Italo Svevo è stato uno scrittore e drammaturgo italiano, autore di tre romanzi, numerosi racconti brevi e opere teatrali. La sua fama è giunta postuma in Italia ma grazie ai suoi incessanti studi, alla passione che nutriva per la letteratura che Svevo realizza un romanzo tutto nuovo, frutto della crisi vissuta verso la fine ‘800. Nasce il romanzo psicologico – introspettivo ed è proprio con La coscienza di Zeno che Svevo entra a far parte dei grandi autori della letteratura italiana.
Italo Svevo, vita e opere
Italo Svevo, pseudonimo di Aron Hector Schmitz, nasce il 19 dicembre del 1861 a Trieste, figlio di Francesco, proprietario di una vetreria e da Allegra Moravia, donna dolce e affettuosa, dedita al marito e agli otto figli. A 12 anni, insieme ai due fratelli Adolfo e Elio, viene inviato nel collegio di Segnitz presso Wurzburgo.
I suoi studi prevedono materie tecniche commerciali insieme al corretto apprendimento di quattro lingue, indispensabili per la carriera di commerciante desiderata dal padre. Lo studio della lingua tedesca e la passione per la letteratura, avvicinano Italo verso i maggiori classici tedeschi: Richter, Schiller e Goethe, ad alcune traduzioni tedesche di opere di Turgenev e Shakespeare, e con particolare entusiasmo le opere del filosofo Schopenhauer.
Nel 1878 i fratelli Schmitz rientrano a Trieste, Italo si iscrive all’Istituto superiore commerciale “P. Revoltella“, anche se desiderava ardentemente studiare la letteratura e un viaggio a Firenze, utile per studiare correttamente la lingua italiana.
Dopo che l’azienda familiare fallisce Italo è costretto a cercare un lavoro. Nel settembre 1880 viene assunto presso la filiale triestina della Unionbank di Vienna con le mansioni di addetto alla corrispondenza francese e tedesca. Il lavoro impiegatizio non gli impedisce di coltivare la passione per la letteratura né gli ostacola la collaborazione col giornale triestino “L’Indipendente“.
Gli inizi e lo pseudonimo Italo Svevo
Italo passava molto tempo, dopo il lavoro, nella biblioteca civica di Trieste, dove leggeva le opere di grandi autori italiani: Boccaccio, Guicciardini e Machiavelli, e di altri autori contemporanei. Approfondisce inoltre le opere di Tolstoj e legge anche numerosi autori francesi come: Flaubert, Daudet, Zola, Balzac e Stendhal.
Inizia a scrivere alcune commedie: “Ariosto governatore”, “Il primo amore”, “Le roi est mort: vive le Roi”, “I due poeti” e alcune novelle: “Difetto moderno”, “La storia dei miei lavori”, “La gente superiore”.
Con lo pseudonimo di Ettore Samigli riesce a far pubblicare su “L’Indipendente” due racconti: “Una lotta” (1888) e “L’assassinio di Via Belpoggio” (1890). Due anni dopo sceglie lo pseudonimo di Italo Svevo per sottolineare la sua doppia appartenenza alla cultura italiana e a quella tedesca, e pubblica presso l’editore triestino Vram, a sue spese, il suo primo romanzo “Una vita” (1892); ignorato dalla critica.
Dal 1886 al 1895 si susseguono una serie di lutti familiari che procureranno, nell’animo dello scrittore, un dolore profondissimo. Ma non è solo, Italo affronta il calvario di questi lutti con l’aiuto dell’amico pittore triestino Umberto Veruda e con le attenzioni premurose della cugina Livia Veneziani. Italo e Livia, felicemente innamorati, si uniranno in nozze il 30 luglio del 1896. L’anno seguente nascerà la figlia Letizia.
La vita coniugale scorre serena e tranquilla mentre Italo Svevo continua a dividersi fra tre lavori: l’impiego alla banca, l’insegnamento della lingua francese e tedesca all’Istituto Revoltella, il lavoro notturno al giornale “Il Piccolo”, dove è incaricato dello spoglio della stampa estera. Nonostante le numerose ore di lavoro, ricava il tempo necessario per dedicarsi alla scrittura del suo secondo romanzo, “Senilità” (1898), pubblicato ancora presso Vram, sempre a sue spese.
L’uso modesto della lingua italiana
Italo Svevo veniva costantemente criticato per l’uso troppo modesto della lingua italiana e l’attività per la quale nutriva così tanta passione non decollava. Questi insuccessi procurano una fase di stallo per la scrittura ma non abbandona la lettura e lo studio di altri grandi autori come Ibsen, Cechov e Dostoevskij.
