscontro di un illecito il giudice deve ordinare il rimpatrio del minore nel paese di residenza, dove devono esprimersi i giudici locali. Nel caso di Eitan, i giudici italiani.

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