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Joe Petrosino, il poliziotto padulese che per primo affrontò la Mafia

Joe Petrosino, poliziotto padulese, sacrificò tutto se stesso per combattere la criminalità organizzata; fu, inoltre, il primo a promuovere delle tecniche per la lotta al crimine che vengono praticate ancora oggi dalle forze dell’ordine.

Joe Petrosino: la vita

Giuseppe Petrosino, nacque a Padula, in provincia di Salerno, il 30 agosto 1860. La sua era una delle poche famiglie modeste a ricevere un’adeguata istruzione: il padre, con il suo lavoro di sarto, era riuscito a far studiare tutti i figli maschi.

Nel 1873, Giuseppe emigrò con la sua famiglia a New York, passò la sua adolescenza nel quartiere Little Italy, dove si manteneva con una serie di lavoretti: vendeva giornali, lucidava scarpe. Con il passare del tempo, Giuseppe iniziò ad essere chiamato Joe, studiò la lingua inglese e prese la cittadinanza statunitense. Nel 1878, si fece assumere come netturbino dall’amministrazione newyorkese.

Nel 1907 Joe sposa la vedova Adelina Saulino, i due si erano conosciuti nel ristorante della famiglia di lei dove Joe era solito frequentare. Dalla loro unione nacque la figlia, chiamata anche lei Adelina.

Joe e la lotta alla criminalità organizzata

Intanto in America la situazione iniziò a destabilizzarsi, arrivavano fitte schiere di emigranti italiani, che pian piano iniziarono a insediarsi nel quartiere Little Italy, aumentandone così la criminalità. I poliziotti, che a quel tempo erano tutti ebrei e irlandesi, non riuscirono a contenere questo afflusso; non comprendevano gli italiani e né tanto meno riuscivano a farsi comprendere.

Per ovvie ragioni era necessario qualcuno che comprendesse quei modi di fare e chi, avrebbe potuto, se non un italiano stesso? Joe Petrosino da addetto alla nettezza urbana del dipartimento di polizia, diventò informatore e grazie alle sue doti venne ammesso successivamente nella polizia.

Joe era molto temuto dai suoi concittadini, quando vi era lui in strada nemmeno i crimini minori venivano ignorati; quando era di pattuglia vi era una frase in codice che i popolani diffondevano, il brusio di voci soleva dire:

Oggi Petrosino ind’ ‘a minestra” -“Oggi prezzemolo nella minestra.”

La sua figura si differenziava dagli altri poliziotti: nonostante la sua scarsa altezza, era un uomo non più alto di un metro e sessanta, con un fisico tarchiato e le scarpe munite di tacchi alti, Joe Petrosino diventò il simbolo della lotta alla criminalità a favore della giustizia e della legge.

Il suo obbiettivo era quello di riportare nel suo quartiere il buon nome degli italiani, macchiato dai crimini di un organizzazione nota all’epoca come Mano nera, e solo successivamente conosciuta come Mafia.

Grazie anche alla fiducia che aveva riposto su di lui, il futuro presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt, allora assessore della Polizia newyorkese; Petrosino venne promosso sargente nel 1895.

Liberato dalla divisa iniziò a svolgere varie investigazioni, riscuotendo numerosi successi grazie al suo rarissimo fiuto, la sua tenacia, e alle misure di ordine pubblico.

Nel 1905, diventato tenente, gli venne affidata l’organizzazione d’una squadra di poliziotti italiani, l’Italian Branch, composta di cinque membri, tra cui il successore di Petrosino, Michael Fiaschetti, nativo di Morolo.


                          Italian Branch

Infiltratosi tra gli anarchici newyorkesi, ottenne una soffiata importantissima, la quale ordiva l’assassinio dell’allora presidente degli Stati Uniti William Mckinley. Petrosino informò tempestivamente i superiori, ma questi e il presidente stesso, sottovalutarono la notizia e il 6 settembre del 1901 il 25° presidente degli Stati Uniti venne ucciso da Leon Czolgosz.

Joe Petrosino: la morte

Abile a camuffarsi e a penetrare negli ambienti malavitosi, Petrosino mise a segno colpi importanti contro la criminalità organizzata, ma proprio quando era giunto a smascherare i vertici di tale organizzazione, cadde vittima di un attentato. Fu ucciso con tre colpi di pistola a Palermo, il 12 marzo del 1909.

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