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Coronavirus, Borrelli e la lettera del papà di un bambino autistico

Una toccante lettera del padre di un bambino autistico al capo della Protezione Civile. Nel corso della conferenza stampa di oggi, Angelo Borrelli ha letto la lettera inviatagli dal papà di un bimbo autistico.

Lettera del padre di un bambino autistico al capo della Protezione Civile

“Due giorni fa ho ricevuto la lettera del padre di ragazzo affetto da autismo. Nella lettera c’era tutta la difficoltà del genitore alle prese con una situazione difficile e resa ancora più complessa dall’emergenza che stiamo vivendo nel Paese. Come Capo Dipartimento so che il nostro Servizio Nazionale di Protezione Civile ha le risorse, le competenze e le professionalità per supportare, prendersi cura e aiutare queste persone. Ho parlato a lungo con questo papà, e gli ho manifestato tutto il mio sostegno e quello dei volontari di protezione civile che in Italia operano con professionalità proprio al fianco delle persone più fragili.
Quel papà nel ringraziare me e il sistema di protezione civile ha deciso di indirizzarmi un’altra lettera che vuole condividere con tutti noi. Ci sono parole di dolore ma nemmeno per un attimo questi sentimenti dolorosi riescono a far vacillare l’amore e la speranza che quel padre nutre e custodisce. Spero davvero che le parole di questo padre, che è solo uno dei tanti genitori o familiari di persone che oltre la crisi attuale ogni giorno affrontano piccole e grandi sfide personali, siano da sprone per tutti noi”.

