Gregor Johann Mendel (uno dei precursori dell’eugenetica moderna) in due conferenze tenute rispettivamente l’8 febbraio e l’8 marzo del 1853, ebbe l’occasione di esporre il lavoro di una vita a un pubblico di circa quaranta persone, tra cui biologi, chimici, botanici e medici. Nascono le cosiddette “Leggi di Mendel”.
8 febbraio 1853: nascono le “Leggi di Mendel”
Nel passaggio da una generazione all’altra di ogni specie di esseri viventi si trasmettono dei caratteri che influiscono sull’aspetto estetico e sulla struttura interna degli ultimi nati. È la teoria dei “caratteri ereditari” che scoprì per primo un frate agostiniano del XIX secolo, considerato il precursore della genetica moderna.
Dopo aver preso i voti, Gregor Johann Mendel, originario di un piccolo paesino della Repubblica Ceca, si dedicò all’insegnamento di fisica, matematica e biologia, associandolo agli studi sulla metereologia e alla cura dell’orto della sua abbazia.
Da questa semplice attività trasse ispirazione per una nuova tesi rivoluzionaria. La sua attenzione si focalizzò sulle piante di pisello, le cui caratteristiche, in particolare la riproduzione per autofecondazione, si prestavano allo studio dell’ereditarietà.
La grande intuizione
Dopo sette anni di selezione, l’abate identificò sette “Linee pure”, ossia altrettante varietà di pisello che si differenziavano per caratteri estremamente visibili (la forma del seme, liscia o rugosa; colore del seme; forma del baccello, etc).
Incrociandoli tra di loro arrivò a scoprire che alcuni caratteri persi in un passaggio generazionale, erano stati recuperati in quello successivo o che in alcuni casi si manifestava soltanto uno degli aspetti delle generazioni parentali (teoria del carattere dominante).
Di qui giunse all’intuizione che avrebbe cambiato la scienza: l’esistenza negli esseri viventi di un preciso codice genetico, che si trasmette dai genitori ai figli e che passa di generazione in generazione per via ereditaria.
L’occasione per rivelare al mondo la sensazionale scoperta si presentò l’8 febbraio, in occasione di un incontro alla Società di Scienze naturali in Moravia.
La fredda accoglienza
Le reazioni degli altri studiosi furono alquanto fredde e ciò condannò il nome di Mendel a un lungo oblio durato oltre trent’anni.
È emblematico che negli stessi anni Charles Darwin formulò le sue conclusioni sull’ereditarietà, ignorando completamente quella di Mendel, che più tardi si scoprì complementare a quella dello scienziato britannico, sebbene più complessa.
Gli studi dell’abate vennero ripresi nei primi anni del 1900. Allora si arrivò a individuare un collegamento tra le sue tesi dell’ereditarietà indiretta e la teoria dei “geni” di W. Johannsen: in pratica, quelli che secondo Mendel venivano trasmessi da un organismo parentale a quello filiale, non erano propriamente i “caratteri”, ma derivati degli stessi, sotto forma di organismi particellari, identificati successivamente con i “geni” di Johannsen.
Fulgido esempio per gli anni a venire
Così si posero le basi per la genetica moderna, tra i cui principi cardine vennero indicate le cosiddette leggi di Mendel, ricavate dai suoi lavori. Il passo successivo fu l’identificazione dei cromosomi quale sede di quel patrimonio ereditario che si trasmette secondo le leggi di Mendel, fino ad arrivare alla preziosa scoperta del DNA.