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Licio Gelli: biografia, carriera militare, massonica e imprenditoriale del «Maestro venerabile» della P2

Licio Gelli, nato a Pistoia il 21 aprile del 1919 e morto ad Arezzo il 15 dicembre del 2015, è stato un imprenditore e faccendiere italiano, principalmente noto come «Maestro venerabile» della loggia massonica P2. È stato condannato per depistaggio delle indagini della strage di Bologna del 1980 e per la bancarotta fraudolenta del Banco Ambrosiano.

Licio Gelli, tutto quello che c’è da sapere sul “Maestro venerabile” della P2

Dopo aver conseguito nel 1931 la licenza elementare, frequenta l’istituto tecnico inferiore e superiore (ragioneria) finché, nel 1936-1937, un calcio al preside, reo di difendere un professore non fascista, gli procura l’espulsione da tutte le scuole del Regno.

Il 1° settembre 1937 si arruola volontario nella 94a Legione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, viene trasferito a Napoli ed in seguito parte, col fratello Raffaello, per la guerra di Spagna, durante la quale si trova aggregato al reparto salmerie manovra del 735° Battaglione della Divisione Camicie Nere “XXIII Marzo”; sembra che per poter partire, non essendo ancora maggiorenne, abbia falsificato la sua data di nascita.

Il ritorno in Italia

Torna in Italia il 20 ottobre 1938 e nel dicembre è assunto al GUF di Pistoia, dove ha modo di farsi notare per l’acribia con cui svolge le proprie mansioni: «Schedava anche le marche delle sigarette che fumavano» ricorda l’allora universitario fascista Agostino Danesi. Nel contempo pubblica a puntate sul “Ferruccio”, il settimanale della Federazione fascista pistoiese, le sue memorie sulla guerra di Spagna; valendosi di un ragioniere di Pescia come ghostwriter ne trae in seguito un libro, “Fuoco! Cronache legionarie della insurrezione antibolscevica di Spagna”, tirato in 500 copie nel gennaio 1940.

Il 2 giugno di quello stesso anno si presenta come privatista all’istituto tecnico per ragionieri: nonostante indossi orbace e camicia nera il risultato è disastroso, con un drammatico 4 addirittura in cultura fascista. Ma ben altri eventi incombono: Mussolini sta preparando la maramaldesca invasione della Francia, ha bisogno di uomini: il 9 giugno anche Licio Gelli è richiamato alle armi e destinato al 127° Reggimento Fanteria della Divisione “Venezia” di stanza a Pistoia. Si susseguono poi i trasferimenti: nel luglio a Cambiano, in provincia di Torino; a novembre, fresco di iscrizione al PNF (28 ottobre), al Reparto d’Assalto della Divisione “Venezia” a Firenze; il 22 marzo 1941 a Durazzo sul fronte greco-albanese. A giugno torna a Pistoia.

Il 4 agosto è incorporato, su sua domanda, nei parà della 193a Divisione “Folgore” a Viterbo. Qui, durante un lancio d’esercitazione, si ferisce al radio destro ed ottiene perciò una serie di licenze di convalescenza, al termine delle quali (il 30 luglio o il novembre 1942 a seconda delle fonti) è inviato in licenza illimitata a Pistoia. Si apre a questo punto il primo buco nero nella biografia gelliana.

La parentesi montenegrina

Se è abbastanza certo che nel 1942 Gelli è a Cattaro, in Iugoslavia, stabilire quando vi arrivi, perché e quali siano le sue imprese montenegrine è compito più che arduo, attesa la contraddittorietà delle fonti, la maggior parte delle quali, per di più, costituita da testimonianze orali raccolte da giornalisti e studiosi quaranta anni dopo i fatti. Poco chiari anche i motivi che portarono Gelli in Montenegro.

Di fatto che le imprese gelliane in terra iugoslava sono circondate dalla nebbia. C’è chi ricorda i rastrellamenti di partigiani da lui organizzati; chi la sua amicizia, sospetta per un semplice soldato, col segretario dei Fasci italiani all’estero, Piero Parini; chi adombra suoi collegamenti coi servizi segreti italiani e inglesi, e fors’anche sovietici. Sembra inoltre che sia stato nominato segretario del Fascio di Perastro (l’attuale Perast), a una quindicina di chilometri da Cattaro.

