Cantore al contempo crudo e ironico dei bassifondi metropolitani, dell’ambiguità umana, dei torbidi abissi della droga e della deviazione sessuale, ma anche della complessità delle relazioni di coppia e dello spleen esistenziale, Lou Reed ha finito con l’incarnare lo stereotipo dell’Angelo del male, immagine con cui ha riempito i media per oltre tre decenni divenendo una delle figure più influenti della musica e del costume contemporanei.
Con i Velvet Underground, fondati nella sua New York a metà anni sessanta insieme al musicista d’avanguardia John Cale, pur non riscuotendo alcun successo commerciale ha rivoluzionato per sempre i dettami della musica rock, gettando le basi per quell’estetica nichilista che anni dopo sarebbe stata ribattezzata Punk. Dopo lo scioglimento del gruppo ha avviato una lunga e proficua carriera solista.
Lou Reed, rockstar statunitense
Lewis Allan “Lou” Reed è nato a New York il 2 marzo del 1942, ma crebbe a Freeport, sull’isola di Long Island (nello stato di New York), il 2 marzo del 1942 da una famiglia ebraica il cui nome originale era Rabinowitz, figlio di Sidney Joseph Reed, un contabile, e di Toby Futterman, una casalinga.
Appassionatosi alla musica ascoltando la radio, imparò a suonare la chitarra e sviluppò un forte interesse per il rock and roll e il rhythm and blues e durante gli anni delle scuole superiori suonò in vari gruppi studenteschi.
Nel 1956, ancora adolescente, Reed venne sottoposto ad una terapia di elettroshock che avrebbe dovuto secondo i genitori, stando al racconto fatto da Reed stesso, “curare” la bisessualità che si stava manifestando in lui; nel 1974 Reed scrisse la canzone Kill Your Sons circa questa esperienza che lo traumatizzò e di cui non si liberò mai. Lou Reed si definirà sempre come pansessuale.
Adolescenza e anni universitari
Agli inizi degli anni Sessanta Reed si iscrive alla Syracuse University, cogliendo l’occasione per allontanarsi da casa e dalla puritana cittadina di Freeport. Il periodo alla Syracuse sarà fondamentale per la crescita personale e artistica, permettendogli di entrare in contatto con artisti e con le nuove tendenze musicali. È al college che conosce alcune delle persone che avranno un’influenza enorme: il suo professore, nonché poeta alcolista, Delmore Schwartz, e Sterling Morrison. Conoscerà inoltre Shelley, suo primo vero amore.
Lewis Reed viene visto come un essere strano e misterioso; i suoi atteggiamenti bizzarri e scostanti, la sua passione per i poeti maledetti, i suoi dialoghi cinici e corrosivi, coadiuvano a formare un’immagine forte e stimolante che parecchie persone trovano “irresistibile”.
Tra queste persone c’è, appunto, Shelley, una delle ragazze più belle del college. La storia con lei durerà quasi 4 anni, tra alti e bassi, fino alla divisione a causa degli esasperanti giochi psicologici ai quali Reed, già da allora, sottoponeva lei e tutte le persone che incontrava. È a lei che dedica i primi brani che scrive, tra cui I’ll be your mirror. Il loro legame continuerà fino alla metà degli anni Settanta.
È un periodo di vita sregolata, di musica, di droghe, di esperienze omosessuali. Dopo la laurea, Reed si sposta a New York e diventa un compositore pop professionista per la Pickwick Records: l’accordo prevedeva che scrivesse un numero di pezzi al giorno che la casa discografica poi avrebbe fatto incidere e pubblicare sotto falsi nomi. Ben presto comincia a provare una forte insoddisfazione verso questo lavoro e verso le sue limitazioni artistiche; è in questo periodo che conosce un musicista pagato dalla Pickwick per una session: John Cale.
I Velvet Underground
Reed lascia il lavoro e comincia a mettere in piedi un progetto di una rock band d’avanguardia con il suo nuovo amico. Il duo recluta altri due componenti: Sterling Morrison e Maureen Tucker. Il nome della band viene preso dal titolo di un libro giallo trovato nella spazzatura: Velvet Underground.
I VU diventano un gruppo cult nel panorama artistico-musicale non convenzionale del Greenwich Village tanto che verranno in seguito patrocinati dall’artista pop Andy Warhol che gli farà da manager, promotore, e finanziatore del primo album: The Velvet Underground and Nico, il famoso album con la banana in copertina, uscito nel 1967.
L’influenza dei Velvet Underground verso gli artisti e i gruppi successivi è dovuta in parte alle pennellate liriche di Lou, vere e proprie poesie “beat” che raccontano della vita di strada, delle droghe, di sadomasochismo e altri soggetti che, all’epoca, erano ancora taboo. La partecipazione della cantante tedesca Nico all’album, che canterà in alcuni brani del primo LP, è una mossa studiata e voluta da Warhol che, alla ricercata “crudezza” della musica del gruppo voleva anteporre un’immagine limpida, bella, statuaria come punto stridente.
