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Festa dei lavoratori, retribuzioni e soddisfazione: tutte le problematiche

L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, certifica l’articolo 1 della Costituzione. Nel giorno della Festa dei lavoratori è opportuno rimarcare i punti nevralgici e le ipotetiche contraddizioni: le retribuzioni risultano adeguate al costo della vita? I lavoratori sono soddisfatti? Considerando dapprima la pandemia, poi la guerra ed il continuo innalzamento dei prezzi delle materie prime, i lavoratori italiani non hanno migliorato le proprie condizioni di vita. Anzi, a causa dell’emergenza energetica e della guerra, l’ottimismo delle famiglie stenta a decollare ed ogni giorno si è costretti a rinunciare all’acquisto di alcuni beni primari, nonostante si lavori e si percepisca sempre la stessa retribuzione.
Un interessante spunto, seppur distanziandosi in parte dalle convinzioni di cui sopra, è offerto dall’Osservatorio JobPricing, in collaborazione con Infojobs (nota piattaforma di matching tra domanda ed offerta di lavoro).  Lo studio ripercorre l’analisi del rapporto tra retribuzione, soddisfazione sul lavoro ed engagement. Secondo il Report, la retribuzione “è un fattore necessario, ma non sufficiente per generare motivazione sul posto di lavoro: se la retribuzione non è percepita come adeguata produce insoddisfazione e malcontento, ma allo stesso tempo, alti livelli salariali non garantiscono alti livelli di soddisfazione e motivazione”.

Festa dei lavoratori: è un problema di retribuzione e di soddisfazione?

Ripercorrendo le tappe dello studio di JobPricing, gli italiani sono soddisfatti della loro retribuzione?  “Si possono individuare almeno tre elementi che incidono tra salario e soddisfazione.

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La retribuzione deve essere percepita come:

  • sufficiente ad assicurare il tenore di vita minimo atteso, la sicurezza personale e del nucleo familiare;
  • equa, cioè tale da garantire trattamenti analoghi a fronte di mansioni e prestazioni simili. Tutte le differenze per le quali il lavoratore non trova spiegazione tendono a generare insoddisfazione;
  • meritocratica, ovvero sia proporzionale al contributo individuale fornito (la performance) e, quindi, il collegamento fra prestazione e remunerazione deve risultare chiaro e comprensibile”.

Ciò, chiaramente, in coerenza con i principi di sufficienza e di proporzionalità stabiliti dall’art. 36 della Costituzione.

Nodo retribuzioni: da dove nasce l’insoddisfazione?

Il Salary Satisfaction Report, offerto dalla piattaforma Osservatorio JobPricing, in collaborazione con Infojobs, anche quest’anno ha provato a rendere un quadro della spinosa questione della remunerazione e della motivazione dei lavoratori.

Lo studio sostiene che, “una legislazione favorevole, da un lato, ed una costante evoluzione culturale nei luoghi di lavoro, dall’altro, stanno, infatti, riconfigurando i pacchetti retributivi standard a tutti i livelli aziendali, con un peso crescente di elementi tangibili non-monetari (benefit, welfare, etc.) e di elementi intangibili, che sono in un certo senso dei «sostituti» del denaro (formazione, ambiente di lavoro, work-life balance, etc.)”.

Si assiste, dunque, ad una permutazione. Laddove, in tempi passati, soltanto la retribuzione poteva generare il benessere delle famiglie, oggi, molteplici altri elementi incidono sulla loro soddisfazione. Attraverso un accurato screening, i lavoratori risultano in media insoddisfatti rispetto al loro pacchetto retributivo. I più insoddisfatti in assoluto, però, sono coloro il cui pacchetto retributivo è composto soltanto dalla retribuzione fissa. Meno di un lavoratore su dieci reputa il proprio stipendio proporzionale al proprio contributo professionale.

Il Report, poi, affronta la tematica prendendo in considerazione quattro fondamentali rilievi. Ad essere maggiormente insoddisfatti risultano gli operai e le differenze si accentuano a seconda del territorio esaminato. Il più alto grado di insoddisfazione si avverte al Sud e sulle Isole. Inoltre, anche la dimensione aziendale ed il settore risultano elementi decisivi per i lavoratori.

Festa dei lavoratori: i lavoratori italiani non sono soddisfatti

I lavoratori italiani non sono soddisfatti. Ciò è quanto si evince nel Report 2022. A gravare sul bilancio, però, oltre al nodo retribuzione, vi è la “questione meritocrazia”. I lavoratori esaminati dallo studio “mostrano di percepire che i loro risultati e l’impegno posto nel lavoro non vengono correttamente valutati e remunerati, malgrado una profonda insoddisfazione” provenga anche dalla retribuzione corrisposta.

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Lo studio di quest’anno inverte il trend nuovamente. Nel 2021, infatti, in considerazione delle particolari vicissitudini dettate dall’emergenza pandemica, i lavoratori percepivano un maggior grado di soddisfazione. Secondo lo studio, “i lavoratori hanno probabilmente smesso di sentirsi più fortunati solo per il fatto di avere uno stipendio”.