Richiamato alle armi

Viene richiamato alle armi a Viterbo il 25 luglio 1943: il giorno dopo Gelli scopre di non essere più dalla parte giusta. Ma su quale carro saltare? In quei drammatici giorni dell’agosto 1943 è una domanda che assilla molti e che pone di fronte a scelte decisive: Gelli sceglie ancora una volta il più forte. È così che lo ritroviamo, il 15 settembre, a riaprire, con un tal Lorenzoni, la Federazione fascista di Pistoia e poi ad organizzare rastrellamenti contro i primi renitenti e partigiani. Su questo suo attivismo in favore dei nazifascisti tutte le testimonianze sono concordi, anche se, secondo una sua versione, egli fu costretto dai tedeschi ad aderire alla RSI, pena la deportazione in Germania. Tutto ciò potrebbe contenere una parte di verità, ma considerare forzata la sua scelta è ipotesi da respingere in toto. In quei giorni, difatti, il mancato parà è l’indispensabile factotum della Federazione fascista e della Kommandantur nazista: non è certo una mente politica, secondo la testimonianza di Pisanò, ma per qualsiasi necessità pratica, dal lasciapassare alle scarpe, c’è una sola persona a cui ci si può rivolgere, ed è Licio Gelli. Il quale Gelli non sarà una mente politica, ma quando il 24 ottobre gli Alleati bombardano Pistoia per la prima volta, capisce da che parte sta tirando il vento: il rischio di trovarsi, questa volta irrimediabilmente, dalla parte sbagliata è grosso, meglio premunirsi.

A cavvallo dei due fuochi

È, questo, uno dei capitoli più oscuri della vita del Venerabile. Oscuro non tanto per la scarsità e contraddittorietà delle fonti, quanto per le colorazioni politiche che se ne sono volute dare in sede di interpretazione. Nella primavera del 1944 Gelli, prende contatti coi partigiani, sembra in particolare con Giuseppe Corsini, membro comunista del CLN e nel dopoguerra sindaco di Pistoia e senatore dal 1953 al 1968.

Il giovane repubblichino non fornisce però notizie rilevanti, tanto che alla fine Corsini gli intima di tenersi alla larga. Sembra però che Gelli continui il doppio (o triplo?) gioco con altri gruppi di resistenti. Agli inizi di maggio, nel cortile della Federazione fascista, ferisce “accidentalmente”, mentre pulisce la pistola, l’autista della Federazione, Quintilio Sibaldi: questi, il giorno prima, aveva scorto il camerata Gelli parlare con Silvano Fedi, capo di una formazione partigiana anarchica. Il segnale è chiaro.

Il 1° giugno Gelli partecipa alla prima impresa non equivoca della sua attività di doppiogiochista: la “Fedi” assale la fortezza di Santa Barbara, preleva i viveri che vi sono custoditi e li deposita nella casa più vicina e più insospettabile, quella del tenente delle SS Licio Gelli. Questi, in seguito, provvederà per ben sei volte a trasportare i viveri in montagna alla formazione di Pippo, e sempre con la sua auto. Ma è il 26 giugno che il repubblichino pentito salta definitivamente il fosso: guidando la sua macchina militare si presenta, con cinque uomini della “Fedi”, alle Ville Sbertoli, un ospedale psichiatrico trasformato, per le esigenze belliche, in carcere. Qui, spacciandosi per ufficiali di polizia, riescono ad entrare, a disarmare e liberare 59 detenuti politici. Questa azione coraggiosa lo brucia come talpa all’interno del Fascio repubblicano e perciò sparisce dalla circolazione.

A tutt’oggi nessuno sa dove sia stato tra il luglio e l’agosto 1944. Di questo periodo si possono solo segnalare due feroci episodi a danno di partigiani in cui alcuni, ma senza prove, lo sospettano di essere coinvolto. Il primo è l’uccisione, in un’imboscata, dello stesso Silvano Fedi; il secondo è l’assassinio del commissario di PS Scripilliti, collaboratore della Resistenza. Ritroviamo il nostro l’8 settembre 1944 mentre fa da guida a un reparto sudafricano che sta per entrare in Pistoia liberata.

