Jim Morrison è stato un cantautore e poeta statunitense, nonché leader carismatico della band The Doors: probabilmente il gruppo rock americano più importante della storia. Ha incarnato simbolicamente la contestazione giovanile sessantottina deflagrata dall’ateneo di Berkeley e giunta poi in tutta Europa, diventando per tutti una delle icone della rivoluzione di costumi degli anni ’60, la quale ha trovato il suo sbocco politico nelle contestazioni pacifiste contro la guerra in Vietnam.
Jim Morrison, il frontman dei The Doors
James Douglas Morrison, (detto Jim) nasce a Melbourne l’8 dicembre del 1943. Andando alla sua stretta biografia, va detto che il piccolo Jim non è un bambino facile.
Risente dei continui spostamenti, causa il lavoro di suo padre, George Stephen Morrison, un influente ammiraglio della Marina degli Stati Uniti d’America il quale, molti anni dopo, si troverà nel Golfo del Tonchino, al momento del famoso incidente che avrebbe offerto agli Usa il pretesto per muovere guerra al Vietnam.
Sua madre è Clara Clarke, ed è una casalinga, figlia di un noto avvocato. James cresce insieme alla sorella Anne Robin e al fratello Andrew Lee: un’educazione severa per lui come per i suoi due fratelli, con i quali non legò mai. Tutti e tre cambiano spesso scuola e amicizie, costretti all’instabilità.
Appena tre anni dopo la nascita di Jim, da Pensacola, in Florida, la famiglia Morrison si trasferisce a Clearwater, sul Golfo del Messico. L’anno dopo, nel 1947, sono a Washington prima, ed a Albuquerque poi.
Ed è proprio durante uno di questi spostamenti, in automobile, che Jim Morrison vive una delle esperienze che più lo segna nel corso della sua esistenza, fonte di ispirazione per diverse canzoni e, soprattutto, poesie. A detta dello stesso Morrison infatti, nel 1947 lui e la sua famiglia si trovano impelagati in un incidente, mentre percorrono il deserto tra Albuquerque e Santa Fe, nel Nuovo Messico. 7
Qui, il piccolo Jim scopre per la prima volta la morte, scorgendo sulla strada una moltitudine di corpi appartenenti ad un gruppo di lavoratori indiani, della tribù Pueblo, molti dei quali insanguinati. Più in là, lo stesso cantante americano asserirà di aver sentito l’anima di uno shamano morto in quell’incidente entrare dentro di lui e influenzarlo per il resto della sua vita.
Infanzia
Ad ogni modo, la famiglia continua i suoi spostamenti. Arrivano a Los Altos, in California, dove la futura rockstar comincia le scuole elementari. Tre anni più tardi scoppia la Guerra di Corea e il padre deve andare al fronte. Le conseguenze sono un nuovo trasloco, questa volta a Washington, nel 1951. L’anno successivo poi, si stabiliscono a Claremont, vicino a Los Angeles.
Nel 1955 il piccolo Morrison è a San Francisco, nel sobborgo di Alameda, dove prende parte all’ottavo anno di scuola. Due anni dopo, comincia il nono anno, rivelando tutte le sue qualità di studente modello, divoratore di testi filosofici e letterari, tanto da meritarsi alcune menzioni d’onore.
La ribellione alla borghesia statunitense
L’inizio della sua ribellione allo status borghese, se si può dire così, avviene nella libreria del poeta beat Lawrence Ferlinghetti, che dal 1958 Jim comincia a frequentare assiduamente, insieme ai locali poco raccomandabili della stessa San Francisco.
Un breve scarto e arriva l’ennesimo trasferimento, questa volta di passaggio in Virginia, dove Jim stupisce gli insegnanti del liceo George Washington. Il suo quoziente di intelligenza è fuori dal comune e si attesta su 149. Tuttavia, il cambiamento è radicale e tra il 1960 e il 1961 avviene in lui qualcosa che, tra le altre azioni di ribellione confusa, lo porta a mancare clamorosamente la consegna dei diplomi, cosa che manda su tutte le furie suo padre.
Taglio alle origini
Viene allora mandato dai nonni in Florida, per frequentare lo Junior College di Saint Petersburg, con scarsi risultati: è ormai indirizzato sulla strada beat e anche il suo look, sempre più trasandato, ne risente. Passa alla Florida State University di Tallahassee e comincia a frequentare la studentessa Mary Frances Werbelow.
