di Domenico De Rosa
C’è un elemento che rasenta il comico, se non fosse tragicamente reale, nella posizione europea sullo scacchiere globale. Da un lato, si parla con toni solenni di strategia, deterrenza e impegno bellico, con alcuni leader che evocano la necessità di “prepararsi alla Terza Guerra Mondiale”, come ha dichiarato Donald Trump, riferendosi all’escalation in Ucraina e alle tensioni globali. Dall’altro, nello stesso continente che vorrebbe porsi come attore bellico credibile, i governi si riuniscono d’urgenza per approvare decreti-legge sul caro bollette.
Pensiamoci un attimo. L’Italia – una delle maggiori economie europee – partecipa ai vertici NATO e discute di armamenti, ma poi è costretta a convocare consigli dei ministri straordinari per trovare qualche miliardo di euro con cui tamponare gli aumenti delle bollette di luce e gas per le famiglie e le imprese. Questa Europa vorrebbe essere una potenza strategica, ma il suo problema quotidiano è trovare il modo di non far chiudere le fabbriche per il costo dell’energia. È il paradosso di un continente che parla il linguaggio della guerra ma vive nella precarietà energetica continua da anni, che invoca la deterrenza senza potersi permettere l’autosufficienza industriale.
Immaginiamo solo per un attimo il confronto con altre potenze. Negli Stati Uniti, il Pentagono non si riunisce per discutere di sconti sulle bollette elettriche, perché il paese è energeticamente autosufficiente e sfrutta l’export di gas liquefatto come leva strategica. In Cina, il Partito Comunista non è ossessionato dal prezzo del kilowattora, perché ha costruito un sistema di approvvigionamento che garantisce il controllo sulle materie prime essenziali per l’energia del futuro.
Ma in questa Europa, mentre si parla di deterrenza nucleare e addirittura di un “esercito europeo”, si è ancora costretti a elemosinare costantemente gas dall’Algeria, a implorare forniture di GNL a carissimo costo proprio dagli Stati Uniti e addirittura a firmare accordi con Pechino per il litio delle batterie. Come può un continente in simili condizioni pensare di essere un attore globale e soprattutto essere credibile?
È come se un generale andasse in battaglia preoccupato non delle strategie militari, ma del costo del carburante per i carri armati. Questa Europa appare agli attenti osservatori proprio in questa difficile situazione: un’entità che si illude di poter avere una voce nel grande gioco geopolitico, ma che è fatalmente schiava della propria debolezza energetica. E la geopolitica, si sa, non fa sconti: chi non controlla le proprie risorse non detta le regole, ma le subisce irreparabilmente.