Il 2 ottobre Italo Carobbi, presidente comunista del CPLN pistoiese, gli rilascia una carta di libera circolazione, nella quale, dopo aver comunque ricordato l’accesa fede fascista di Gelli, se ne menzionano le imprese partigiane, in grazia delle quali gli viene rilasciato tale lasciapassare. Nel corso dello stesso mese di ottobre il “Counter Intelligence Corps” della V Armata lo chiama a collaborare e gli fornisce due agenti di scorta. Nonostante queste protezioni, l’11 novembre l’ex repubblichino viene aggredito da una quarantina di persone in piazza San Bartolomeo a Pistoia: nel rapporto dei Carabinieri l’azione è ascritta a «motivo politico siccome il Gelli periodo repubblicano ha collaborato coi Nazi-Fascisti e preso parte attiva a [illeggibile] e rappresaglie contro civili».

La permanenza in Sardegna

Nel dicembre termina la sua attività al servizio del CIC e riceve da questo il permesso di recarsi presso la sorella Enza a La Maddalena. A questo scopo il 12 gennaio 1945 Italo Carobbi gli rilascia un secondo lasciapassare, nel quale si prega il CLN di Napoli di fare quanto possibile per favorire l’imbarco di Gelli per la Sardegna. Secondo il garibaldino Elio Civinini, il CLN dà l’ordine di accompagnarlo fino a Roma con uno dei camion che l’annona manda al Sud alla ricerca di vettovaglie; non solo, al repubblichino redento viene data una “scorta” di due partigiani comunisti, Cintolo e Brendolo.

Gelli arriva il 25 gennaio 1945 e si stabilisce in via Raffaello Sanzio presso il cognato Mario Canovai, sottufficiale di Marina al locale Deposito CREM. Era partito da Napoli il 23, munito del permesso rilasciatogli da quella Questura, ed era sbarcato a Cagliari il 24. A Pistoia frattanto, il fatto che un noto e, a quanto pare, odiato fascista come Gelli abbia potuto farla franca continua a sollevare proteste e perplessità, tanto che il CPLN, nel numero 7 del 4 febbraio 1945 del suo organo ufficiale “La Voce del Popolo”, è costretto a pubblicare un articolo dal titolo “Un chiarimento del CPLN” nel quale si precisa che: 1) il CPLN era a conoscenza del passato fascista di Gelli; 2) lo stesso aveva però collaborato con la Resistenza in più di un’occasione; 3) in considerazione di ciò al Gelli erano state rilasciati soltanto una dichiarazione e un lasciapassare.

L’arresto a Pistoia

Nel febbraio Gelli è protagonista di un altro episodio poco chiaro: viene arrestato dalla Polizia Militare Alleata nei pressi di Lucca mentre ritorna «clandestinamente» dalla Sardegna. Perché Gelli torni in Toscana e perché lo debba fare clandestinamente non è dato sapere; tanto più che il SIM, in un’informativa del 24 luglio 1945, afferma che «si sconosce il motivo» di tale arresto. Il 22 marzo la Procura del Re di Pistoia emette mandato di cattura nei suoi confronti per il sequestro di Giuliano Bargiacchi; questi era stato arrestato senza imputazione alcuna, da Gelli ed altri, il 9 maggio 1944 e rilasciato, dopo prolungate torture, il 16 giugno. C’è da ricordare che in quel medesimo torno di tempo il nostro collaborava, anche coraggiosamente, con la formazione “Fedi”. Per questo reato, comunque, è condannato in contumacia, il 27 aprile, a 2 anni e 6 mesi.

Nel frattempo in Sardegna l’ex repubblichino tenta di rifarsi una vita dandosi alla rappresentanza commerciale: tra aprile e giugno compie viaggi d’affari a Sassari, Olbia e Nuoro, mentre a luglio richiede una licenza di commercio (abbigliamento e affini) al comune di La Maddalena. Tuttavia, ciò che più interessa di questa trasferta sarda di Gelli sono i contatti che egli stabilì col Servizio Informazioni Militari. Nel corso degli interrogatori a cui fu sottoposto, Gelli fornì al SIM una lista di 56 collaborazionisti dei tedeschi.

