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Frank Zappa, la vita e la carriera del celebre chitarrista statunitense

Frank Vincent Zappa è stato un compositore e chitarrista statunitense. Considerato dalla critica uno dei più grandi geni musicali del Novecento, nonché uno dei maggiori artisti contemporanei, è collocato al 22esimo posto nella lista dei migliori chitarristi di tutti i tempi secondo la rivista Rolling Stone.

Frank Zappa, celebre chitarrista statunitense

Nato a Baltimora il 21 dicembre del 1940, Frank Zappa non era solo un grande chitarrista, non era solo un grande musicista rock estremamente prolifico (la sua discografia è immensa: più di 80 album), non era solo un intelligente provocatore: era innanzi tutto un grandissimo musicista, la cui grandezza è stata riconosciuta (caso più unico che raro, per un artista di estrazione rock) da grandi autori di musica “colta” come Karlheinz Stokhausen, o Pierre Boulez.



Quest’ultimo ha detto di lui: «Come musicista era una figura eccezionale perché apparteneva a due mondi: quello della musica pop e quello della musica classica. E non è una posizione comoda».

Scomparso a Los Angeles il 4 dicembre del 1993 a soli 53 anni, Zappa era insomma uno dei geni più importanti della musica moderna, capace di passare dal rock alla musica “classica”, dalla parodia al jazz, da Stravinsky alla sperimentazione pura, dall’elettronica all’oltraggio. Sempre inventando, creando, andando oltre le mode e le tendenze.

Gli inizi

Di origine siciliana, Frank Zappa il folle cominciò ad interessarsi di musica prestissimo, non ancora adolescente. Com’è naturale, all’inizio saggia un po’ tutti gli strumenti e ascolta con spirito insaziabile tutto ciò che gli capita a tiro. Ben presto scopre le avanguardie colte, sia europee che americane (Webern e Varèse su tutti) e se ne innamora.



Il suo background da autodidatta non gli permette però di mettere a frutto sullo stesso piano quelle conoscenze e così si rivolge ad un genere più accessibile, il rock, di cui però farà, a differenza di quasi tutti i musicisti – o presunti tali – che si beano di quel termine fintamente trasgressivo, una palestra per ogni genere di sperimentazione, non ultima la parodia del rock stesso.

I primi soldi li guadagna scrivendo “gingle” pubblicitari per le televisioni locali assieme a Donald Van Vliet, poi noto con il soprannome di “Captain Beefheart”, storico collaboratore dello Zappa-pensiero (ma anche produttore di grandi dischi in proprio); poi si impone per le colonne sonore di alcuni film (tra cui “The world’s greatest sinner” e “Run home slow”). La sua carriera di musicista comincia a decollare.

L’ascesa

Nel 1964 Zappa entra nei “Soul giants“, gruppo di rhythm’n’blues trasformato di lì a poco nei “Mothers of invention“, con i quali pubblica nel 1966 l’album capolavoro “Freak out!” (seguiranno poi molti altri dischi), un saggio di dove può arrivare l’acida distorsione parodistica di Zappa.

A quel primo stravagante progetto (che fra l’altro detiene il primato di essere, contro ogni logica commerciale, il primo LP doppio di un esordiente) segue un altro disco stavolta di ancor meno facile digeribilità: lo sperimentale “Lumpy gravy“, un qualcosa che si può forse avvicinare, per certi versi, all’estetica dell’anti-compositore John Cage. Parlando di “rock”, non è poco.



Per capire la distanza che separava Frank Zappa dagli altri basti pensare che quello è l’anno in cui viene anche pubblicato “Sgt. Pepper’s” dei Beatles: grande disco, ma pur sempre di musica “normale” e accettabile da tutti.

“Absolutely free” e “Were only in it for the money” sono i prodotti successivi partoriti dalla fervida immaginazione del musicista italoamericano. La critica già lo acclama, il pubblico un po’ meno, ma lui tira dritto, con grande disperazione delle case discografiche che lo vorrebbero un po’ più regolare e “integrato” nel sistema musicale dominante.

Cieco rispetto a bollettini di vendita, pubblica dischi in cui come su un ottovolante impazzito si usa di tutto (persino il jazz) come, per citare solo i più importanti, “Hot rats” (a ben guardare, a sorpresa uno dei pochi successi commerciali di Zappa), “Grand wazoo”, “Sheik yerbouti”, “Joès garage”, “Yellow shark” e “Civilization phase III”; gli ultimi tre lo vedono alle prese prima con l’elettronica poi con la più tradizionale orchestra sinfonica.

La leggenda

Dal 1983 oltre a pubblicare come al solito titoli in modo torrenziale (moltissimo anche il materiale dal vivo, non importa se poi rielaborato in studio), Zappa ha sviluppato un’importante collaborazione con il “guru” delle avanguardie, Pierre Boulez, affidando molte sue opere alla direzione del maestro francese.



Nel suo percorso artistico ha poi scoperto il Synclavier, campionatorecomputer rivoluzionario per quegli anni in grado di riprodurre brani impossibili da suonare. Negli ultimi tempi, prima che il tumore lo porti alla morte, compie alcuni tour con un ensemble di dodici elementi con tanto di sezione fiati e un larghissimo uso dell’improvvisazione.

Frank Zappa in sintesi ha incarnato, con i suoi testi dalla satira tagliente e la sua enciclopedica estetica musicale, una delle figure più complesse e affascinanti della storia del rock, capace di oltrepassare le barriere fra i generi e di inventarne di nuovi.

Morte

Dopo aver lottato per diversi anni con un cancro alla prostata, il superbo inventore della musica, Frank Zappa, è prematuramente scomparso il 4 dicembre del 1993 presso la sua dimora a Los Angeles.

I funerali si svolsero – in forma privata – il giorno 5. L’ultima apparizione dal vivo di Zappa è stata quella con l’Ensemble Modern, a Francoforte, per l’ esecuzione di The Yellow Shark, nel settembre del 1992.

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