Funivia del Mottarone, la confessione di Gabriele Tadini
Gabriele Tadini – l’uomo che gestiva il personale, organizzava i turni e si occupava della manutenzione – era stato insospettito da un rumore nel sistema frenante. Nulla però era stato segnalato nei documenti ufficiali dell’impianto. Nel rapporto ha annotato “l’esito positivo del controlli” sul funzionamento dei freni sia il 22 che il 23 maggio, giorno in cui la cabina numero 3 si è schiantata nel bosco uccidendo quattordici persone.
Tadini ha raccontato agli inquirenti racconta di aver avviato l’impianto verso le nove e di aver effettuato un giro di prova, accorgendosi che la cabina 3, quella poi precipitata, emetteva un rumore “indicativo del fatto che il sistema tentava di ricaricare la pressione del freno, facendo chiudere una delle due ganasce”.
La scelta
A questo punto, rilevano i pm, “per evitare che l’ impianto non partisse, decide di non togliere il forchettone“. Tadini sceglie, dunque, la scorciatoia nel primo fine settimana di alta stagione: “Lasciare inseriti i forchettoni rossi cosiddetti blocca freni”, scrivono i magistrati. Invece di bloccare l’impianto e attendere le verifiche della ditta di manutenzione. E così si compie la strage: la cabina precipita, perché il cavo si spezza e il freno di emergenza non entra in funzione.