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La mafia siciliana: clan e famiglie più potenti in Sicilia

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La mafia è ancora presente in Sicilia. Nel panorama della criminalità organizzata siciliana, oltre alla storica, diffusa e pregnante presenza di Cosa nostra, si continua a registrare anche quella della Stidda, ancora prevalentemente attiva nell’area centro meridionale dell’Isola, con influenza in parte delle province di Caltanissetta, Ragusa e Agrigento. Sussistono inoltre, nella zona orientale, altri sodalizi molto evoluti a livello organizzativo ed operativamente spregiudicati.

Per quanto attiene a Cosa nostra, le dialettiche interne alle consorterie palermitane continuano ad influenzare l’intera struttura criminale, sia sotto il profilo della gestione degli affari illeciti più remunerativi, sia con riferimento alla guida dell’organizzazione.

La mafia in Sicilia

Le risultanze delle attività d’indagine, corroborate anche dalle più recenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, continuano a delineare uno stato di generale criticità per l’organizzazione, ancora impegnata in un riassetto degli equilibri interni, scaturito da una molteplicità di fattori, non solo stratificati negli anni, ma anche relativamente recenti. In primo luogo, l’azione di contrasto delle Istituzioni, attività che ha condotto alla sottrazione di consistenti patrimoni di origine illecita ed all’arresto di un elevato numero di affiliati e di capi.

I colpi inferti con le confische si sono sommati al prolungato stato di detenzione di numerosi elementi di vertice e comunque dei boss più autorevoli, molti dei quali sottoposti al regime detentivo speciale (c.d. “carcere duro”) e per questo anche dislocati in vari Istituti penitenziari del territorio nazionale. Su questa situazione di sofferenza ha ulteriormente inciso la lunga mancanza di una effettiva struttura di vertice – la commissione, c.d. cupola, legittimata a prendere decisioni in nome di tutta Cosa nostra – a causa della detenzione dei suoi componenti e soprattutto del capo, Salvatore RIINA, deceduto, come noto, il 17 novembre 2017.

La ricostituzione di questa struttura, dopo molti anni di inattività, non sembrerebbe, tuttavia, auspicata da tutte le rappresentanze dei mandamenti, specie di quelli più attivi nella gestione delle attività economiche anche fuori dal territorio di competenza che, abituati ad agire quasi in autonomia, potrebbero soffrire la restrizione delle regole imposte dalla Commissione.

A tal riguardo si evidenzia che, nel corso della stesura del presente documento, è intervenuto un provvedimento della DDA di Palermo (operazione “Cupola 2.0”), eseguito dall’Arma dei carabinieri il 4 dicembre 2018, che ha condotto al fermo di 47 affiliati, tra cui 4 capi mandamento e 10 tra capi famiglia, capi decina e consiglieri.

Gli esiti delle indagini, che saranno dettagliatamente analizzati nella prossima Relazione semestrale, confermerebbero comunque uno scenario ancora in evoluzione, proprio in relazione alla ricostituzione della “Commissione provinciale”. Le evidenze investigative hanno, tra l’altro, riscontrato una riunione che si sarebbe tenuta il 29 maggio 2018, con la partecipazione però di non tutti gli esponenti del vertice mafioso della provincia di Palermo.

L’intera organizzazione mafiosa, per ovviare alla perdurante fase di stallo, ha dovuto finora fare ricorso ad assetti decisionali ed operativi provvisori, affidando la guida di famiglie e mandamenti a reggenti, che non sempre si sono dimostrati adeguati, assumendo talora decisioni non condivise, se non addirittura controproducenti. Il fermento di alcune famiglie, dovuto all’esigenza di rinnovare – come detto – una classe dirigente decimata dagli arresti e non più in grado di fornire risposte convincenti alla base verrebbe, altresì, amplificato da un malcontento diffuso degli affiliati e dei familiari dei detenuti, colpiti da un’evidente crisi di welfare, determinata dalla significativa carenza di liquidità.

