James Marshall “Jimi” Hendrix nato a Seattle il 27 novembre del 1942 e morto a Londra il 18 settembre del 1970, è stato un chitarrista e cantautore statunitense. È stato uno dei maggiori innovatori nell’ambito della chitarra elettrica e del rock stesso.
È stato considerato all’unanimità il più grande chitarrista elettrico di tutti tempi. Dal suo strumento d’elezione seppe trarre un’innumerevole quantità di diversi effetti timbrici, giungendo a suonarlo anche con i denti , con il gomito o con l’ asta del microfono, in modo coerente al carattere istintivo ed esibizionistico dei suoi concerti.
Jimi Hendrix, vita e carriera
Frutto di un incrocio fra sangue indiano Cherooke, nero e messicano, il geniale musicista vive i suoi primi anni di vita immerso in una situazione familiare non delle più felici. Per anni convive con la nonna (indiana Cherooke purosangue che lo porta ancora più vicino alle sue radici Indiane e ribelli), mentre padre e madre si arrangiano in mille lavori.
All’età di soli dodici anni riceve come dono la sua prima chitarra elettrica, chiamata da lui affettuosamente “Al“, un piccolo strumento con cui comincia le sue prime esperienze musicali da autodidatta. I problemi cominciano da lì a poco. La madre muore quando Jimi ha solo 15 anni mentre all’età di 16 anni viene espulso da scuola, probabilmente per motivi razziali (ci troviamo nell’America puritana e Maccartista degli anni ’50).
Di fatto comincia a darsi al vagabondaggio, guadagnandosi da vivere con gruppi di rhythm and blues e di rock’n’roll. Dopo aver prestato servizio militare come paracadutista, a 21 anni si inserisce nel giro dei session-man, ossia di coloro che vengono pagati a cottimo per le loro prestazioni musicali.
Gli inizi
Grazie alle sue doti straordinarie nel giro di poco tempo diventa il chitarrista nientemeno che di personlità come Little Richard, Wilson Pickett, Tina Turner e King Curtis, alcune delle stelle del firmamento rock dell’epoca.
Nel 1965 al Greenwich Village forma il suo primo complesso stabile, ottenendo un contratto per esibirsi regolarmente. Con una situazione più sicura alle spalle ha modo di concentrarsi ancora di più nello studio della tecnica esecutiva, in cui arriva a vertici difficilmente avvicinabili – non tanto per la tecnica in sé, quanto per le capacità raggiunte nel trattamento del suono o della singola nota: in questo avvicinandosi, seppur intuitivamente, agli approdi della musica colta del Novecento.
L’innovativo stile di Hendrix nel combinare distorsioni lancinanti, piene di dolore, ad una pura vena blues crea di fatto una nuova forma musicale, che si avvale di tutta la tecnologia legata allo strumento, dal finger-picking al wah-wah, dal plettro ai pedali, dal feedback all’effetto Larsen, dai controlli di tono ai distorsori.
Nei suoi brevi quattro anni di “regno”, Jimi Hendrix amplia il vocabolario della chitarra elettrica rock più di qualsiasi altro. Hendrix diventa un maestro nel riuscire a tirar fuori dalla chitarra suoni mai ascoltati prima di allora; spesso con esperimenti di amplificazione che portano al limite, se non oltre, le capacità delle attrezzature impiegate.
Le sue esibizioni si distinguono per la selvaggia energia del suo modo di suonare e per l’irresistibile carica sessuale dei suoi atteggiamenti (il tutto, anche abbondantemente condito da acidi e sostanze psicotrope).
Ad ogni modo, se non fosse stato per le interessate cure di Chas Chandler, ex-Animals, manager a New York in cerca di nuovi talenti, forse Hendrix sarebbe solo uno dei tanti nomi che circolavano nell’ambiente, oscurati dai giovani talenti bianchi a cui tanta attenzione poneva l’opinione pubblica ed i media in genere.
A Londra
Chandler lo porta invece con sé a Londra dove gli procura una sezione ritmica: la nuova band di Jimi, chiamata significativamente “The Jimi Hendrix Experience” (formata dal batterista Mitch Mitchell e dal bassista Noel Redding), diventa in breve tempo l’argomento di conversazione principale a Londra nel periodo conclusivo del 1966.
Inoltre, il primo singolo dell’Experience, “Hey Joe“, rimane nelle classifiche inglesi per dieci settimane, raggiungendo la sesta posizione nel tardo 1967. Il singolo del debutto è velocemente seguito dal lancio dell’LP “Are You Experienced?“, una compilation psichedelica zeppa di inni generazionali.