L’arresto in Sardegna e il trasferimento in Toscana

Il 13 settembre Gelli è arrestato dai Carabinieri di La Maddalena e tradotto a Sassari. Lui stesso si era tradito: dopo la sua richiesta di una licenza di commercio del 20 luglio al comune di La Maddalena, questo si era rivolto per informazioni alla Questura di Pistoia, la quale aveva risposto il 28 agosto con un telegramma ai Carabinieri dell’isola che ordinava l’arresto di Licio Gelli in quanto colpito da mandato di cattura dal 22 marzo, in relazione al sequestro Bargiacchi. Il 17 il maresciallo Casula manda un telegramma a Pistoia per chiedere istruzioni: il detenuto ha infatti esibito un attestato del CLN che certifica il suo patriottismo. Sembra però che non succeda niente, poiché ritroviamo Gelli, il 25 ottobre, nelle carceri di Cagliari mentre scrive una lettera ai Carabinieri della Caserma Stampace, chiedendo loro di inviargli un funzionario perché deve fare rivelazioni «della massima importanza nazionale». In che consistono queste rivelazioni non è dato accertare, giacché la documentazione inviata dal Sismi in merito a queste vicende si ferma qui: potrebbe però trattarsi della già nota lista dei 56. Nonostante il suo zelo, comunque, Gelli rimane in carcere: è tradotto dapprima a Pistoia poi, nel gennaio 1946, alle Murate di Firenze.

Dopo la Liberazione Gelli subisce, per i crimini commessi da fascista, due processi. Si è già visto che il 27 aprile 1945 era stato condannato a 2 anni e 6 mesi per il sequestro Bargiacchi e che proprio per questo era stato arrestato a La Maddalena; per lo stesso reato il 21 marzo 1946 ottiene la libertà provvisoria, mentre il 1° ottobre successivo la Corte d’Appello di Firenze lo assolve perché il fatto non costituisce reato.

Il secondo procedimento originava dalle accuse della signora Lina Ferrante, la quale accusava Gelli di essere il delatore del proprio cognato, il ten. col. Vittorio Ferrante, collaboratore dei partigiani deportato in Germania. Il processo si conclude il 27 gennaio 1947 col proscioglimento per amnistia.

I rapporti di Gelli con la giustizia non terminano però qui. Il 7 gennaio 1947 è iscritto, in quanto ex fascista, al Casellario Politico Centrale (CPC) e sottoposto ad «attenta vigilanza» poiché è ritenuto «elemento di speciale pericolosità»; il 13 luglio 1948 la vigilanza è ridotta a «discreta» e l’11 aprile 1950 il suo nominativo viene radiato dal CPC.

La prima fase del dopoguerra

Il primo dopoguerra è un periodo di crisi per l’ex repubblichino: un fascicolo della Prefettura di Pistoia a lui intestato lo definisce, nel dicembre 1946, «nullatenente» e «dedito al piccolo commercio» (da Giustiniani apprendiamo che aiutava il suocero che aveva una bancarella al mercato di Pistoia).

Nel 1947 o 1948, grazie all’interessamento di Orfeo Sellani, dirigente del MSI e già federale di Pistoia, gli viene rilasciato il passaporto, che gli serve per alcuni viaggi in paesi dell’Europa occidentale quale rappresentante della ditta di ricami “Nadino Coppini”.

Giuseppe D’Alema, Cecchi, De Lutiis, Buongiorno e De Luca, e Rossi e Lombrassa affermano che meta dei viaggi di Gelli in questo periodo è anche l’Argentina, ospitale con ex fascisti e nazisti. Per la rivista brasiliana “Isto è” Gelli arrivò in Sudamerica nel 1946-1948, dedicandosi all’attività di mediatore nel trasferimento dall’Europa dei capitali dei gerarchi fascisti: quale compenso avrebbe preteso una tangente del 40%; stando al giornalista uruguayano Esteban Valenti, il futuro capo della P2 avrebbe avuto come complici Umberto Ortolani e l’ex ministro delle Finanze della Repubblica Sociale Giampietro Pellegrini, che in Uruguay possedeva il Banco del Lavoro Italo-Americano. Agli atti della Commissione, però, non c’è nemmeno un documento che accenni a tali attività del duo Gelli-Ortolani.