Il 1964 è un anno importante per Jim Morrison e per la sua famiglia. Il futuro rocker vuole andare all’UCLA, il centro sperimentale di cinematografia della California. Suo padre non è intenzionato a dargli i soldi per questa nuova impresa, che reputa inutile: vuole per il primogenito un futuro nell’esercito.
Jim allora, come ammetterà più in là, si taglia i capelli, si ripulisce, indossa abiti puliti e affronta suo padre in una lunga chiacchierata di convincimento la quale, a ben guardare, sarà praticamente l’ultima tra i due. Così facendo, ottiene i soldi per l’UCLA. È il taglio definitivo, in realtà, con le origini e con la sua famiglia. Morrison arriverà a dichiarare persino di essere rimasto orfano.
Gli anni dell’UCLA e la nascita dei The Doors
L’UCLA si rivela un’esperienza tanto deludente quanto stimolante all’inverso: incompreso dal punto di vista registico (due dei suoi unici cortometraggi non godranno di grossa considerazione all’interno della scuola), Jim si butta nella letteratura e nella musica, che interpreta come un’occasione per fare poesia.
Ai corsi, con lui, ci sono personaggi di spicco come Martin Scorsese e Francis Ford Coppola, che passano per quella facoltà, ma Morrison stringe i rapporti soprattutto con quello che sarà il suo futuro tastierista, Ray Daniel Manzarek.
I due si conoscono sulla spiaggia di Venice, vero e proprio luogo scelto da Morrison per le sue peregrinazioni notturne, ormai votato all’alcol e alla vita bohemien. Un libro, oltre a “On the road” di Jack Kerouac, e alle poesie di Allen Ginsberg, sembra averlo appassionato più degli altri: “Le porte della percezione”, dello scrittore britannico visionario e geniale Aldous Huxley, l’autore di “Mondo Nuovo” e del saggio-romanzo “L’isola”.
La nascita dei The Doors
L’incontro con Ray Manzarek porta alla nascita dei The Doors, un nome che omaggia il titolo del libro amato da Morrison e che a sua volta, si rifà ad un noto verso del poeta William Blake. I due dunque, impiegano poco tempo a dare vita ad una band, grazie soprattutto al repertorio di poesie di Jim, che per anni, in pratica, non ha fatto altro che buttare giù versi.
Il primo brano in assoluto che compongono, il quale però vedrà la luce discografica solo nel secondo disco dei Doors, si intitola “Moonlight drive”. Secondo alcuni racconti, Morrison avrebbe canticchiato nelle orecchie di Manzarek le prime strofe del brano, impressionando il pianista e convincendolo a mettere su una band di musica rock.
Un anno dopo, nel 1966, i Doors sono al “Whisky a Go Go”, il music club più noto di West Hollywood. Con i primi due, ci sono anche il chitarrista Robby Krieger e il batterista John Densmore: il primo darà vita a “Light my fire”, una delle canzoni più amate dai giovani di tutte le generazioni, caratterizzata da un lungo e lisergico assolo di Hammond firmato da Manzarek. Il pianista fa anche da basso, portando il tempo e i giri con la mano sinistra, contemporaneamente.
L’inizio della band e l’incontro con Pam
Intanto però, al Sunset Strip, la zona dei locali di Los Angeles, Jim incontra Pamela Courson, la futura Pam, l’unica donna che amerà e da cui verrà realmente amato.
Intanto, le esibizioni di Morrison scandalizzano i gestori dei locali e anche il Whisky a Go Go decide di allontanare la band, dopo una delle versioni più hot della nota canzone “The End”, che il front-man dei Doors canta e interpreta in un modo molto spinto, creando una comunione intensa e talvolta scandalosa con il pubblico presente. Nel giro di poco tempo, Jac Holzman, fondatore della casa discografica Elektra Records, ormai leggendaria, propone ai Doors un impegno contrattuale di sette album, in esclusiva.
Il primo album
Il 4 gennaio del 1967 l’Elektra pubblica il primo, storico, album di Morrison e compagni,che, come consuetudine dell’epoca, si intitola come il nome della band: “The Doors”. Il disco è una bomba e contende a “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” dei Beatles la palma della prima posizione americana.