L’LP non a caso rimane uno dei più popolari album rock di tutti i tempi, con canzoni immortali quali “Purple Haze“, “The Wind Cries Mary“, “Foxy Lady“, “Fire” e “Are You Experienced?“.
Nonostante lo schiacciante successo della Hendrix Experience in Inghilterra, è solo quando questa, nel giugno del 1967, torna in America infiammando letteralmente la folla del Monterey International Pop Festival che diviene la band più popolare del mondo. Al termine della sua estenuante esibizione (con una versione demoniaca di “Wild thing“), dopo aver dato fuoco alla chitarra, Jimi raccoglie un’ovazione interminabile.
Il successivo LP sfornato dalla bande è “Axis: Bold As Love” mentre, dopo preso il totale controllo della band e aver trascorso parecchio tempo nella console in studio, nel 1968 è la volta di “Electric Ladyland“, un capolavoro della storia del rock (malgrado il “vero” Jimi Hendrix sia ascoltabile, è bene ricordarlo, solo attraverso le registrazioni dal vivo).
Il declino e la morte
Ma già nel 1968 comincia il declino fisico, morale e artistico di Hendrix. Durante tutto quel fatidico anno le richieste pressanti di concerti e registrazioni in studio snervano notevolmente la fibra del gruppo, tanto che nel 1969 l’Experience si scioglie, forse anche sotto le pressioni del movimento nero delle “Black Panther“, a cui Hendrix aveva aderito, che disdegnava l’appartenenza di Hendrix ad un trio composto da bianchi.
Ad agosto trionfa a Woodstock, oltre che con la solita infiammata esibizione, anche con una versione delirante dell’inno americano (“Star spangled banner“), uno sberleffo divenuto celeberrimo. Con la sua chitarra Hendrix non si limita a distorcere la celebre melodia ma, in linea col pacifismo e le contestazioni del tempo, imita il suono di spari e bombardamenti, ricordando a tutti che era in corso la tragica guerra del Vietnam.
Il 1969 ha inizio con una nuova collaborazione tra Jimi, Billy Cox e il batterista Buddy Miles (tutti musicisti neri), i quali danno vita alla “Band of Gypsys“. I tre intraprendono una serie di performance stellari nei giorni tra il 31 dicembre 1969 e 1 gennaio 1970. Di questi concerti vengono effettuate delle registrazioni poi messe sul mercato a partire dalla metà degli anni ’70 in un unico album.
Successivamente Jimi ricontatta il batterista Mitch Mitchell e, insieme al bassista Billy Cox, rimette in piedi la Jimi Hendrix Experience. In studio il gruppo registra molte tracce per un altro LP, provvisoriamente intitolato “First Rays Of The New Rising Sun“.
Sfortunatamente Hendrix non riuscirà a veder pubblicato questo nuovo lavoro: un mese dopo, a 28 anni non ancora compiuti, viene ritrovato morto a Londra riverso sul letto di una stanza del Samarkand Hotel, soffocato nel proprio vomito per una overdose di barbiturici. È il 18 settembre 1970.
Le opere postume e gli omaggi alla leggenda
Da allora è stato un susseguirsi di omaggi alla sua memoria, ma anche di insinuazioni sulla sua morte, considerata “misteriosa”, un po’ come succede a tutte le rockstar scomparse prematuramente. Intorno al patrimonio di Hendrix, com’era prevedibile, si è scatenato un vespaio di beghe legali e di operazioni speculatrici.
Come in vita, anche dopo la morte il grande chitarrista nero è stato manipolato da impresari senza scrupoli. Hendrix è stato indubbiamente uno degli artisti più sfruttati dall’industria discografica, che non esitò (e non esita tuttora) a pubblicare tutto ciò che egli suonò.
Nessuno sa come si sarebbe evoluta la stella di Hendrix, né che percorso avrebbe seguito la sua parabola. Stimato da tutti i veri musicisti, poco prima della sua morte circolava la voce di una sua possibile collaborazione con un altro genio: Miles Davis.
Come scrive il critico Paolo Galori, l’ultimo Hendrix è “un musicista solo e visionario, pronto a volare ancora più in alto, fino a bruciarsi le ali, distrutto dagli eccessi nel disperato tentativo di non replicare se stesso di fronte a chi gli chiede prove della sua divinità”.