La lettera

“Era gennaio 2001 quando abbiamo fatto il test di gravidanza, con ansia abbiamo vissuto quegli attimi prima della risposta di positività, con entusiasmo, con gioia lo abbiamo accolto e vissuto quei nove mesi con trepidazione, ed io ogni giorno preparavo qualcosa per accoglierti, mentre nella mia mente fantasticavo per te.
Il giorno che sei nato era il 04 ottobre 2001, fuori pioveva, in ospedale le luci erano soffuse, quando hai aperto i tuoi occhioni scuri mi sono abbagliato, non immagini che gioia immensa e che emozione ho provato nel prenderti in braccio per la prima volta, mentre lo facevo le lacrime mi solcavamo il viso ti ho delicatamente stretto a me come per farti sentire il mio cuore impazzito.
Ricordo le notti insonni, le prime pappe, i primi passi e le tante preoccupazioni, quanti ricordi, quelli che rimarranno impressi per sempre e in modo indelebile nella mente di ogni genitore.
Quando per mano ti accompagnavo all’asilo con il tuo grembiulino giallo, mi sentivo un Re, un bimbo come te e con te saltellavo e canticchiavamo, spesso cercavo di immaginare il tuo futuro, io il tuo lo sognavo, lo desideravo e immaginavo sorridente, come il tuo sorriso che sempre avevi stampato sulla bocca e negli occhi.
Passava il tempo e mi accorgo che qualcosa stava cambiando in te, mi chiedevo che cosa? Mi rispondevo ogni volta forse cresce? Forse è meglio consultare qualcuno? Comincio a guardarmi attorno con un po’ di ansia, guardavo i bimbi della tua età e il loro modo di confrontarsi con il mondo, quando giocavano tu spesso eri escluso o ti escludevi, comincio a parlare delle mie preoccupazioni ma tutte le volte ricevevo risposte rassicuranti, tutti mi dicevano lei è un papà apprensivo, fantasticavo sulle quante cose belle che avremmo potuto fare assieme, dalle cose più banali alle più serie, e sognavo solo di essere il tuo migliore amico.
In mente avevo sempre quel tarlo, qualcosa stava succedendo in te, e da genitore, da padre e nonostante il disaccordo di qualcuno comincio a consultare medici, psicologi, logopedisti, e ospedali, finalmente qualcuno mi ascolta e capisce davvero che quei miei dubbi erano fondati, davvero c’era qualcosa, un disagio? Forse, quindi vado a fondo, nel frattempo passano alcuni anni, tra bassi e alti si chiude il capitolo asilo e inizia la scuola, lì speravo in nuovi compagni, un nuovo contesto, ma i nuovi compagni sono bimbi e dopo l’inserimento iniziale cominciano i problemi, tu eri sempre il bambino preso di mira, escluso dal gruppo, isolato o ti isolavi, tu eri il bimbo monello da evitare, il tuo cammino e con il tuo il nostro si fa sempre più difficile e impervio, le continue telefonate delle maestre, del dirigente scolastico, le note, e man mano vedevo i miei sogni svanire, ma peggio con i miei sogni svaniva anche il tuo sorriso.
Un giorno finalmente arriva una risposta a tutto, la risposta è: ADHD+DOP, DOC, ma purtroppo questa risposta non era sufficiente per la cura al problema, avevamo scoperto il nome del tuo disagio, ma solo quello, intanto il tempo scorreva, inizia la psicoterapia, i sogni svaniti, e davanti a noi vedevo ancora tanta salita, una salita sempre più accentuata e ripida, ogni volta che ti guardavo negli occhi vedevo che quelli si spegnevano e allora come oggi non ti vedevo sereno.
Iniziano le medie, troviamo nuovi compagni, più grandi, ma anche più grandi le difficoltà, purtroppo la psicoterapia non bastava più per gestire le sue reazioni, e dopo i continui ritorni negativi da scuola e a casa, se pur con molta riluttanza da parte mia, arriva un farmaco in aiuto, dopo l’entusiasmo dei primi mesi dove mi ero illuso che finalmente avevamo imboccato la strada giusta, dove avevo ripreso a fare progetti con te, a volare con te, a un certo punto capisco che dovevo tornare con i piedi per terra, iniziano nuovi problemi, le difficoltà e le esplosioni di rabbia aumentano, arriva un altro farmaco, stessa storia già letta, entusiasmo e dopo delusione, da allora abbiamo fatto ancora ancora altri viaggi, ogni volta che preparavamo le valigie dentro lasciavamo sempre uno spazio, perché quello spazio? Come lo abbiamo definito noi, era lo spazio riservato alla speranza, lo spazio che abbiamo riservato ai sogni, lo spazio vuoto che è stato occupato dalla diagnosi DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO, una valigia pesante da riportare a casa.