C’è di tutto: sonorità blues come la vecchia ballata “Alabama Song”, ritmi duri e brani arrabbiati come “Break on through” e “Light my fire”, scene visionarie e poetiche come “The end” e “The Crystal Ships”, unitamente a ritmiche latine, chitarre flamenco e ammiccamenti boogie da parte dell’organo di Manzarek.
E, soprattutto, ci sono i versi di Jim e l’impatto lisergico della sua voce: mai perfetta, non eccezionale, spesso esclusivamente baritonale ma, tuttavia, enormemente carismatica.
Il tour che segue è un grande successo. In breve Morrison si ritaglia la fama di istigatore di folle, provocatore, ribelle. Durante i suoi concerti non dà freno a nulla: spesso ubriaco e sotto l’effetto di droghe, invita la gente a salire sul palco, provoca le forze dell’ordine, fa l’equilibrista sul palcoscenico, si tuffa tra il pubblico e simula orgasmi con la voce, a volte causando la fine improvvisa delle sessioni dal vivo. Soprattutto, cerca in tutti i modi di spogliarsi.
Strange Days e l’apice del successo
Il 1967 segna l’uscita del secondo album, “Strange Days”, il quale si attesta al terzo posto della classifica Billboard 200. Durante il tour, i Doors sono nei migliori locali d’America, dal Berkeley Community Theatre al Fillmore, al Winterland di San Francisco, fino allo storico Village Theatre di New York, le più importanti location rock del momento.
In quella stagione, la band viene invitata al “The Ed Sullivan Show”, esattamente il 17 settembre. Si tratta del programma più seguito d’America, dove Jim si consacra come simbolo di ribellione. Il conduttore chiede al cantante di evitare la parola “higher” (riferita allo sballo da droghe) e prontamente, Morrison disobbedisce in modo provocatorio, pronunciando la parola in modo ancor più forte, direttamente davanti alla telecamera. Intanto, i The Doors sono già all’apice del successo.
Le provocazioni alla polizia e i grandi sucessi
Il 9 dicembre successivo, arriva uno dei tanti arresti sul palco di Jim Morrison, causato dalle continue provocazioni da parte del cantante alle forze dell’ordine presenti in divisa. È una continua provocazione la sua, irrorata di alcol e portata all’estremo dagli allucinogeni, di cui Morrison è sempre più dipendente.
Nel luglio del 1968, quando i Doors sono sempre più croce e delizia del pubblico, arriva il disco “Waiting for the sun”, dal brano omonimo contenuto nel disco. Non è un lavoro eccellente dal punto di vista tecnico, ma sono presenti alcune delle canzoni più lisergiche della storia del rock, molte delle quali incentrate sulle esperienze allucinogene del cantante con la sua band. Ad esse, si affiancano alcuni brani d’amore, figlie della relazione sempre più tormentata tra Jim e Pam, come “Love Street” e “Hello, I love you”.
Arriva anche uno degli eventi più importanti, come l’atteso concerto all’Hollywood Bowl di Los Angeles, considerato l’evento rock dell’anno. Qui però, a differenza delle ultime uscite, il front-man della band è concentrato sulla performance e non si lascia andare ai suoi soliti comportamenti.
Cosa che invece accade durante tutti i successivi concerti, spesso interrotti e devastati dai fan, come quello al Singer Bowl di New York e a quello di Cleveland, dove Jim Morrison inaugura anche il tuffo sulla folla. Nonostante ciò, in quell’estate il singolo “Hello, I Love You” si attesta al primo posto in classifica.
Sex symbol
Icona sexy e rockstar incontrollabile, si fa immortalare per sempre nel celebre servizio in bianco e nero firmato dalla fotografa Joel Brodsky, chiamato “The Young Lion” (Il giovane leone). Tuttavia, da questo momento comincia il declino del cantante, che litiga sempre di più con il resto della band e con la sua compagna, ormai preda di alcol e droghe.
L’episodio peggiore è datato 1969, durante il concerto di Miami, al Dinner Key Auditorium. I Doors vengono da un lungo tour europeo più o meno di successo, e soprattutto dal tutto esaurito al Madison Square Garden. A Miami però, Morrison esagera, e il concerto degenera in una vera e propria sommossa: il cantante viene accusato di aver mostrato i genitali al pubblico, sebbene non vi siano prove contro di lui.
