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Italiano ucciso in Egitto da uno squalo, la moglie: “Non è stato imprudente, nessuno è intervenuto”

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Gianluca Di Gioia

Laurence, moglie di Gianluca Di Gioia, il 48enne ucciso da uno squalo a dicembre 2024 a Marsa Alam, in Egitto, rompe il silenzio e racconta la sua verità. “Per mesi ho ascoltato, letto e rivissuto il dramma senza mai replicare – spiega la donna in un’intervista al Corriere della Sera –. Io e la mia famiglia eravamo presenti, siamo testimoni diretti. Gianluca non ha commesso imprudenze: non ha superato alcun limite vietato, non ha sfidato il destino. Era una persona estremamente prudente, un viaggiatore esperto, rispettoso delle regole e della natura. Con il senno di poi, forse l’unico errore è stato scegliere una destinazione priva di un’adeguata organizzazione per le emergenze”.

Egitto, italiano ucciso da uno squalo: parla la moglie

Laurence ha scelto di parlare per “risarcire la memoria di Gianluca e raccontare chi era realmente“. Ricostruisce quindi quei tragici momenti: “Io, Gianluca e mia cognata Alessandra eravamo nella cosiddetta zona sicura, al di qua delle boe che segnalano il passaggio alle acque più pericolose. Nessuno ci aveva avvertito di possibili rischi. Ma quelle boe, in realtà, sono solo galleggianti: non c’è alcuna barriera sott’acqua che impedisca agli squali di avvicinarsi”.

Poi, il drammatico incontro con il predatore. “Stavamo facendo snorkeling quando ho visto lo squalo. Era a meno di due metri da Gianluca e lo puntava dritto. Ho iniziato a urlare, gli ho detto di allontanarsi, ma in un attimo è stato aggredito”.

I soccorsi tardivi

Ma oltre alla tragedia dell’attacco, Laurence denuncia la lentezza nei soccorsi. “Ho urlato con tutte le mie forze, chiedendo disperatamente aiuto, ma nessuno arrivava. Nessun bagnino, nessun mezzo di soccorso. Quando sono riuscita a raggiungere il pontile, ho visto un bagnino che si limitava a soffiare in un fischietto. Quel suono inutile lo sento ancora nella testa e non lo dimenticherò mai. Fischiava, ma nessuno si decideva a intervenire”.

Secondo il suo racconto, i soccorritori hanno perso tempo prezioso: “C’erano due gommoni ormeggiati, ma non trovavano le chiavi. Quando finalmente sono partiti e hanno riportato Gianluca sul pontile, hanno perso altri dieci minuti prima che arrivasse una macchinina per trasportarlo in un ambulatorio”.

Le parole della madre di Gianluca

Anche Angela, la madre di Gianluca, punta il dito contro i ritardi nei soccorsi. “Ero lì anch’io – racconta –. Dal pontile ho sentito le urla prima ancora di capire che fosse mio figlio. Ricordo una voce forte, di qualcuno ancora in forze. Se fossero intervenuti subito, se il gommone fosse partito senza indugi, se gli avessero bloccato la ferita per fermare l’emorragia, forse oggi Gianluca sarebbe ancora vivo”.

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