La casa del libro e l’ingresso in Permaflex

Nel 1949 Licio Gelli decide di mettersi in proprio e il 1° ottobre apre la “Casa del Libro”, in corso Gramsci 52 a Pistoia: socio e sponsor è il prof. Emo Romiti, un parente di Gelli, che accetta di aiutarlo dietro le insistenze della famiglia. In realtà l’intraprendente piazzista aveva già tentato la strada dell’imprenditoria. Aveva infatti cominciato a costruire, nel 1946-1947, una fabbrica di trafilati di rame e di ferro: anche in questo caso si era trovato un socio ricco, tal Danilo Niccolai. I lavori si erano però ben presto arenati e la fabbrica non aprì mai i battenti. Le cose non paiono andare meglio anche con la libreria, stando almeno al prof. Danesi. Questi, con qualche insistenza ed 8 milioni al socio, riesce finalmente a porre in liquidazione la “Casa del Libro” il 1° gennaio 1953.

Ma undici giorni dopo l’irrefrenabile Licio è di nuovo sulla breccia: ha assunto la rappresentanza per Pistoia e provincia della “Remington Rand Italiana” (macchine da scrivere). Nonostante qualche passo falso (nel 1955 solo un’amnistia lo salva da una condanna per incauto acquisto), sarà questa la sua attività fino a quando, nello stesso 1955, entrerà alla Permaflex come direttore amministrativo e propagandista dello stabilimento di Capostrada, in provincia di Pistoia. Mentre il nostro passa indefessamente da un’attività a un’altra, trova anche il tempo di coltivare relazioni e amicizie. Relazioni e amicizie importanti ovviamente. Nel 1948 diventa factotum dell’on. Romolo Diecidue, eletto il 18 aprile nelle liste della Democrazia Cristiana passato poi a Democrazia Liberale, il quale a sua volta a Roma può contare su agganci di primissimo piano: De Gasperi, Andreotti.

Alberto Cecchi, studioso della Resistenza toscana e, per un certo periodo, membro PCI della Commissione P2, fa notare che forse non è per caso che Gelli si lega a questo personaggio: Diecidue era stato infatti presidente del CLN di Montecatini, e proprio nel Montecatinese (e non nel Pistoiese come sostiene la maggioranza degli studiosi) operarono quelle formazioni partigiane con le quali collaborò il Gelli patriota. C’è da ricordare, per completare il quadro di questi anni, che SIM e Sifar continuano a interessarsi a Gelli, sospettandolo addirittura di essere un agente del Kominform.

L’ingresso in massoneria

Nel 1956, con un’occupazione più che dignitosa e amicizie di quel genere, Gelli potrebbe ritenere di essersi conquistato il suo posto al sole: ed invece non è che l’inizio. Uno come lui, con la vocazione all’intrigo e che gli scrupoli se li fa a non farseli, può aspirare a mete ben più eccelse. Eccolo infatti gongolante il 28 marzo 1965 all’inaugurazione del nuovo stabilimento Permaflex di Frosinone, frutto dei suoi sforzi. La località non è scelta a caso: oltre ad essere tra quelle destinatarie degli aiuti della Cassa per il Mezzogiorno, ha il pregio di essere il cuore del feudo di Giulio Andreotti.

Il quale è per l’appunto chiamato ad inaugurare lo stabilimento, che ha inoltre la ventura di essere benedetto dal cardinale Alfredo Ottaviani, leader della destra vaticana. Ma, al di là dei pur rimarchevoli successi professionali, il passo decisivo che lo porterà ad astra, Gelli lo compie il 6 novembre 1963 compilando la domanda di ammissione alla massoneria.