Il processo, la condanna e il matrimonio pagano
Il 20 settembre del 1970, viene processato e condannato per atti contrari alla morale e bestemmia in luogo pubblico, ma non per ubriachezza molesta e oscenità. È l’inizio della fine.
Anche “The soft parade”, album uscito nel 1969, non convince il pubblico e si rivela un flop, con strani archi e sottofondi da camera che poco si uniscono al sound aspro e talvolta hard dei vecchi Doors. Inoltre, Morrison si fa arrestare nuovamente, questa volta durante un volo diretto a Phoenix, per ubriachezza e condotta molesta.
A febbraio del 1970, nonostante non sia stato un gran successo di vendite, vede la luce uno dei migliori lavori dei Doors, il disco “Morrison Hotel”, contenente la celeberrima Roadhouse Blues. È, o meglio, sarebbe potuto essere, l’inizio di una sfolgorante carriera di bluesman per l’interprete di “The End”, genere assolutamente nelle sue corde e in grado di “prestare il fianco”, grazie alla propria fisionomia musicale, alle intuizioni scrittorie del cantante.
Morrison non se ne rende conto più di tanto e, nello stesso anno, preda amatoria della giornalista e scrittrice Patricia Kennealy, si unisce a lei in una stramba cerimonia “pagana”, che avrebbe dovuto sancire la loro unione, dopo il momentaneo allontanamento da Pamela.
Le ultime apparizioni
Dal punto di vista strettamente musicale, i Doors dal vivo non sono più quelli di prima. All’Isola di Wight, altro concerto leggendario, Jim inscena una delle sue peggiori performance, dichiarando alla fine che quella sarebbe potuta essere la sua ultima esibizione.
Tuttavia, questa arriva il 23 dicembre successivo, al Warehouse di New Orleans, nel quale Jim Morrison dimostra di essere ormai arrivato alla fine della corsa: ubriaco, stravolto, completamente fuori giri e quasi sempre disteso sul palco. Nel febbraio del 1971, Pamela viene raggiunta da Jim a Parigi.
Nell’aprile del 1971, arriva un altro lavoro interessante, l’ultimo in studio della band, altra prova del talento blues di Morrison. Si chiama “L.A. Woman” e contiene brani di repertorio interessanti, come l’omonima canzone che dà il titolo al disco, o gli ottimi “America”, “Love her madly” e la celeberrima “Riders on the storm”.
Morte
L’intento parigino è quello di dedicarsi alla poesia, di ripulirsi. Ma il 3 luglio del 1971, al n. 17 di rue de Beautreillis, a Parigi, Jim Douglas Morrison muore in circostanze mai chiarite, nella sua abitazione, trovato senza vita nella vasca da bagno.
Due giorni dopo, durante un funerale di otto minuti e alla sola presenza di Pam, dell’impresario Bill Siddons, giunto frettolosamente dall’America, e della regista e amica di Jim, Agnes Varda, il Re Lucertola viene seppellito nel Cimitero di Père-Lachaise, quello degli artisti, con Oscar Wilde, Arthur Rimbaud e molti altri.
Forse è stato un attacco cardiaco, com’è la versione ufficiale, ad averlo ucciso, causa l’eccesso di alcol. Forse una morte inscenata ad hoc per fuggire la CIA, incaricata di “fare fuori” tutti i miti della controcultura, i sovversivi come Morrison, come Janis Joplin, come Jimi Hendrix.
O forse, come sembra più ovvio credere, date le sue frequentazioni parigine, una overdose di eroina pura. Molte sono e restano le congetture fatte sulla sua morte, per giunta a distanza di diversi decenni quasi impossibili da definire.
Tra i suoi vari soprannomi, si ricorderanno sempre Mr. Mojo Risin (un anagramma del suo nome, ripetuto a non finire nella celebre canzone “L. A. Woman” e significante anche una chiara allusione all’organo sessuale), Re Lucertola (da “Celebration of Lizard”, il suo poema) e Dioniso incarnato. Ma per tutti i suoi fan c’è da scommettere che resterà solo e semplicemente Jim.