Cronaca

L’emoji del pollice su vale come una firma: il caso in Canada

L’emoji del pollice su vale come una firma: una sentenza storica quella di un giudice del Canada, dove l’utilizzo della popolare emoji è costato oltre 61mila dollari canadesi (circa 42mila euro) a un agricoltore il quale si era visto recapitare una proposta di contratto per la fornitura di un’importante quantità di cereali. Secondo il giudice, quel pollice virtuale rappresentava la firma di un accordo tra le parti.

L’emoji del pollice su vale come una firma: la sentenza in Canada

Protagonista della vicenda è l’agricoltore Chris Achter. L’uomo, nel 2021, si è visto recapitare un contratto per 87 tonnellate di cereali da consegnare a novembre. In quella mail si leggeva “Si prega di confermare”. Mail a cui Achter rispose con l’emoji del pollice verso l’alto. Una risposta interpretata dall’azienda come un’accettazione del contratto. E così, quando nel periodo stabilito la merce non è arrivata, i titolari dell’impresa hanno fatto causa all’agricoltore, chiedendo anche i danni.

La decisione del giudice

In tribunale, l’uomo si è difeso sostenendo che, nelle sue intenzioni, l’emoji con il pollice in su corrispondeva semplicemente alla conferma di avere ricevuto la mail. Il giudice di Saskatchewan, T.J. Keen, però, ha ritenuto l’emoticon come una vera e propria firma. “La Corte riconosce che non è un modo tradizionale di firmare”, ha scritto il giudice nella sentenza, “ma in queste circostanze resta valido”.

Paolo Siotto

Giornalista pubblicista dal 2015, collabora per l'Occhio da giugno 2019 dopo diverse esperienze con testate locali tra cui il quotidiano Metropolis. Redattore per Fantacalcio e Calciomercato.it, nel tempo libero ama dedicarsi alla buona musica.

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