Da questo punto in avanti la vicenda gelliana si intreccia con quella piduistica. Per quanto concerne le attività extramassoniche del nostro eccone una sintesi. Nel 1965-1966 acquista per 100 milioni dai Lebole una lussuosa villa, che battezzerà villa Wanda dal nome della moglie. Nel 1968-1969 volta le spalle a Giovanni Pofferi, proprietario della Permaflex ed inventore del materasso a molle, nonché suo pigmalione, e passa ad una società concorrente, la Dormire (del gruppo Lebole), di cui diviene anche comproprietario. Nel 1970 l’ENI assume il controllo del gruppo Lebole; successivamente i fratelli Mario e Gianni Lebole fondano un’altra società, la Giovane Lebole (GIOLE), con sede a Castiglion Fibocchi, a pochi chilometri da Arezzo, nella quale Gelli possiede una partecipazione azionaria del 10%, oltre ad esserne amministratore delegato. Nell’ottobre 1972 Gelli e un tale Mario Gallai costituiscono una nuova società, la SOCAM, con sede nello stesso stabilimento della GIOLE, di cui assorbe parte degli impianti e dei dipendenti. Dal febbraio 1978 Licio Gelli non risiede più, ufficialmente, in Italia. Il 17 marzo 1981 sarà proprio una perquisizione alla GIOLE a stroncare la strepitosa carriera dell’ormai signor P2, il quale si rende latitante.

Un altro arresto, i processi e la morte

Viene arrestato a Ginevra il 13 settembre 1982, evade dal carcere di Champ Dollon la notte tra il 9 e il 10 agosto 1983, si costituisce infine a Ginevra il 21 settembre 1987, quando ormai è sicuro dell’impunità. Difatti: il 7 febbraio 1988 viene estradato in Italia (per i soli reati finanziari) e rinchiuso nel carcere di Parma, ma due mesi dopo, l’11 aprile, viene rimesso in libertà per motivi di salute.

I processi che lo riguardano hanno avuto i seguenti iter. Il 2 settembre 1981 la Corte di Cassazione decideva il trasferimento delle indagini sulla P2 a Roma: il conflitto di competenza era stato sollevato dalla Procura della capitale, che aveva incriminato Gelli di un reato più grave di quello per cui era indagato a Milano, il concorso nell’omicidio di Mino Pecorelli. L’inchiesta venne affidata dal Procuratore Capo Achille Gallucci al sostituto Domenico Sica, titolare di altre indagini scottanti, dall’assassinio di Moro a quello di Pecorelli, dall’attentato a Giovanni Paolo II al sequestro del giudice Giovanni D’Urso.

Alla fine di maggio 1982 è pronta la requisitoria di Gallucci che si risolve in un’assoluzione generale. Per ciò che concerne gli altri processi, l’11 luglio 1988 è condannato in primo grado a 10 anni, per calunnia aggravata, al processo per la strage della stazione di Bologna; da queste accuse verrà assolto il 18 luglio 1990 dalla Corte d’Assise d’Appello del capoluogo emiliano; a sua volta tale sentenza verrà annullata dalla Cassazione il 12 febbraio 1992. Il processo bis in Assise si è concluso il 16 maggio 1994 con la riconferma della condanna. Due mesi dopo, il 29 luglio, nuova condanna (in primo grado) a 6 anni e mezzo per la vicenda del conto “Protezione”: i giudici del pool Mani Pulite (tra cui quel Gherardo Colombo che ordinò la perquisizione del 17 marzo 1981) lo avevano sottoposto ad un interrogatorio di ben sette ore il 17 febbraio 1993. Per la vicenda del crack dell’Ambrosiano, è stato condannato dal Tribunale di Milano a 18 anni e 6 mesi.

Il processo più importante, quello per cospirazione politica che lo vedeva imputato a Roma, si è concluso il 16 aprile 1994 con una sentenza assolutoria; sentenza avverso la quale la PM Elisabetta Cesqui ha interposto appello. Giova altresì ricordare un episodio, di valore emblematico, che vede coinvolto l’ex Venerabile. È l’accusa di riciclaggio di denaro sporco avanzata dalla Procura romana nei confronti di Gelli il 27 dicembre 1993: in quell’occasione gli furono sequestrati 16,5 miliardi di lire in titoli di stato (al fisco aveva dichiarato un reddito di 60 milioni).

Per lungo tempo è stato agli arresti domiciliari ad Arezzo, dove è morto il 15 dicembre 2015 all’età di 96 anni.

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