Il pubblico italiano lo chiamava affettuosamente il Signor G (dal nome del suo alter ego teatrale), per i critici è stato l’ultimo intellettuale di una generazione ormai estinta, un artista a tutto tondo in grado di dare il meglio di sé con il rock e con la scrittura teatrale, in TV o su un palcoscenico.
1 gennaio 2003: muore Giorgio Gaber, il mitico Signor G
Nato a Milano – in via Londonio 28 – il 25 gennaio del 1939 da una famiglia della medio-piccola borghesia; i genitori di Giorgio Gaber (pseudonimo di Giorgio Gaberščik) si erano conosciuti e sposati in Veneto (di dove era originaria la famiglia di sua madre) e in seguito si trasferirono in Lombardia in cerca di fortuna.
Il padre Guido Gaberščik fa l’impiegato, la madre Carla Mazzoran è casalinga; il fratello maggiore Marcello compie gli studi di geometra e suona la chitarra per diletto. Lo stato di salute di Giorgio è cagionevole: durante l’infanzia si ammala due volte di poliomielite. Il primo attacco, occorsogli verso gli otto-nove anni, colpisce il braccio sinistro e gli procura una lieve paralisi alla mano. Il padre gli regala una chitarra affinché eserciti le dita con piacere, non come una costrizione. Approfittando del fatto che il fratello la sa già suonare, anche Giorgio impara ad usare lo strumento. L’idea darà buoni risultati, sia sotto l’aspetto medico che artistico. Da adulto, Gaber dirà: «Tutta la mia carriera nasce da questa malattia».
I suoi chitarristi modello sono i jazzisti statunitensi: Barney Kessel, Tal Farlow, Billy Bauer. Gaber, da adolescente, non pensa ancora a cantare: è essenzialmente uno strumentista. Vive la musica come momento di divertimento, di svago, essendo la sua attività principale quella di studente. Cerca di imparare anche dai musicisti italiani: a Milano può ascoltare dal vivo Franco Cerri, che si esibisce spesso alla “Taverna Messicana”.
Inizi
Dopo aver conseguito il diploma in ragioneria frequenta la facoltà di Economia e Commercio alla Bocconi pagandosi gli studi con i guadagni provenienti dalle serate in cui suona al Santa Tecla, famoso locale milanese. Conoscerà qui Adriano Celentano, Enzo Jannacci e Mogol; quest’ultimo lo invita alla Ricordi per un’audizione: è lo stesso Ricordi a proporgli di incidere un disco.
Comincia una brillante carriera con “Ciao, ti dirò”, scritta con Luigi Tenco. Sono degli anni successivi le indimenticabili “Non arrossire”, “Le nostre serate”, “Le strade di notte”, “Il Riccardo”, “Trani a gogò”, “La ballata del Cerruti”, “Torpedo blu”, “Barbera e champagne”.
Anni Sessanta
Partecipa inoltre a quattro edizioni del Festival di Sanremo (con “Benzina e cerini”, 1961; “Così felice”, 1964; “Mai mai mai Valentina”, 1966; “E allora dai”, 1967), oltre a condurre vari spettacoli televisivi; nell’edizione 1969 di “Canzonissima” propone “Com’è bella la città”, uno dei primi brani che lasciano intravedere il successivo cambio di passo.
Nello stesso periodo, il Piccolo Teatro di Milano gli offre la possibilità di allestire un recital, “Il signor G”, il primo di una lunga serie di spettacoli musicali portati in teatro che alternando canzoni a monologhi trasportano lo spettatore in una atmosfera che sa di sociale, politica, amore, sofferenza e speranza, il tutto condito con un’ironia tutta particolare, che smuove risate ma anche la coscienza.
«Credo che il pubblico mi riconosca una certa onestà intellettuale. Non sono né un filosofo né un politico, ma una persona che si sforza di restituire, sotto forma di spettacolo, le percezioni, gli umori, i segnali che avverte nell’aria».
Ultimi anni e morte
“Far finta di essere sani” 1972, “Libertà obbligatoria” 1976, “Polli d’allevamento” 1978, “Il grigio” 1989, “E pensare che c’era il pensiero” 1995, “Un’idiozia conquistata a fatica” 1998 sono i suoi lavori più significativi.
Dopo gli album dedicati esclusivamente alla registrazione integrale dei suoi spettacoli, torna al mercato discografico ufficiale con l’album “La mia generazione ha perso” (2001) che include il singolo “Destra-Sinistra”: ironico, con le solite graffianti insinuazioni, è un brano decisamente attuale, visto il periodo pre-elettorale in cui esce.
Scompare il giorno 1 gennaio del 2003, all’età di 63 anni, stroncato da una lunga malattia nella sua villa di Montemagno a Versilia, dove si era recato per trascorrere il Natale accanto alla moglie e alla figlia Dahlia.
Vita privata
La moglie di Giorgio Gaber è Ombretta Colli, famosa cantante con cui è salito sull’altare nel 1965. Il matrimonio, celebrato all’abbazia di Chiaravalle, li ha visti uniti fino alla morte del cantautore (avvenuta all’alba dei suoi 64 anni, nel 2003, a Montemagno di Camaiore). La coppia ha avuto una sola figlia, Dahlia Deborah, nata il 12 gennaio 1966.
Prima dell’amore con la futura consorte, Giorgio Gaber è stato legato alla collega e attrice Maria Monti, con la quale aveva anche collaborato in un breve sodalizio artistico.