Il venir meno della compattezza e, quindi, della forza di Cosa nostra – intesa come struttura unitaria, certamente complessa ed articolata, ma anche caratterizzata da connotazioni rigorosamente gerarchiche e regolamentate – sembra correlarsi non solo con i frequenti sconfinamenti territoriali, con indebite ingerenze ed iniziative non autorizzate, ma soprattutto con il crescente numero di uomini d’onore che tendono a rivendicare, per sé o per la loro articolazione, posizioni di preminenza o comunque di autonomia, se non addirittura a proporre la propria candidatura a cariche interne all’organizzazione mafiosa.

L’intera struttura deve, inoltre, rapportarsi con le sempre più frequenti scarcerazioni per “fine pena” di quegli uomini d’onore che nutrono aspettative e pretese di recupero, sostanziale e formale, del potere che hanno dovuto cedere dal momento del loro arresto.

D’altro canto, va anche tenuto in conto che la loro scarcerazione è quasi sempre attesa dagli altri sodali, quale panacea per la gestione delle attività criminali di maggiore importanza e per la riorganizzazione o la riqualificazione delle consorterie mafiose di appartenenza. Oltre a ciò, già da diversi anni Cosa nostra deve confrontarsi anche con il ritorno dei c.d. “scappati”154, i perdenti sopravvissuti alla c.d. “seconda guerra di mafia” vinta dai corleonesi.

Costoro, per avere salva la vita, furono costretti a trovare rifugio all’estero, in particolar modo in Nord America, dove potevano contare su legami “storici”, rafforzati dal narcotraffico internazionale di eroina all’epoca gestito proprio dall’organizzazione siciliana. Considerato che, finora, non si sono registrate ritorsioni o vendette, molti di costoro, una volta rientrati a Palermo, potrebbero recuperare quel potere che erano stati costretti a cedere, negli anni ’80, per l’indiscriminata violenza dei corleonesi, anche stringendo accordi con gli eredi degli antichi rivali, in ciò avvalendosi degli ancora esistenti rapporti con i boss d’oltreoceano.

Senza dubbio, nel corso degli ultimi anni, Cosa nostra ha subito qualche indebolimento come organizzazione compatta e unitaria. Ciò, anche per la sotterranea contrapposizione di due correnti: l’una, intransigente ed oltranzista, legata alla “linea Riina” e l’altra, più moderata e meno disposta all’uso non misurato della forza, quella che storicamente ha fatto sempre riferimento al rapporto, quasi aritmetico, tra costi e benefici.

Comunque, il vuoto di potere venutosi a determinare pone ora un’esigenza di rinnovamento e di riorganizzazione complessiva della organizzazione, probabilmente non più rinviabile. Tra le questioni irrisolte si inserisce l’inquadramento della figura di Matteo MESSINA DENARO.

Benché il latitante abbia goduto di rapporti, consolidati, risalenti nel tempo, con uomini d’onore dei mandamenti strategici palermitani, quali quelli di Brancaccio e di Bagheria, gli elementi di vertice del capoluogo regionale, soprattutto dopo l’esperienza corleonese, non sarebbero ora favorevoli ad essere rappresentati da un capo non palermitano, specie quando, come nel caso del latitante di Castelvetrano (TP), egli è chiamato, in primo luogo, come testimoniano recenti attività investigative, continuamente a confermare, in ragione della sua “assenza operativa” dal territorio, il ruolo di leader nella provincia di Trapani.

È da valutare, inoltre, come in un tale scenario, soprattutto per i danni conseguenti, alla fine degli anni ’80, alla concentrazione del potere nelle mani dei corleonesi, alcune famiglie e mandamenti potrebbero nel futuro volersi vedere riconosciuta una maggiore autonomia, con un potere più cogente sul proprio territorio. Non può pure escludersi che capi emergenti, anche eredi di storiche famiglie, approfittino della situazione e cerchino spazi per scalare posizioni di potere.

Non è anche da escludere che, alla luce della non chiara evoluzione del quadro descritto, le articolate dinamiche dell’organizzazione possano sfociare in atti di violenza particolarmente cruenti. Una possibilità, a dire il vero, finora non suffragata da indizi che facciano presagire una volontà precisa di ritornare a forme di conflittualità eclatanti.

