“Secondo la mia esperienza per la velocità della vettura durante la fase di rientro, un solo freno avrebbe potuto fermare la vettura…”. È una dichiarazione che rende ancora più amaro quanto accaduto domenica scorsa sulla funivia del Mottarone quando la rottura della fune traente e il blocco volontario di entrambi i freni di emergenza ha fatto precipitare la cabina numero 3 uccidendo 14 persone.
Parole che un dipendente delle Ferrovie Mottarone, la società che gestisce l’impianto, ha pronunciato davanti ai carabinieri di Stresa che cercano di ricostruire la dinamica della tragedia.
Incidente funivia Stesa-Mottarone, la dichiarazione dell’operaio
La deposizione è inserita nel provvedimento con cui il giudice di Verbania ha rimesso in libertà due dei tre indagati, per il capo servizio dell’impianto Gabriele Tadini sono stati decisi i domiciliari. Dei cinque operai sentiti il 25 maggio, due giorni dopo la tragedia, tutti affermano che i ceppi o forchettoni, due per ogni cabina, “vengono posizionati su disposizione del capo servizio che o lo fa personalmente o lo delega a uno degli operatori in maniera indistinta”.
L’unico capo servizio dell’impianto è Tadini. Uno dei forchettoni colorati di rosso, proprio a segnalare un elemento importante dell’impianto, era ancora ancorato alla cabina precipitata, il secondo è stato trovato poco distante durante un’ispezione sul luogo della tragedia. Ne sarebbe bastato uno, forse, per non contare i morti.