Cronaca

Oltre la metà di chi ha preso il Coronavirus soffre di Long Covid: così l’Iss prova a curarli

Sul Long Covid sono ancora molti i punti da chiarire. Ecco come l'Iss sta provando a curarli: tutto quello che c'è da sapere

Sul Long Covid sono ancora molti i punti da chiarire. Sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità viene descritta come una “condizione di persistenza di segni e sintomi che continuano o si sviluppano dopo un’infezione acuta di Covid-19”. Il virus passa insomma, ma i sintomi restano. Ecco come l’Iss prova a curarli.

Oltre la metà di chi ha preso il Coronavirus soffre di Long Covid

A dicembre 2021 è nato il progetto CCM dell’Iss, finanziato dal ministero della Salute, per monitorare il cosiddetto Long Covid, cioè gli effetti a lungo termine dell’infezione da SARS-CoV-2, con lo scopo di approfondire le caratteristiche del fenomeno e soprattutto per dare vita a un protocollo diagnostico e di trattamento a livello nazionale, che in questo momento manca in Italia. Il progetto, dal titolo “Analisi e strategie di risposta agli effetti a lungo termine dell’infezione Covid-19 (Long-Covid)”, si sviluppa nell’arco di due anni. Fanpage ha intervistato  il coordinatore, Graziano Onder, direttore del Dipartimento Malattie cardiovascolari, dismetaboliche e dell’invecchiamento dell’ISS. Ecco che cosa c’è da sapere.

Al momento come si fa una diagnosi di Long Covid?

Si tratta appunto di una condizione che conosciamo da poco meno di due anni. Ad oggi la diagnosi si fa principalmente valutando la persistenza di sintomi che possono essere legati al Covid oltre le quattro settimane dall’infezione acuta. Quello che un po’ ci spiazza e che rende difficile anche capire quanto è frequente questa condizione è che i sintomi che si possono presentare sono i più svariati: vanno da quelli più comuni e banali, come la ‘fatigue’, cioè l’astenia (che viene registrata in più del 50% delle persone dopo quattro settimane dall’evento acuto) o la dispnea, l’affanno, a quelli meno comuni che interessano altri sistemi, per esempio sintomi dermatologici, cardiaci o quelli che colpiscono l’apparato otorinolaringoiatrico, come la persistenza di assenza dell’olfatto e del gusto, oppure sintomi gastrointestinali.

Molto comuni sono anche i sintomi psicologici e psichiatrici, le conseguenze neurologiche come la cefalea. Il problema di questa condizione è che ad oggi, al di là dell’aspetto temporale, non c’è una definizione chiara basata sulla presenza dei sintomi.

E per quanto riguarda il trattamento?

Il centro che si occupa di Long Covid deve avere la capacità di gestire molteplici patologie. Se il Long Covid è caratterizzato dall’alterazione di tanti organi, la struttura deve avere la capacità di valutare e curare i diversi disturbi. Questo deve essere il principio cardine. È difficile in questo momento fornire indicazioni su una cura unica per il Long Covid, perché ogni sintomo può nascondere un’alterazione di un sistema a sé. In base alla condizione del paziente bisognerà intervenire con un trattamento specifico. Nell’assistenza, al di là delle terapie, però è fondamentale una valutazione globale di tutte le problematiche, una valutazione multidimensionale, a tutto tondo, e una risposta multidisciplinare, cioè essere in grado di dare una risposta con l’intervento di molteplici specialisti sanitari.

Il progetto durerà due anni. Nel frattempo verrà reso noto un elenco dei centri che si occupano di Long Covid consultabile dai pazienti che hanno bisogno di essere presi in carico?

Lo stiamo aggiornando proprio in questi giorni, sul sito dell’Iss. Qui spieghiamo cosa è il Long Covid, quali sono i sintomi legati alla malattia che possono insorgere. Abbiamo in programma di inserire anche la lista dei centri disponibili sul territorio nazionale, in modo che ognuno, nelle proprie Regioni, possa vedere dove si trovano i centri Long Covid più vicini.

Dai dati raccolti fino ad ora ci sono già delle stime sulla diffusione del fenomeno?

Questo dipende dal sintomo che guardiamo, perché i vari sintomi hanno delle frequenze molto diverse. Il sintomo più comune è molto aspecifico, ed è la fatigue, che citavo prima, che è appunto la stanchezza che una persona che ha avuto una forma grave della malattia si porta dietro. Ha una frequenza tra il 40 e il 60% di quelli che hanno avuto il Covid-19. Per l’affanno si parla di una frequenza tra il 10 e il 40%.

Almeno un sintomo come conseguenza del Covid-19 ce l’ha una porzione di popolazione superiore al 50%. Significa che più del 50% delle persone che hanno avuto l’infezione si porta appresso a distanza di quattro settimane delle sequele. È chiaro che più andiamo avanti nel tempo più queste si riducono e si recupera, ma in alcuni pazienti c’è una persistenza più lunga di alcuni sintomi che possono essere altamente invalidanti. Ma con i dati che abbiamo adesso è difficile dire con precisione per quanto si mantengano i sintomi nel tempo.

 


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