Il dopo Warhol e l’abbandono
Nel 1968 Lou “licenzia” Warhol per sostituirlo con un manager più esperto del settore musicale e nello stesso anno esce il secondo album White light/white heat più “sporco”, più distorto del precedente. Alla fine dell’anno Reed esclude dal gruppo anche l’altra colonna portante musicale: John Cale.
La decisione è sofferta e deriva da forti tensioni interne derivanti dallo stress dei tour e dalla fortissima insoddisfazione commerciale e frustrazione di entrambi. L’album successivo, Velvet Underground, trova Doug Youle come sostituto di Cale. Nel frattempo i problemi manageriali, i fiaschi commerciali portano forti tensioni tra i membri del gruppo. Nel 1970 esce Loaded, nel quale la maggior parte dei brani viene cantata da Youle (prima delle sessioni di registrazione Reed contrae l’epatite perdendo la voce).
Profondamente insoddisfatto, prima ancora che l’album uscisse sul mercato, Reed abbandona definitivamente il gruppo e torna dai suoi genitori a Freeport, proprio quando stavano conquistando un minimo di notorietà grazie al singolo Sweet Jane.
Depressione e ritorno
A Freeport Lou, colto da una profonda depressione e dalla disintegrazione di tutti i suoi sogni, lavorerà per qualche mese come dattilografo nella società del padre, ma continuerà a comporre canzoni che vedranno la luce nei suoi album solisti successivi.
Un vecchio dirigente della casa discografica dei Velvet lo ricontatta e lo convince a tornare nella musica. Reed, poco convinto, accetta e parte per Londra, dove la sua notorietà è molto più forte che in patria e dove il clima artistico è più stimolante. È proprio a Londra che incide il suo omonimo album di debutto solista che include nuovi pezzi e parecchi brani che non erano stati inclusi negli album dei Velvet Underground. Il disco Lou Reed non avrà molto riscontro, ma gli permetterà comunque di tornare nella mischia e di conoscere altri grandi artisti.
In questo periodo conosce David Bowie, incontro fondamentale per la sua carriera. Spinti dalla RCA, etichetta discografica di entrambi, i due decidono di collaborare. Bowie, all’epoca quasi una divinità musicale che tutto poteva, e il suo chitarrista Mick Ronson prendono Lou e lo ricostruiscono; nuovo look “glam” e arrangiamenti accattivanti per il nuovo album che vedrà la luce nel 1972: “Transformer”. “Transformer” diventa un successo clamoroso, raggiungendo i vertici di tutte le classifiche e sfornando due singoli che diventano classici della musica rock: “Walk on the wild side” e “Perfect day”. Lou Reed diventa un idolo e un artista ricercatissimo.
Il grande successo
Ma Reed ha sempre avuto un rapporto contraddittorio verso il successo: lo ha sempre desiderato e, nello stesso tempo, lo terrorizza, lo detesta. Il successo di Transformer e la sua orecchiabilità non rappresentavano il “vero” Reed e così, nel 1973, pubblica il suo capolavoro maledetto: Berlin, un album tematico dai contorni scuri, che racconta di una coppia di tossicodipendenti americani trasferiti a Berlino.
Stupendo e intenso vertice della creatività di Reed, prodotto da Bob Ezrin, l’album avrà molto successo in Gran Bretagna ma, in patria, non riuscirà ad entrare in classifica. Per cercare di conquistare il pubblico americano e rassicurare la sua casa discografica, nel 1974 Reed realizza Sally can’t dance, un album iper-prodotto che, in effetti, entrerà nella top 10 statunitense. Subito dopo vede la luce il primo album live Rock’n’roll animal, uno squarcio nitido e eccezionale sulle coinvolgenti performances del periodo.
Nel 1975 decide di mettere in atto la mossa più azzardata, irriverente, sconvolgente verso tutti coloro che lo accusano di sfornare dischi commerciali e verso la RCA, che preme perché ne realizzi. La mossa si chiama Metal Machine Music, un doppio album senza testi né melodia, un lunghissimo feedback di chitarra, distorto e riverberato diviso in quattro sezioni.
Un vero colpo allo stomaco e alle orecchie anche per l’ascoltatore più stoico e curioso. Per ciò che Lou Reed si ripropone, l’album è un autentico successo: riesce ad alienarsi in un colpo solo la simpatia del pubblico e dei critici musicali. Malgrado tutto, Metal Machine Music acquisterà, con il tempo, un valore fondamentale: da qui partiranno alcune correnti sperimentali e punk.
Otto mesi dopo, decide di tornare ad uno stile di scrittura classico con Coney Island Baby, fortemente influenzato dall’ R&B e acclamato dalla critica e nel 1976, con il successivo Rock’n’roll heart, Lou Reed batte un terreno leggermente più commerciale. Ma la vena dura e cinica di Reed ha bisogno di tornare allo scoperto e nel 1978 pubblica Street Hassle, seguito l’anno successivo da The Bells, più sperimentale e con forti influenze jazz.
