Grillo – Floyd: giustizia “popolare” è fatta?

Entrambe le vicende sono accomunate, seppur con profonde differenze, dal minimo comun denominatore della “giustizia popolare”

Vi è un curioso parallelismo tra vicende apparentemente molto distanti. Mentre in Italia il cosiddetto caso Grillo, in attesa delle determinazioni della Magistratura procedente, animava il ‘processo’ mediatico tra innocentisti e colpevolisti (le cui certezze e i cui giudizi perentori riescono ancora a sorprendere e preoccupare), in America nello Stato del Minnesota la giuria popolare del Tribunale di Minneapolis emetteva il verdetto di colpevolezza nei confronti dell’agente Chauvin, facendo esultare la folla in attesa al grido di “Giustizia è fatta!”.

Entrambe le vicende sono accomunate, seppur con profonde differenze, dal minimo comun denominatore della “giustizia popolare”.

Nel primo caso, complici le distorsioni del cosiddetto processo mediatico e una lettura approssimativa dell’art. 101, comma 1 Cost., laddove afferma che “La giustizia è amministrata in nome del popolo”, la giustizia popolare si manifesta a suon di like, commenti e reaction nelle ‘aule’ virtuali dei social network. A causa dei tempi non sempre ragionevoli dei procedimenti penali ‘ufficiali’, quasi sempre quel ‘verdetto’ anticipa la risposta giurisdizionale, la quale verrà pericolosamente valutata (e non vi è bisogno di fare esempi, stante il numero di volte in cui ciò è accaduto) in modo favorevole o sfavorevole dalla ‘giuria’ popolare dei social media a seconda che rispecchi o meno l’esito che l’algoritmo ha emanato vox populi. Con l’aggravio di produrre pressione sociale e mediatica che può condizionare le decisioni umane, finanche quelle guidate dal parametro del ragionevole dubbio.

La seconda, invece, prevede la diretta partecipazione del popolo all’amministrazione della Giustizia nelle forme della giuria popolare, lasciando così la decisione sulla colpevolezza o meno dell’imputato a 12 cittadini scelti come giurati. Per noi figli del tecnicismo giuridico e del sistema penale, questo approccio potrà sembrare aberrante e non è questa la sede per discutere seriamente se e in che modo possa trovare ingresso nell’ordinamento italiano.

Ciò su cui invece si vuole ragionare è il seguente e preoccupante aspetto. La liquidità dei social ha inevitabilmente reso tutti partecipi, auto-investitisi dei panni di giudici à la X-Factor, delle vicende del Paese (solo per fare qualche recente esempio: strategie economiche, misure anticovid, Super League), ancor di più se si tratta di casi giudiziari. È altresì innegabile che la prontezza della risposta istituzionale giochi un ruolo centrale nella percepita legittimazione del sistema da parte degli utenti. Avviene dunque che l’ansia di risoluzione immediata del ‘problema’, pretesa dalla platea degli spettatori-giudici, e l’impossibilità della Giustizia di piegarsi a logiche consumistiche rispetto a complessi temi giuridici, continuino ad erodere la fiducia in base alla quale l’apparato si alimenta e trova legittimazione.

Per tentare di evitare detto problema, il sistema giudiziario anglo-americano ha concretamente riservato un ruolo primario al popolo nel processo (differentemente dai giudici popolari, le giurie sono investite dell’esclusivo potere di emettere il verdetto di colpevolezza o innocenza), che sembra in qualche modo assopire, complice anche la velocità dei procedimenti, quella spinta, sempre più pressante, di prendere parte senza intermediari alle decisioni rilevanti per il Paese. Nell’ottica dello spettatore, un loro peer avrà dato voce all’opinione pubblica all’interno della vicenda procedimentale, rassicurandoli sulla bontà della decisione assunta.

In assenza dei medesimi ‘anticorpi’, a noi non resta che consegnare l’impellente e non più rinviabile necessità di prevedere, con il supporto dei media, misure informativo-formative in favore dei cittadini sulle dinamiche del procedimento penale, tali da evitare approssimazioni e pregiudizi, e di abbreviare i tempi procedimentali, nei limiti del necessario rispetto delle garanzie per l’indagato/imputato, così da ripristinare la credibilità del sistema.

Diversamente, l’incessante affermazione di una parallela ‘giustizia’ popolar-mediatica, autolegittimata per velocità e perentorietà delle decisioni-click, potrà portare, nella migliore delle ipotesi, ad interrogarsi sulla necessità di istituire giurie popolari per disciplinare entro spazi virtuosi la volontà di protagonismo nell’amministrazione della Giustizia. Nella peggiore delle ipotesi, già si intravede all’orizzonte l’ombra di un’ordalia 2.0.

Avv. Fabio Coppola, PhD
www.lawfirmcoppola.it
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