Cronaca

Insegnanti di Torino arrestati la vigilia di Natale in Bulgaria: «In carcere per aver salvato tre migranti»

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Insegnanti di Torino tratti in arresto la vigilia di Natale in Bulgaria per aver salvatore tre migranti. La loro disavventura raccontata sui social: «Siamo certi di aver salvato tre persone stanotte e di aver trascorso un giorno in prigione per questo».

Insegnanti di Torino tratti in arresto la vigilia di Natale in Bulgaria

«Arrestati per aver salvato vite». Così inizia il lungo post di denuncia di Simone Zito, un insegnante che il 24 dicembre è stato fermato in Bulgaria insieme alle colleghe Lucia Randone e Virginia Speranza per aver prestato soccorso a dei migranti. I tre, membri del «Collettivo Rotte balcaniche», un’organizzazione non governativa attiva nei Balcani, avevano deciso di trascorrere le vacanze natalizie in Bulgaria per svolgere attività di volontariato.

«Dopo 40 ore di viaggio e 12 ore di attesa in Croazia a causa di un ingorgo monumentale, a poche ore dal nostro arrivo riceviamo una richiesta di aiuto – racconta -. È il pomeriggio del 24 dicembre. Tre giovani marocchini si trovano in difficoltà nel bosco, uno di loro è quasi incosciente e presenta segni di ipotermia». In quindici minuti «prepariamo cibo, vestiti, acqua, tè caldo, mantelline termiche e una borsa di pronto soccorso», si legge nel post. «Percorriamo strade dissestate e a tratti pericolose. Il nostro obiettivo è evitare di essere fermati dalla polizia di confine, che nella migliore delle ipotesi ci tratterrebbe per ore, facendoci perdere tempo prezioso, o ci impedirebbe di raggiungere il luogo (questo accadrà due giorni dopo, causando la morte di almeno tre adolescenti). Riusciamo a trovare rapidamente i tre ragazzi – continuano – uno di loro è in condizioni critiche, mentre gli altri due sembrano stare meglio.

Nei loro occhi si legge il terrore quando affermiamo che, per chiamare l’ambulanza e soccorrere il loro amico, arriverà sicuramente la polizia bulgara. È necessario molto tempo per tranquillizzarli, spiegando che, grazie alla nostra presenza, non subiranno violenze, ma saranno portati in un centro di detenzione per due settimane e poi in un campo aperto, dove potranno richiedere asilo in Bulgaria.

«Un agente cerca di spaventarci chiedendo i passaporti»

Venti minuti dopo la chiamata al 112, arriva la polizia di confine: «Dopo aver urlato e intimidito le persone presenti, ci viene ordinato di avvicinarci alla loro auto. Lì, restiamo in attesa per tre ore sotto la pioggia e la neve: i tre ragazzi sono esausti e congelati, faticano a camminare, le scarpe e le giacche sono fradice. Ci chiedono insistentemente di non lasciarli soli con la polizia, sono ancora molto spaventati. Chiediamo agli agenti se almeno il ragazzo in condizioni più critiche possa ripararsi nella loro auto. Non trema per il freddo, sembra quasi avere delle convulsioni. Il poliziotto ci risponde sorridendo che non fa freddo e ci provoca dicendo che, se ci teniamo, possiamo dargli una delle giacche che indossiamo».

E poi c’è anche questo: «Un agente tenta di intimidarci chiedendo i passaporti, che sappiamo non essere necessari. Le carte d’identità verranno richieste ripetutamente nel corso delle successive tre ore. Dopo una lunga attesa, finalmente arriva un’ambulanza che esegue un rapido controllo medico su tutti, ma se ne va presto senza portare nessuno». Durante l’attesa, le condizioni del ragazzo ferito si aggravano: «Il suo volto si contorce in espressioni di dolore intenso – prosegue il racconto –: ha i piedi coperti di piaghe e congelati, così li puliamo, disinfettiamo e applichiamo delle bende prima di fargli indossare calzini asciutti. Due di noi rimarranno vicino a lui per ore, abbracciandolo e cercando di mantenere la sua temperatura. Le barrette energetiche vengono distribuite più volte. La polizia di confine prende i telefoni dei tre ragazzi».

L’arresto

Dopo ore di angoscia, tensione e freddo, un ufficiale della polizia bulgara informa i tre insegnanti che saranno arrestati. «Arriva una terza auto della polizia di confine con un agente che si presenta come ‘il capo’. Ci comunica che saremo trattenuti per 24 ore – spiega uno dei docenti -. Perquisiscono a fondo la nostra auto, ma non trovano nulla di rilevante. Due di noi vengono ammanettati. Trasportati alla stazione di polizia di Malko Tarnovo, veniamo rinchiusi in una stanza spoglia, molto sporca e con la finestra priva di infissi, quindi impossibile da chiudere». Due di loro vengono interrogati, ma gli agenti non redigono alcun verbale.

«Vogliono sapere chi ci fornisce le informazioni, se siamo un’organizzazione e molte altre cose. Le loro domande sono accompagnate da intimidazioni come: “Qui in Bulgaria sappiamo come far tornare la memoria”, minacce di arresto per traffico illegale di migranti e provocazioni volgari come: “Voi aiutate? Bene, aiuta me, dammi cibo, dammi dell’acqua adesso!” oppure “Voglio una macchina, perché non me ne regalate una?”. Ci chiedono di fornire le impronte digitali e una foto segnaletica, ma ci rifiutiamo. Il fatto che non ci abbiano costretto e che usciremo da quella caserma senza averle fornite ci fa pensare che si tratti dell’ennesimo abuso di un potere esecutivo sempre più indisciplinato rispetto alla legge (e, ovviamente, alla giustizia)», afferma Zito.

La permanenza nel carcere bulgaro e la liberazione

Il racconto si concentra sulla difficile esperienza all’interno del carcere: «Cerchiamo di riposare sul pavimento e su sedie maleodoranti. Quando chiediamo di andare in bagno, ci conducono in un sotterraneo. Ci troviamo in un ampio corridoio buio e spoglio, fiancheggiato da una decina di lastre di ferro serrate con pesanti lucchetti. Solo in seguito comprendiamo che, probabilmente, sono i luoghi di detenzione per i migranti. Le ‘porte’ ci colpiscono perché non hanno maniglie né spioncini, ma solo una pesante lastra di metallo leggermente convessa. Cerchiamo di scacciare il pensiero su ciò che potrebbe accadere in quei luoghi in assenza di testimoni. Giunti alla fine del corridoio, un poliziotto ci sorride e ci indica una porta. Quando la apriamo, ci troviamo di fronte a uno sgabuzzino fetido, con urina e escrementi ovunque. Un secchio accanto a un WC rotto trabocca di carta e fazzoletti sporchi intrisi di feci.

L’espressione sul volto del poliziotto risulta davvero fuori luogo; è la seconda volta che sorridono mentre compiono atti crudeli. Tornando dal bagno, siamo ‘contenti’ di trovare i tre ragazzi marocchini spaventati e infreddoliti, ma ancora nella stessa stazione di polizia. Ormai siamo quasi certi che siano ‘al sicuro’. La mattina seguente, 25 dicembre, i tre vengono rilasciati: «Ci chiedono di firmare dei documenti in bulgaro, ma ci rifiutiamo. Siamo convinti di aver salvato tre persone la notte scorsa e di aver dovuto affrontare un po’ di detenzione per questo. Oggi, in Europa, funziona così».

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