Cosa nostra si conferma, comunque, una struttura ancora vitale, dinamica e plasmabile a seconda dei mutamenti delle condizioni esterne. In un quadro generale così delineato, la capacità di imporre il rispetto di regole condivise, che consentano agli affiliati di identificarsi nell’organizzazione, rappresenta sempre il migliore collante per garantirne la sopravvivenza. Cosa nostra sembra, infatti, avvertire il bisogno, per rigenerarsi, di proseguire nel processo di “restaurazione delle regole” fortemente anticipato da Bernardo Provenzano, con la conferma al ricorso alla “tradizione” attraverso schemi organizzativi idonei a riproporre i modelli unitari del passato.

Tra le regole di comportamento ritenute attualmente imprescindibili si segnalano il ricorso a maggior accortezza nell’individuazione dei soggetti da affiliare, cioè alla necessità di scegliere “picciotti sicuri”, preferibilmente appartenenti cioè a famiglie di chiara tradizione mafiosa. A tal proposito, verrebbero “recuperati”, ai vari livelli, associati storici e di provata credibilità ed affidabilità. Ciò, anche nella previsione che conflittualità finora latenti possano degenerare in nuove collaborazioni con la giustizia di affiliati, anche autorevoli.

Non è dunque facile individuare le linee evolutive di Cosa nostra, né prevedere il nuovo ordine che l’organizzazione intenderà darsi e se tale apparato possa ricomprendere tutte le articolazioni provinciali, ognuna con differenti sfaccettature organizzative e operative.

Spostando l’esame alla Sicilia centro-orientale, va innanzi tutto rilevato come, in alcune aree territoriali, alle storiche famiglie di Cosa nostra, sempre egemoni nell’articolato panorama delle consorterie malavitose, si affianchino ulteriori sodalizi mafiosi.

È evidente la propensione dei “catanesi” ad espandere la loro zona di influenza nelle province vicine, anche stipulando patti con esponenti locali: significativo, a questo riguardo, l’insediamento nella città di Messina di una cellula degli etnei SANTAPAOLA-ERCOLANO, di rilevante autorevolezza criminale, con la quale gli storici sodalizi dei rioni cittadini tendono a non entrare in contrasto.

La maggiore varietà del contesto criminale della Sicilia centro-orientale, rispetto alle province occidentali, è ancora più visibile nelle zone costiere, gravitanti attorno all’abitato di Gela (CL), nel quale era emerso, fin dalla metà degli anni ’80, il fenomeno della Stidda, una realtà criminale che nel tempo ha espanso il proprio territorio di influenza anche in porzioni delle confinanti province di Agrigento e Ragusa, con velleità di contrapposizione alle storiche famiglie di Cosa nostra.

Ridimensionata nei propositi, tanto da arrivare a recenti forme di alleanza o di convivenza, l’organizzazione riesce comunque ancora ad esprimere un significativo potenziale delinquenziale, ad esempio nelle dinamiche di gestione dei mercati ortofrutticoli. Oltre al tradizionale controllo militare del territorio, mediante attività estorsive e usurarie, nonché alla gestione delle piazze di spaccio, le consorterie della Sicilia centro-orientale hanno incrementato l’infiltrazione nel mondo dell’imprenditoria.

La penetrazione degli enti locali e la corruzione di soggetti preposti all’amministrazione della cosa pubblica, rappresenta l’occasione per accaparrarsi finanziamenti ed incentivi economici, utili anche per le attività del riciclaggio. Considerato l’articolato panorama organizzativo delle famiglie di Cosa nostra e degli altri clan, la Sicilia centroorientale continua ad essere caratterizzata, rispetto a quella occidentale, da una più variegata pluralità di consorterie, verosimilmente alla costante ricerca di collaborazioni ed alleanze finalizzate all’ottimizzazione dei progetti criminali.

