Un lavoratore che non si vaccina può essere sospeso senza ricevere lo stipendio. C’è una sentenza, emessa dai giudici del Tribunale di Modena il 23 luglio, destinata a far discutere parecchio. Per i magistrati «il datore di lavoro si pone come garante della salute e della sicurezza dei dipendenti e dei terzi che per diverse ragioni si trovano all’interno dei locali aziendali». E quindi, così come recita l’articolo 2087 del codice civile «deve adottare tutte quelle misure di prevenzione e protezione che sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori».
Il lavoratore che non si vaccina sospeso e senza stipendio: cosa dice l’Ue
Ma non solo. I giudici hanno richiamato anche la direttiva Ue 2020/739 del 3 giugno 2020, che ha incluso il Covid tra gli agenti biologici da cui è obbligatoria la protezione negli ambienti di lavoro.
I giudici: non basta la mascherina
Protezione che – in presenza dei vaccini – non può essere assicurata solo dall’uso delle mascherine (come sostenevano i dipendenti) per essere adeguatamente in sicurezza. I giudici hanno anche aggiunto che il datore di lavoro non ha l’obbligo di informare i dipendenti informazioni sui rischi/benefici della vaccinazione. Motivo: si suppone che quelle informazioni siano ormai ben note e reperibili ovunque, a partire dal medico di famiglia.
Il ricorso contro la decisione del datore di lavoro di sospendere senza stipendio i lavoratori, è stato presentato da due fisioterapiste di una RSA assunte da una cooperativa di Modena. La scelta del titolare dell’azienda era stata adottata dopo il loro rifiuto di vaccinarsi.
Il lavoratore che non si vaccina sospeso e senza stipendio: una sentenza importante
La decisione dei magistrati è rilevante perché la sospensione è avvenuta prima dell’entrata in vigore del decreto legge 44/201, quello che impone l’obbligo di vaccinarsi a tutto il personale sanitario, e che non poteva applicarsi al caso in questione perché non aveva efficacia retroattiva.
Il lavoratore che non si vaccina sospeso e senza stipendio può essere il dipendente di qualsiasi settore. La questione messa in evidenza dai togati è la sicurezza nell’ambiente di lavoro. Che sia un Rsa, un ospedale, una tipografia o un autolavaggio.
Il rifiuto a vaccinarsi è motivo adeguato per sospendere senza retribuzione
Per i magistrato anche se il rifiuto a vaccinarsi non può generare delle sanzioni disciplinari, può invece avere delle conseguenze sia sulla valutazione oggettiva del dipendente sia sull’idoneità a svolgere delle mansioni.
E quindi, come logica conseguenza, chi lavora a contatto con il pubblico o anche in spazi al chiuso e accanto ad altri colleghi, il rifiuto di vaccinarsi può costituire un adeguato motivo per sospendere il lavoratore senza retribuzione.
Il lavoratore che non si vaccina sospeso e senza stipendio: non c’è privacy
I giudici del tribunale di Modena non hanno ritenuto valida la supposta violazione della privacy delle lavoratrici che avevano sottoscritto il consenso informato sul rifiuto di vaccinarsi. Quel rifiuto può essere infatti preso in considerazione dal medico aziendale per valutare la non idoneità del lavoratore a svolgere quella determinata mansione.
In pratica per i magistrati la “libertà di scelta” dei due dipendenti deve essere bilanciata con altri diritti altrettanto rilevanti dal punto di vista costituzionale come la salute dei clienti, degli altri dipendenti e il principio di libera iniziativa economica (articolo 41 della Costituzione).
E quindi, se il datore di lavoro non può disporre di mansioni alternative per i lavoratori che rifiutano di vaccinarsi (e che non prevedano contatti con l’utenza), ha la facoltà di decidere la sospensione per chi ha detto no alla somministrazione delle dosi di vaccino.
Si parla in questo caso di principio di solidarietà collettiva. Pesa su tutti, anche i lavoratori, e per i magistrati rende legittima la decisione dei datore di lavoro di disporre l’allontanamento momentaneo del dipendente non vaccinato.
Il lavoratore che non si vaccina sospeso e senza stipendio: non siamo in fase sperimentale
I giudici, all’interno della sentenza, hanno anche citato gli studi clinici che dimostrano l’efficacia dei vaccini nella prevenzione e nel contenimento del contagio da covid.
Ma non solo: la scelta delle autorità regolatorie sui farmaci (Ema e Aifa), di somministrare il vaccino anche ai ragazzi a partire dai 12 anni, esclude in maniera evidente che il farmaco in questione sia di natura sperimentale, mentre ci sono evidenze scientifiche inconfutabili sulla possibilità che l’infezione da covid aumenti il rischio di danni irreversibili anche a lungo termine.