Oggi hai 17 anni, sei lontano da casa, guardo le tue foto, penso a quanto eri così freddo, distaccato e insensibile, rinchiuso come sempre nella tua stanza, senza amici, quella stanza disordinata che era il tuo mondo, spesso io ho cercato di immaginarlo il tuo mondo, ho cercato di immaginare le cose che ti passavano nella mente, piangevo e ancora lo faccio, penso a quante cose belle ti sei perso, penso alla tua infanzia non vissuta appieno, come correre dietro ad un pallone, buttarti in una pozzanghera, penso a tutte le innocenti marachelle che non hai fatto, a tutte quelle cose che si possono fare solo alla tua età, le tue giornate che sono state divise tra scuola, una comunità pomeridiana, un’educatrice a casa, la psicoterapia, e un andirivieni da un ospedale e l’altro. A te una via di mezzo tra il ragazzino e l’adulto, i peli, la voce che cambiava, e tu che caratterialmente cambiavi, alle tue brusche reazioni esplosive che non erano più quelle di un bimbo, un bimbo che era abbastanza rimproverare per gestirlo, i tuoi pugni sugli armadi, i tuoi calci sulle porte lasciavano il segno ogni volta, a sera mentre piangevo, in silenzio raccoglievo i cocci della tua furia e cercavo di metterli insieme.
Figlio mio sulla pelle delle persone quei segni, i segni che lasciavi dopo la tua furia si vedevano, ma ci sono stati altri segni, che non nessuno ha mai potuto o voluto vedere con gli occhi, erano e sono i segni nel cuore e nell’anima, dove quei segni sono più profondi e più dolorosi, che solo un genitore sa sopportare e riesce a portare con amore nonostante le lacrime.
Vorrei avere una bacchetta magica, nessuna strana magia ma solo riportare sulle tue labbra quello splendido sorriso, che sempre faceva capolino quando eri piccino, farei sparire la tua rabbia e il tuo disagio, farei zittire tutte quelle persone che ti hanno giudicato e additato, perché nonostante tutto per molti è più facile giudicare piuttosto che capire, come tutte le battaglie che ho dovuto combattere per te, in un mondo dove ho trovato persone senza un briciolo di umanità, a loro auguro che un giorno possano diventare genitori, ma non genitori qualunque sarebbe troppo facile, dovrebbero diventare genitori di ragazzi speciali come te, e di molti altri ragazzi e ragazze come te, dovrebbero provare la stessa ansia che ci assale ogni volta che suona il telefono, alle volte che le esigenze di un ragazzo speciale ti impone di assentarti, e a quanto sia difficoltoso riuscire a coniugare il lavoro, la vita e l’essere genitori di ragazzi speciali, chissà forse allora riusciranno a capire cosa si prova.
Ogni giorno cerco di immaginare il tuo futuro e a te a quando sarai un uomo, a quante battaglie dovrai combattere, con quante cose e con quante persone dovrai confrontarti, vorrei poter esserti vicino sempre per aiutarti, ma non sarà per sempre così.
Spesso mi chiedo se sono stato un buon padre, a quanti errori ho fatto, a quanti errori ancora farò, se ho fatto abbastanza o se potevo fare di più, non riesco a darmi pace e pensare che nonostante tutti gli sforzi fatti, l’unica strada sia stata quella che non avrei mai voluto fare, quella che è stata la scelta più difficile, quella che mandato la testa in confusione, quella che mi ha fatto riflettere su quanto di buono ho fatto come genitore, perché non è stata una partita di calcio, perché nessuno avrebbe voluto liberarsi della sua unica ragione di vita, quella decisione LA COMUNITÀ, (comunità fatta da ragazzi, ragazze che non hanno solo un disturbo del comportamento, o un disturbo dello spettro autistico, ragazzi/e, sguardi persi, muri freddi e stonacati, porte rotte) ed io che mi colpevolizzo, quante volte continuerò a farlo, faccio i conti ogni giorno con i sensi di colpa che pesano più dei macigni, mi sono arrabbiato con me stesso, mi sono colpevolizzato per tutte le volte che non sono riuscito a non cedere e non cadere alle tue provocazioni, oggi da tutto questo vorrei svegliarmi e dire è stato solo un sogno, un bruttissimo sogno, un incubo, dire non è vero che tu mi ancora ogni tanto mi blocchi dai tuoi contatti, che tu ancora mi corri incontro la sera quando rientro a casa, che tu durante il giorno mi telefoni ancora come spesso succedeva anche solo per una sciocchezza, non è vero che tutto il tuo amore verso di me in alcuni momenti li hai trasformati e li trasformi in rabbia e odio.
Amore mio hai visto qualche mia lacrima, ma non puoi vedere quanto soffro per questa situazione, a quanto mi sono scoperto debole e impotente, ho paura, tu non immagini cosa sono senza di te, a queste mie giornate vuote, ai giorni che passano e io non posso vederti crescere, a non condividere con te qualsiasi azione del quotidiano, a come guardo il mondo, ma soprattutto come spesso mi capita di fare ora, guardare i ragazzi della tua età che felici tra loro fanno comunella, si divertono, vivono la loro adolescenza tra esperienze e delusioni, a come mi sento tutte le volte che non posso mentre dormi accarezzare il tuo viso, a guardare la porta della tua stanza, quella che era il tuo mondo chiusa ma senza te, a quanto rumore fa quel silenzio che regna in casa.
Vorrei che un giorno tu possa leggere queste poche righe, come qualcuno lo farà oggi, perdonami se non sono riuscito a fare di più.
Quante cose vorrei poterti dire oltre a quelle ti ho già detto, nel mio cuore c’è molto di più di quel che ho sulle labbra, ti dico solo che:
TI AMO.
IL TUO PAPA’”.
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