Cronaca

Femminicidio a Modena, Salvatore Montefusco uccide la moglie e la figlia di lei ma ‘aveva motivi comprensibili’: la sentenza che gli evita l’ergastolo

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Salvatore Montefusco

Femminicidio a Modena: Salvatore Montefusco uccide la moglie e la figlia di lei ma per i giudici aveva ‘motivi comprensibili’. Ecco la sentenza della Corte d’Assise che gli evita l’ergastolo. Pertanto, la pena inflitta è di trent’anni di detenzione.

Femminicidio a Modena, niente ergastolo per motivi comprensibili

Salvatore Montefusco, responsabile dell’omicidio della moglie e della figlia di lei avvenuto il 13 giugno 2022, ha ricevuto una condanna a trent’anni di carcere anziché all’ergastolo. La Corte d’Assise di Modena ha riconosciuto una «comprensibilità umana» nei motivi che hanno spinto Montefusco a commettere il crimine. Secondo i giudici, l’uomo è stato influenzato da «nefaste dinamiche familiari» che si erano sviluppate nel tempo, come riportato dall’agenzia di stampa Ansa. Pertanto, la pena inflitta è di trent’anni di detenzione e non l’ergastolo.

La sentenza

Montefusco ha ucciso a fucilate la moglie Gabriela Trandafir, di 47 anni, e la figlia di quest’ultima, Renata, di 22 anni, a Cavazzona di Castelfranco Emilia. La procura aveva richiesto per lui l’ergastolo. Tuttavia, il 9 ottobre, la presidente estensore Ester Russo e gli altri giudici hanno riconosciuto attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti riconosciute (il legame coniugale e il fatto di aver commesso il delitto davanti al figlio minore della coppia). Hanno escluso la premeditazione, motivi abietti e futili, e hanno considerato l’azione come priva di crudeltà, ritenendo che i maltrattamenti fossero già assorbiti nell’omicidio. Nelle 200 pagine di sentenza si evidenzia che il crimine è avvenuto in un contesto di forte conflitto tra l’omicida e le due donne, con reciproche denunce presentate. Pertanto, secondo i giudici, il movente «non può essere ridotto a un mero aspetto economico», ovvero alla casa in cui vivevano.

Il femminicida

La situazione va attribuita alla «condizione psicologica di profondo disagio, umiliazione e grande frustrazione» vissuta dall’imputato, a causa dell’intensa conflittualità che si era instaurata nel contesto coniugale e della concreta possibilità che fosse costretto a lasciare la casa familiare. Questo avrebbe comportato anche la perdita del controllo e della cura del figlio. Secondo i giudici, è plausibile che, come riportato da Montefusco, quando Renata gli comunicò nuovamente che doveva lasciare l’abitazione, ciò «abbia scatenato in lui, come da lui stesso più volte evidenziato, quel blackout emozionale ed esistenziale che lo ha portato a correre a prendere l’arma» a pochi passi di distanza. E a uccidere le due donne che, secondo quanto dichiarato dai testimoni in aula, non aveva mai minacciato di morte in precedenza.

Le attenuanti generiche

La concessione delle attenuanti generiche tiene conto della confessione, dell’assenza di precedenti penali, del comportamento processuale corretto e della “situazione familiare che ha spinto l’individuo a compiere il gesto tragico”. Nel valutare l’equilibrio tra attenuanti e aggravanti, la Corte sottolinea l’importanza di considerare “tutta una serie di comportamenti unilaterali e reciproci che si sono susseguiti nel tempo e devono essere esaminati nel loro insieme”. Anche se tali comportamenti non configurano l’attenuante della provocazione, “hanno sicuramente influenzato la reazione anomala e, tuttavia, causale dell’imputato”.

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