Licenziato a causa del coronavirus. Succede a Milano. Il dipendente di una società che gestisce una rete di appartamenti di lusso utilizzati come hotel è il primo che riceve una lettera di licenziamento con esplicito riferimento all’epidemia che sta condizionando la vita dell’intera regione.
Licenziamento a causa del coronavirus a Milano
La lettera di licenziamento, datata 28 febbraio, parte con una premessa: i risultati economici del 2019 sono negativi, «registrano una perdita che impone operazioni di ristrutturazione». Ma subito dopo c’è scritto chiaro e tondo, a rafforzare le motivazioni della decisione: «Si è aggiunta in questi giorni, a causa dell’epidemia di coronavirus, la quasi totale cancellazione delle prenotazioni con conseguente quasi totale arresto delle attività destinata a protrarsi per un tempo indefinito e comunque non breve».
E proprio per questo motivo «la sua attività lavorativa non può più essere utilizzata proficuamente dall’azienda». Insomma licenziato «per giustificato oggettivo motivo» e con «effetto immediato». Tant’è che pur di allontanare il dipendente l’azienda è pronta a pagare anche il corrispettivo per il mancato preavviso.
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Dal giorno in cui sono scattate le misure che stanno limitando la vita delle persone e le attività delle imprese in molti hanno previsto che – dopo gli ammalati – l’effetto coronavirus avrebbe mietuto parecchie vittime tra i lavoratori. E infatti la Cgil milanese, che ha intercettato il caso del licenziamento del dipendente dell’azienda alberghiera, reagisce: «C’è grande preoccupazione per le ricadute che arriveranno soprattutto nei settori già deboli, terziario e turismo in primis – commenta il segretario della Camera del lavoro, Massimo Bonini – che rimangono senza le necessarie coperture».
E aggiunge: «Attenzione anche a chi potrebbe approfittare di questa situazione già drammatica». Approfittare in che modo? I sindacalisti fanno notare che, per esempio, anche nel caso del lavoratore licenziato «per coronavirus» l’azienda avrebbe avuto la possibilità di ricorrere al Fis, il Fondo di integrazione salariale, «invece ha avuto fretta di sbarazzarsi di un dipendente». E infatti il provvedimento sarà impugnato.
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L’allarme
Ma l’allarme va ben oltre i singoli casi. Secondo le stime del Dipartimento mercato del lavoro della Cgil di Milano sono poco più di 300 mila i lavoratori dell’area milanese che stanno soffrendo per questa situazione. «La loro condizione oscilla tra riallineamento del part time, ridimensionamento del lavoro a chiamata, rischio di interruzione del lavoro a termine o del lavoro somministrato – spiega Antonio Verona, che studia i dati dello scenario occupazionale metropolitano -. Tra loro, 230 mila hanno un contratto subordinato o interinale, 75 mila sono lavoratori autonomi, le cosiddette partite Iva».
I servizi sono l’ambito più esposti
L’ambito più esposto è quello dei servizi, nel quale sono occupati almeno i 50 mila addetti dell’indotto di spettacolo, sport e benessere, e i 150 mila dipendenti di alberghi, ristoranti, bar, svago e divertimento. In tutto circa 200 mila lavoratori in sofferenza. «E il disagio maggiore non è avvertito soltanto tra i settori direttamente colpiti dai provvedimenti ministeriali, come scuole, palestre, teatri, musica e cinema – sottolinea Antonio Verona – ma anche bar, ristoranti e alberghi, che possono contare solo sugli ammortizzatori ordinari e non sono destinatari dei provvedimenti straordinari previsti per gli altri».
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