A fattor comune per tutta l’Isola si evidenzia, infine, la volontà di agire “sottotraccia”, senza ricorrere ad azioni apertamente cruente, salvo che non sia assolutamente necessario. Ciò stante il marcato interesse delle consorterie ad acquisire un sempre maggior controllo degli apparati degli Enti amministrativi locali, sia mediante la permeabilità degli uffici pubblici attraverso l’infiltrazione, che con forme meno evidenti di condizionamento. Il grafico che segue evidenzia i reati sintomatici di criminalità organizzata registrati in Sicilia nel primo semestre del 2018:



[titolo_paragrafo]Mafia a Palermo: Cosa Nostra[/titolo_paragrafo]

Cosa nostra palermitana è periodicamente costretta ad una forzata riconfigurazione organica, non sempre condivisa, a seguito dei numerosi arresti (anche di soggetti apicali), dell’emergere di nuove leve e delle scarcerazioni di personaggi già con ruoli di vertice. L’organizzazione continua a mostrare talune fibrillazioni e contrapposizioni all’interno di famiglie e mandamenti. Diversi capi e reggenti, specie se emergenti e giovani, non sempre godono di unanime riconoscimento e non di rado sono ritenuti inadeguati a garantire il rispetto delle regole, dirimere i contrasti, gestire gli affari e le emergenze. Priva per un lungo periodo di un organismo di direzione con pieni ed effettivi poteri operativi e strategici, da un punto di vista sia formale che sostanziale, Cosa nostra è da tempo caratterizzata da una maggiore autonomia delle articolazioni.

Una autonomia che si realizza attraverso l’ampliamento della sfera d’influenza delle consorterie più attive, funzionale a garantire un sufficiente livello di operatività anche in aree ove la presenza mafiosa è stata pesantemente compromessa dalla repressione investigativo-giudiziaria. Ciò ha determinato una sensibile alterazione dei rapporti di forza e delle alleanze che tende ad allentare la coesione della compagine, facendo così venir meno uno dei suoi tradizionali punti di forza. In una tale situazione, in evoluzione, l’organizzazione mafiosa è stata finora, e in via transitoria, gestita da un organismo costituito dai rappresentanti dei mandamenti urbani più forti e rappresentativi, con funzioni di consultazione, di raccordo e di elaborazione delle linee strategiche fondamentali, soprattutto allo scopo di garantire la realizzazione dei profitti necessari per il migliore funzionamento dell’organizzazione.

Per la gestione complessiva delle attività criminali di maggiore importanza, in attesa di una definitiva riorganizzazione, si farà verosimilmente ancora ricorso ad un sistema di referenze territoriali, governate da anziani uomini d’onore, figure carismatiche cui, indipendentemente dalla carica ricoperta e pur in assenza di una formale nomina, viene diffusamente riconosciuta autorevolezza e pregnante influenza sul territorio.

Non a caso, diverse attività investigative hanno dimostrato come molti anziani boss, anche ultraottuagenari e spesso dopo essere stati scarcerati al termine di lunghi periodi di detenzione, abbiano ripreso il loro incarico o si siano comunque dedicati alla gestione degli affari più importanti ed alla riorganizzazione e riqualificazione delle consorterie mafiose di appartenenza. Dopo la morte di RIINA, Cosa nostra palermitana con ogni probabilità continuerà a vivere una fase di transizione e di rimodulazione, durante la quale le componenti più autorevoli si confronteranno per conferire alla struttura un nuovo assetto, cercando di preservare l’ordinamento verticistico e unitario.

Dalle più recenti acquisizioni info-investigative, il territorio risulta suddiviso in 15 mandamenti (8 in città e 7 in provincia), composti da 81 famiglie (32 in città e 49 in provincia): Cosa nostra palermitana, nonostante l’incessante opera di contrasto da parte dello Stato e pur continuando a perseguire una politica di basso profilo e mimetizzazione, testimonia ancora una pericolosa potenzialità offensiva. Le attività investigative delineano un fenomeno criminale certamente colpito, ma ancora pervasivo. In particolar modo, l’organizzazione si conferma attiva nella sistematica imposizione del pizzo, che costituisce anche un fondamentale strumento di controllo del territorio.

Nel semestre in trattazione, le investigazioni hanno consentito di ricostruire una serie di episodi estorsivi e di danneggiamenti di varia natura. Al riguardo, nel capoluogo, un’attività investigativa conclusa dai Carabinieri nel mese di gennaio, prosecuzione dell’operazione “Talea” (dicembre 2017), ha evidenziato la particolare propensione ad estorcere denaro da parte della consorteria di San Lorenzo, mentre altre risultanze, acquisite il successivo mese di febbraio, hanno permesso di documentare numerose estorsioni poste in essere dalle famiglie di Villagrazia e di Santa Maria di Gesù e di colpire il mandamento palermitano di Santa Maria di Gesù, che le comprende. Ancora, la Guardia di finanza ha eseguito una misura cautelare nei confronti di 2 soggetti, accusati di estorsione, aggravata dal metodo mafioso, operata ai danni di un commerciante, per conto di esponenti della famiglia di Porta Nuova.



