Silenzioso, con il viso sbarbato e sguardo assente: Filippo Turetta sembra provato nel carcere di Montorio Veronese dove si trova detenuto dopo l’omicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin. «Altro che PlayStation: il ragazzo non ha mai giocato una sola volta al videogame, ha ben altro a cui pensare», riferisce chi lo ha incontrato. I genitori non vanno a trovarlo.
Filippo Turetta in carcere: come sta il killer di Giulia Cecchettin
Sembra provato Filippo Turetta, detenuto da ormai sette settimane nel carcere di Montorio Veronese per l’omicidio di Giulia Cecchettin. Il viso sbarbato, con lo sguardo perso e un impenetrabile silenzio. “Altro che PlayStation: il ragazzo non ha mai giocato una sola volta al videogame, ha ben altro a cui pensare”, riferisce chi l’ha incontrato in questo periodo.
Il trattamento
Il sottosegretario Andrea Ostellari, durante il giro nel Penitenziario, non ha incontrato nè Turetta n+è altri detenuti: “Non siamo venuti qui – ha spiegato poi il rappresentante del ministero della Giustizia – per fare polemiche. Qui abbiamo persone che si sono tolte la vita. Parlare di PlayStation significa fare un torto a loro e alla nostra intelligenza. Mi limito quindi a ribadire che in questo carcere, come negli altri, non si applicano trattamenti di favore nei confronti di nessuno. Le decisioni su quelle che possono essere le attività trattamentali e ricreative, adeguate a ciascun utente, vengono prese da personale qualificato”.
Turetta in Infermeria
Turetta è recluso con un 70enne, un uomo che potrebbe essere tranquillamente suo padre capace di tenerlo d’occhio. “Ci sono degli ospiti, va tutto bene?”, c’è chi si nasconde e chi si sbaccia per consegnare una lettera ma Filippo non risponde. Resta in piedi, con espressione disorientata. Secondo quanto trapela, l’ultimo suo colloquio con mamma Elisabetta e papà Nicola risale allo scorso 3 dicembre. Da allora i familiari non sono più andati a trovarlo. «Come tutti gli altri – ripete la direttrice Francesca Gioieni – anche questo detenuto resterà in infermeria finché ciò sarà ritenuto necessario dall’équipe multidisciplinare a cui compete la valutazione».