Le studentesse con il niqab identificate ogni mattina prima di entrare a scuola a Monfalcone, in provincia di Gorizia. Il PD: “Inaccettabile”. All’inizio dell’anno erano cinque, ma una di loro ha lasciato la scuola.
Gorizia, studentesse con il niqab identificate ogni mattina a scuola
Da mesi, ogni giorno, le ragazze dell’Istituto Pertini di Monfalcone (Gorizia) che indossano il niqab vengono identificate prima di entrare in aula. All’inizio dell’anno erano cinque, ma una di loro ha lasciato la scuola. Le studentesse, che frequentano il corso per “Servizi della Sanità e Assistenza sociale”, vengono accompagnate da un’insegnante in un’aula al piano terra, dove sollevano il velo integrale che lascia scoperti solo gli occhi per confermare la loro identità. Questa pratica è diventata una consuetudine nell’istituto friulano, tanto che molti compagni delle ragazze non hanno mai parlato di questa situazione con i loro genitori.
Il velo che lascia scoperti solo gli occhi
Le studentesse che indossano il niqab in classe rappresentano una ristretta minoranza, nonostante la presenza significativa della comunità musulmana a Monfalcone. Infatti, il 25% dei residenti del Comune professa la religione islamica, mentre il 30% è di origine straniera. Molti di coloro che si sono trasferiti qui lavorano nei cantieri, come i padri delle ragazze, provenienti dal Bangladesh. Di conseguenza, ci sono molte studentesse che portano il velo, ma le quattro che ogni mattina si sottopongono al rituale dell’identificazione sono le uniche a indossarne uno praticamente integrale, lasciando scoperti solo gli occhi.
Le soluzioni della scuola per le ragazze che indossano il niqab
Di conseguenza, è stata presa la decisione di permettere loro di indossarlo, adottando però delle misure compensative. «Abbiamo ritenuto che un’imposizione potrebbe spingere le ragazze ad abbandonare la scuola, mentre l’obiettivo dell’istituzione è garantire che gli studenti completino i cinque anni di studio. È quindi fondamentale ricreare un ambiente di serenità e fiducia, affinché le giovani si sentano a loro agio e possano comprendere se il supporto di insegnanti e compagni possa aiutarle a sentirsi più libere», spiega la preside Carmela Piraino, come riportato dal Corriere della Sera. L’identificazione, che è obbligatoria per legge, non è l’unica sfida che i docenti del Pertini hanno dovuto affrontare. È stato necessario rivedere l’educazione motoria per le ragazze, poiché la religione vieta loro di mostrare il corpo. La scelta è ricaduta sul badminton. Anche il percorso del Pcto, l’attività extracurricolare, si è rivelato complesso.
Il caso politico
La questione si è trasformata in un caso politico. Anna Maria Cisint, ex sindaca leghista di Monfalcone e attuale europarlamentare, nota per la sua opposizione alla comunità musulmana, insieme al gruppo regionale della Lega, ha annunciato l’intenzione di introdurre una legge regionale per vietare il niqab nei luoghi pubblici. Anche il Partito Democratico si schiera a favore di questa iniziativa, evidenziando non solo il problema della riconoscibilità, ma anche quello dell’integrazione. Diego Moretti, capogruppo del PD in Friuli Venezia Giulia, sottolinea che il niqab rappresenta «un ostacolo al processo di integrazione, poiché mette in discussione il ruolo della donna e il lavoro degli insegnanti a scuola». Matteo Salvini, segretario della Lega, sostiene la proposta: «È inaccettabile che una scuola debba modificare i propri regolamenti per adattarsi a culture incompatibili con i nostri valori. Andiamo avanti con la proposta della Lega».
La poposta
La proposta di legge prevede una pena di due anni di reclusione e la revoca del diritto di cittadinanza per chi indossa niqab e burqa nei luoghi pubblici. Nel frattempo, Daniela Beltrame, dirigente dell’ufficio scolastico regionale del Friuli Venezia Giulia, ha contattato il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara per chiedere indicazioni su come agire. «La questione non riguarda solo Monfalcone e manca una normativa specifica per le scuole: non si tratta solo di ordine pubblico, ma anche di garantire il diritto all’istruzione per queste ragazze».