Retribuzioni e perdita del potere d’acquisto

Ad aggravare maggiormente il bilancio, negli scorsi giorni è stata pubblicata una nota dell’Istat secondo cui gli italiani perderanno il 5% del potere d’acquisto. O meglio, a fronte dell’innalzamento dei prezzi delle materie prime e della crisi energetica, da cui è scaturita una generale impennata del costo della vita, nel primo trimestre del 2022 le retribuzioni sono aumentate troppo debolmente.

Più in generale, l’Istat propone i dati che evidenziano la perdita di potere di acquisto degli italiani, in base alle attuali retribuzioni: “Nel primo trimestre del 2022 la crescita delle retribuzioni contrattuali rimane contenuta”.

Il comunicato continua: “La durata dei contratti e i meccanismi di determinazione degli incrementi contrattuali seguiti finora hanno determinato un andamento retributivo che, considerata la persistenza della spinta inflazionistica, porterebbe, nel 2022, a una perdita di potere d’acquisto valutabile in quasi cinque punti percentuali“.

Altri 400mila lavoratori tra le file dei woorking poors

“Pace, lavoro, salari”, saranno le parole salienti di questa festività. Purtroppo, sarà un Primo Maggio povero per oltre tre milioni di lavoratori italiani. La categoria dei working poors, a cui si aggiungono ulteriori 400mila lavoratori dal post-pandemia, conferma che il momento storico disegna scenari preoccupanti.

Retribuzioni non in linea, precarietà, part-time forzati di poche settimane, proroghe contrattuali anche di un solo mese sono condizioni in cui riversa l’intera Penisola. I soggetti maggiormente flagellati, ancora una volta, risultano essere le note “categorie svantaggiate” sul mercato del lavoro: giovani, donne e meridionali. Al Sud risiede la fetta maggiormente consistente di lavoratori poveri (circa il 20%) e spicca il netto divario di retribuzione, che si attesta intorno al 75%. I lavoratori del Sud Italia guadagnano un quarto in meno, rispetto ai lavoratori di altre porzioni geografiche.

Inoltre, le retribuzioni risultano pressoché immobili da circa un ventennio. In Italia i salari sono cresciuti di soli tre punti, contro una media Ue di circa 22 punti percentuali. Precarietà e basse retribuzioni sembrano essere gli ingredienti di una fatale ricetta, capace di falcidiare il mercato del lavoro. A questo si aggiungono insoddisfazione e scarsa meritocrazia, promotrici di ulteriore insoddisfazione generale.

Pandemia, retribuzioni e soddisfazione dei lavoratori: le difficoltà

Quindi, da un lato i lavoratori, complice l’accrescimento del background culturale, sono intenzionati a “farsi sfruttare” sempre meno, dall’altro le esigenze non vengono sempre colte dagli imprenditori.

Se la crisi pandemica aveva, almeno in parte, rimandato il discorso, lasciando che i lavoratori potessero sperare in una misera retribuzione, accontentandosi di guadagni sicuri seppur esigui, oggi la questione è stata completamente portata alla luce dei riflettori. Ecco perché proporzionalmente all’abbattimento della curva dei contagi, i lavoratori hanno iniziato a dimettersi in massa generando il boom delle dimissioni volontarie nel 2021.

Su questi presupposti, analizzando la delicata tematica si assiste ad una sostanziale coerenza tra lo studio di cui sopra e l’andamento attuale. Un generale grado di insoddisfazione dei lavoratori, retribuzioni sempre livellate verso il basso, lontane dalle aspettative in troppi casi, in sinergia alla forte spinta inflazionistica, svela un panorama irrimediabilmente deprimente.

Il Primo Maggio secondo la Flp

Le vittime indiscusse di questo particolare momento storico risultano essere i giovani, le donne ed i meridionali in genere.

Preoccupatissimo appare anche Marco Carlomagno, Segretario generale della Flp- Federazione Lavoratori Pubblci. “Il Def certifica che gli stipendi non terranno il passo con l’aumento dei prezzi.
I dati Istat confermano quanto evidenziato più volte dalla Flp in merito alla forte perdita del potere di acquisto e alla inadeguatezza dei meccanismi di determinazione degli aumenti contrattuali”, sostiene Carlomagno.

“Non potrebbe essere altrimenti visto che oggi il termine di riferimento quando si rinnovano i contratti è l’indice dei prezzi al consumo Ipca, che non tiene conto dei prezzi dei beni energetici importati ed è quindi assai più basso dell’attuale tasso di inflazione”. A marzo, per dire, l’Ipca è salito su base annua del 2,5%, mentre l‘indice generale è cresciuto del 6,7%.

Il 63% dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, come risulta dai dati Cnel, è scaduto. É d’obbligo ricordare, che a questi appartengono tutti i contratti del pubblico impiego, che riguardano 3,2 milioni di dipendenti pubblici, ai quali vanno aggiunti 7,7 milioni di dipendenti privati su 13 milioni con il contratto scaduto. Per i lavoratori ci sarà una perdita di potere d’acquisto significativa, intorno ai 100 euro per chi ne guadagna 1000.

A questo va aggiunto che milioni di posti di lavoro si sono persi e tanti si stanno perdendo, tantissimi sono i lavoratori in nero e quelli malpagati e mal inquadrati”, conclude Carlomagno.

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