Nel 1899 lascia definitivamente il lavoro alla banca e inizia ad occuparsi dell’industria del suocero: come dirigente Italo viaggiava molto e, infatti, riuscì a visitare diversi paesi europei come: la Francia, l’Austria, la Germania e l’Inghilterra. Quattro anni dopo pubblica la commedia di grande impegno “Un marito” (1903). Nel 1904 un altro grande lutto sconvolge lo scrittore: la morte dell’amico Umberto Veruda.
L’incontro e l’amicizia con James Joyce
Dal 1905 a cauda del crescente sviluppo dell’azienda, Italo Svevo, inizia a perfezionare i suoi studi sulla lingua inglese. Per questa occasione si rivolge al noto scrittore irlandese, James Joyce, giunto a Trieste qualche anno prima per insegnare l’inglese alla Berltz Scholl.
L’amicizia fra i due nasce sin da subito. Entrambi interessati alla letteratura si scambiano valutazioni sui propri lavori. Joyce, dopo la lettura dei due romanzi di Svevo, esprime all’amico parole di consenso e d’incoraggiamento, che fanno riemergere nello scrittore gli stimoli e la convinzione per poter riprendere il lavoro.
Lo scoppio della prima guerra mondiale separa i due amici: Joyce lascia l’Italia, mentre Svevo resta a Trieste per salvaguardare il patrimonio aziendale. Sono anni in cui Italo Svevo si dedica alla conoscenza della letteratura inglese. In questo periodo inizia ad interessarsi alla psicanalisi traducendo “La scienza dei sogni” di Sigmund Freud, mentre continuano le ricerche e le riflessioni per la scrittura di un romanzo futuro.
Il successo europeo de “La coscienza di Zeno “
Terminata la guerra collabora al primo grande giornale triestino, “La Nazione“, fondato dall’amico Giulio Cesari dopo il passaggio della città all’Italia. Contemporaneamente porta a compimento il suo terzo romanzo, “La coscienza di Zeno” (1923), pubblicato dalla casa editrice Cappelli, ancora una volta a sue spese, e ancora una volta sottovalutato dalla critica italiana.
Il successo de “La coscienza di Zeno” arriva grazie all’amico James Joyce, il quale, ricevuto e letto il libro, ne rimane entusiasta. Grazie a Joyce, Svevo si convince ad inviare il testo a critici e letterati francesi come V. Larbaud e B. Crémieux, i quali esprimeranno un assoluto apprezzamento e decretandone uno straordinario successo in campo europeo.
Nella primavera del 1925 Italo si reca a Parigi per incontrare i suoi estimatori, fra i quali la dolcissima signora Crémieux, che gli parla delle opere di Marcel Proust, autore a lui ancora sconosciuto. Italo Svevo, sempre attivamente appassionato alla lettura, in questi anni legge con ammirato interesse le opere di Marcel Proust e Franz Kafka.
Il consenso letterario e le ultime opere
In Italia è Eugenio Montale a scrivere, nel dicembre del 1925, il saggio critico “Omaggio a Svevo“, sulle tre opere ricevute dall’autore stesso, ponendolo sul piano più alto della letteratura contemporanea. Le lodi europee e il consenso delle nuove generazioni letterarie smuovono definitivamente le incomprensioni italiane.
Nonostante le precarie condizioni fisiche, la salute di Svevo è minacciata dall’enfisema polmonare causata dal troppo fumo, riprende comunque con entusiasmo la propria produzione letteraria.
Scrive i racconti come “La madre“, “Una burla riuscita“, “Vino generoso” e “La novella del buon vecchio e della bella fanciulla“, tutte pubblicate nel 1925. Nello stesso anno va in scena a Roma l’atto unico “Terzetto spezzato“. Scrive, inoltre, l’incompiuto “Corto viaggio sentimentale” che verrà pubblicato postumo nel 1949.
Italo Svevo intanto lavora a una serie di novelle e ad un quarto romanzo, Il Vecchione o Le confessioni di un vegliardo, quando il 12 settembre 1928 ha un incidente in automobile, con l’autista, la moglie e il nipote, lungo la via Postumia vicino a Motta di Livenza.
Muore a causa di una crisi cardiaca il 13 settembre, all’età di 76 anni, lasciando i lavori incompiuti. Le opere e gli abbozzi intrapresi furono pubblicati solamente postumi.
Flusso di coscienza o monologo interiore?
Per molto tempo diversi studiosi avevano accostato i lavori di Joyce e di Svevo, forse anche per il profondo legame che i due scrittori avevano, ma ad oggi la critica separa il flusso di coscienza joyciano dal monologo interiore che si evince ne “La coscienza di Zeno“. L’unico rapporto che si evince tra l’opera di Svevo e l’Ulisse di Joyve è la generale visione del mondo dell’avanguardia novecentesca.
La conoscenza delle teorie freudiane e della cultura europea contemporanea sviluppò la naturale tendenza dello scrittore all’analisi dell’uomo, passando dalla realtà esterna a quella interiore. L’uomo che egli descrive nasce dalla crisi della civiltà dell’Europa dell’800.