Nello stesso anno esce un doppio live, Take no prisoners. Ma l’album tutto è meno che un live nel senso convenzionale del termine; Reed stravolge le canzoni. Anzi, fa di più: non le canta quasi. Il concerto non è altro che una specie di “brain storming” che si avvicina ad un reading poetico beat, un “blues di strada” nel quale Reed improvvisa il testo, si rivolge al pubblico, inventa storie e parla a ruota libera. Un documento eccezionale di un artista eccezionalmente originale.
Anni Ottanta
Reed inizia gli anni Ottanta con uno dei suoi album più sottovalutati, Growing up in public, tutto incentrato sulle sensazioni dell’ormai raggiunta mezza età. Ma le progressioni vocali di So Alone o il cinico e spietato abbozzo di Standing On Ceremony sono dei gioielli. L’album risente anche del nuovo amore di Reed: Sylvia, che sposerà poco tempo dopo. Nel 1982 mette a segno un altro colpo artistico e commerciale perfetto: The Blue Mask, registrato con il chitarrista Robert Quine e il bassista Fernando Saunders. È un nuovo Lou Reed quello che si presenta, più positivo, più disponibile e soprattutto profondamente innamorato della moglie, alla quale dedica più di una canzone.
Legendary Heart e News Sensations, del 1983 e del 1984, segnano una curva in discesa nell’ispirazione, regalandoci solo occasionalmente qualche tocco di talento. In generale i due album, ricchi di sintetizzatori, di batterie elettroniche e della iper produzione tipica della musica degli anni Ottanta, sono abbastanza insignificanti.
Anche il successivo Mistrial, album politico, non riesce a risollevare le sorti di una carriera e di un talento che, sembra, si sia ripiegato su se stesso. Reed ha abituato il suo pubblico ai colpi di coda e nel 1989 pubblica New York, album che segna il suo ritorno come artista di primo piano. L’album è acclamato dalla critica e osannato dai fan, e contiene canzoni che diventeranno i “nuovi classici” di Reed: Dirty Boulevard, Romeo and Juliette e Hold On.
Anni Novanta
Negli anni successivi si dedica ad altri progetti e la situazione del matrimonio, già in crisi, si aggrava. Reed prega Sylvia di lasciare l’appartamento. La morte di Andy Warhol è un altro duro colpo, ma anche l’opportunità di incidere un disco, nel 1990, in suo onore con l’altro fondatore dei Velvet Underground: John Cale. L’album si intitola Songs for Drella (Drella era lo pseudonimo di Warhol, sunto di Dracula e Cinderella).
In questo periodo perde due carissimi amici, morti di cancro. Il profondo dolore per questa perdita lo porta a comporre l’album più introspettivo e cupo della sua carriera: Magic and Loss, del 1992. Accolto con favore dalla critica e un po’ meno dal pubblico abituato al rocker, il nuovo album è crudo, lineare, sofferto totalmente incentrato sul testo e su melodie quanto più semplici possibili. Ma, in realtà, è uno dei lavori più maturi e complessi di Reed che, negli anni Novanta, dimostra ancora una volta di saper sbalordire.
La collaborazione con John Cale di qualche anno prima sfocia in un altro colpo di scena nella carriera di Lou Reed: la reunion dei Velvet Underground del 1993 e il successivo tour mondiale. Testimonianza del tour è un bellissimo doppio album live. Sebbene siano passati quasi trent’anni, le tensioni tra i membri del gruppo riaffiorano e Reed, ancora una volta, decide di sciogliere il gruppo. La morte di Sterling Morrison, l’anno seguente, porrà per sempre la parola fine alla loro storia. Subito dopo lo scioglimento del gruppo, si separa legalmente dalla moglie e comincia a frequentare la cantante Laurie Anderson.
Nel 1996 esce Set the twilight reeling, album dai toni perlopiù pacati e splendidamente arrangiato: un lavoro maturo e solido del “nuovo” Lou Reed. Nel 1998 un nuovo live, testimonianza di un concerto semi-acustico tenutosi l’anno precedente: “Perfect Night: Live in London”.
Anni Duemila, Duemiladieci e morte
Nel Duemila Lou Reed decide di tornare a suoni un po’ più duri e pubblica Ecstasy, un grande ritorno e un buon auspicio per il nuovo millennio. Originale, con testi che ricordano quelli del Reed anni Settanta, musicalmente ineccepibile e omogeneo, Ecstasy viene apprezzato dalla critica e dal pubblico che riconosce nella sessantenne icona del rock, ancora un’alta levatura e un grande talento.
Dopo una breve collaborazione con la compagna Laurie Anderson, con la quale nei concerti recita i testi con un accompagnamento musicale minimale, esce l’ultimo lavoro di Lou Reed: The Raven, doppio CD tratto dalle poesie e dai racconti di Edgar Allan Poe, che contiene recitativi e canzoni. Alla fine del mese di ottobre 2011 esce Lulu, un album realizzato in collaborazione con la band heavy metal dei Metallica. Lou Reed si è spento all’età di 71 anni il 27 ottobre 2013.