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In Italia salari medi più bassi del 1990

In Italia gli stipendi sono più bassi del 1990. L’analisi OCSE proietta, nello stesso arco temporale, un aumento del 30% in Francia ed in Germania, così come in tutti gli altri paesi europei. Le criticità sarebbero dovute ad una scarsa produttività del sistema economico, al punto che il Pnrr resta l’unica soluzione per la ripresa.

I salari medi e le ricadute della crisi pandemica

Negli ultimi trent’anni il trend è stato piuomeno omogeneo ed ha registrato un aumento dei salari medi in quasi tutta Europa. Soltanto l’Italia sembra non essere stata investita dalla stessa ondata, peggiorando, anzi, la situazione dei lavoratori.

A rimarcare le pessime condizioni dell‘Italia anche la crisi pandemica, che ha chiaramente riverberato i suoi effetti negativi sul mondo del lavoro. A causa della pandemia, infatti, il tasso di disoccupazione si è spaventosamente innalzato, alimentando altresì le diseguaglianze sociali ed economiche, in realtà già preesistenti.



Come riporta Openpolis, un’attenta analisi dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) sottolinea quanto la pandemia “ha messo alla prova i lavoratori e ne ha peggiorato le condizioni di vita”. In tutta Europa “molti posti di lavoro sono andati perduti e il numero di ore lavorate in media ha registrato un calo, soprattutto per quanto riguarda le professioni meno retribuite. Mediamente nel 2020 la massa salariale, con cui si intende il totale dei salari lordi non standardizzati, è infatti diminuita rispetto all’anno precedente (-6,5% di massa salariale, in Europa, tra prima e dopo la pandemia, secondo le stime dell’Oil)”.

Il medesimo studio riflette quanto abbia contribuito a peggiorare le stime, oltre ad un innalzamento della disoccupazione, anche il “taglio delle ore lavorative”, mentre il governo correva ai ripari con misure di salvaguardia a livello nazionale. In particolare: Cassa integrazione, blocco degli sfratti,  Reddito di Cittadinanza e blocco dei licenziamenti, in vigore da febbraio 2020 a fine giugno 2021. Ciò ha contribuito ad arginare ulteriormente la perdita della massa salariale, dimezzando l’impatto della crisi.

Italia, unico paese europeo dove i salari sono diminuiti dal 1990

Lo stesso documento di Openpolis annuncia: “rispetto sia ai paesi dell’Europa settentrionale e occidentale che a quelli dell’ex blocco sovietico, negli stati europei meridionali si avverte una sostanziale stagnazione dei salari. Questo fenomeno è stato particolarmente evidente in Italia. Qui il maggiore aumento in quanto a entità della retribuzione si è registrato negli anni tra il 1995 e il 2010, in cui si è progressivamente passati da un salario medio annuale di circa 37mila dollari ad uno di 42mila. Un aumento comunque molto lontano da quello delle altre nazioni europee, se pensiamo che il salario medio irlandese per esempio è passato negli stessi anni da circa 31mila a quasi 50mila dollari”.

Salario medio in Italia diminuito del 2,9%, al contrario degli altri paesi

Inoltre, “tra il 2012 e il 2019 la variazione è stata minima, mentre tra il 2019 e il 2020 c’è stata una diminuzione piuttosto importante, che ha riportato i salari italiani al di sotto dei livelli del 1990″. Dagli studi condotti da Openpolis, già prima del biennio della pandemia, ovvero tra il 2019 ed il 2020, il picco della diminuzione avrebbe quasi raggiunto il 6%. Agli inizi degli anni ’90, l’Italia era il settimo Stato europeo per salari medi annuali, subito dopo la Germania. Nel 2020 la situazione è apparsa notevolmente peggiorata. Un cospicuo slittamento ha registrato l’Italia al tredicesimo posto, scavalcata da diversi paesi che nel 1990 avevano salari medi decisamente più bassi, tra cui Spagna, Francia, Irlanda e Svezia.

Peggio i salari dei paesi dell’Europa meridionale: che differenza?

Lo stesso studio ha poi mostrato quanto siano relativamente indietro, in termini di crescita, un pò tutti i paesi dell’Europa meridionale. Oltre all’Italia, che addirittura ha registrato un calo del 2,9%, flebili miglioramenti si avvertono in Spagna(6,2%), Portogallo(13,7%) e Grecia. Evidentemente, rispetto agli altri paesi europei, quelli meridionali hanno faticato maggiormente, con oscillazioni decisamente ridotte, a fronte del resto dell’Europa, dove gli aumenti salariali sono stati consistenti. In particolare, l’aumento maggiore è stato avvertito nei paesi dell’ex blocco sovietico. Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia hanno raddoppiato il salario medio annuale.

Ancor più consistente l’aumento, invece, nei paesi baltici, ovvero in Estonia, Lettonia e Lituania, dove al 2020 i salari medi annuali risultano più che triplicati. Questi, però, erano decisamente i più bassi rispetto al resto dell’Europa agli inizi della misurazione. Come evidenzia Openpolis, infatti, la Lituania, ovvero il paese europeo maggiormente investito da questa crescita dei salari, nel 1995 aveva una retribuzione media annuale di soltanto 8mila dollari l’anno. Nel 2020 ha toccato quota 32mila.

Il Lussemburgo registra il salario annuale medio più alto d’Europa

Aumento dei salari tra gli “effetti della pandemia”: disparità e differenze

Le disparità e le differenze socio-economiche non sono state appianate neppure durante la crisi pandemica. Infatti, nel 2020 il salario medio annuale di un lussemburghese risultava essere il doppio di quello di un cittadino greco e circa il triplo di quello di uno slovacco. Non è una novità che i salari medi più alti si registrino nei paesi dell’Europa nord occidentale, tra cui, appunto: Lussemburgo, Paesi Bassi, Danimarca e Belgio.

Addirittura, come riporta Openpolis, tra il 2019 ed il 2020  l’Ocse ha registrato un lieve aumento dei salari medi annuali, in alcuni paesi europei, nonostante la pandemia. Tra questi, Paesi Bassi con un ulteriore innalzamento del 2,4%, Slovenia 2,3%, ma soprattutto della Lettonia, che ha conosciuto un’impennata del 7,1%.

 

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