Infine, sempre nel capoluogo siciliano, un’indagine della Polizia di Stato ha fatto luce sulle “imposizioni” poste in essere dalla famiglia della Noce, in danno di diversi operatori commerciali, i cui proventi venivano utilizzati per l’acquisizione di attività economiche. Sono state documentate minacce e pressioni ai danni di un parroco, affinché patrocinasse una festa rionale organizzata dagli arrestati, al fine di estorcere ai venditori ambulanti denaro da destinare ai familiari degli affiliati reclusi. L’inchiesta, tra l’altro, ha fatto emergere come le nuove leve, per l’assenza dei vertici, detenuti, abbiano finito per scalare le gerarchie della famiglia criminale. Anche per quanto riguarda il territorio della provincia, l’attività estorsiva è stata riscontrata – tra i numerosi interessi criminali della famiglia di Partinico – nell’ambito dell’attività investigativa della Polizia di Stato denominata “Game Over”.

Allo stesso modo, l’indagine dei Carabinieri denominata “Legame” ha palesato la responsabilità del mandamento di Bagheria in ordine ad episodi estorsivi ai danni di operatori economici, mentre un’altra investigazione ha permesso di attingere la famiglia di Misilmeri, anch’essa particolarmente attiva nell’imposizione del pizzo, oltre che nel narcotraffico internazionale. Tradizionalmente, le strategie operative di Cosa nostra esprimono, infatti, una particolare propensione anche verso il traffico di sostanze stupefacenti. L’organizzazione mafiosa siciliana opera, in tale ambito, in un sistema criminale integrato insieme a ‘Ndrangheta e Camorra. Non sono, infatti, rari i casi di corrieri fermati in arrivo dalla Campania e dalla Calabria, ovvero dall’estero, come nel caso dell’Albania.



La città di Palermo costituisce bacino di approvvigionamento per l’intero territorio regionale ed il mercato continua ad essere gestito direttamente da sodali e/o personaggi contigui all’organizzazione mafiosa. In proposito, nel semestre in esame la citata indagine “Game Over” ha messo in evidenza anche il settore degli stupefacenti tra i numerosi interessi criminali della famiglia di Partinico.

Sempre nell’ambito delle sostanze stupefacenti vale la pena di richiamare l’operazione “Drug Away” della Polizia di Stato, che ha fatto emergere una nutrita associazione per delinquere, con base operativa nel rione di Ballarò, finalizzata all’acquisto, al trasporto e alla vendita di cocaina e di hashish. Inoltre, caratteristica ormai da tempo peculiare del territorio, sia in zone impervie della provincia che nell’area urbana, è la diffusione delle piantagioni di cannabis, la cui coltivazione risulta spesso organizzata con l’utilizzo di stabili impianti di irrigazione, concimanti specifici e guardiania. Altro lucroso settore d’investimento si conferma quello dei giochi e delle scommesse, come emerso, anche in questo caso, nella più volte menzionata operazione “Game Over”.

L’attività investigativa ha fatto emergere come un importante imprenditore del settore, originario di Partinico, fosse riuscito, con l’appoggio delle famiglie mafiose della provincia, ad imporre il brand di raccolta scommesse della società a lui riconducibile, con sede a Malta. Contestualmente, sono state sottoposte a sequestro numerose agenzie e punti di raccolta delle scommesse che, dislocati sul territorio nazionale, utilizzavano però un network di diritto maltese, facente sempre capo al citato imprenditore. Sul piano generale, tutti i mandamenti mafiosi sembrano interessati al settore, favorendo l’apertura di nuove agenzie di gioco. È quanto si rileva, ad esempio, dall’esecuzione, nel mese di giugno, di un decreto di confisca nei confronti di esponenti di punta della famiglia di Brancaccio, che ha colpito un patrimonio di oltre 10 milioni di euro, composto da aziende e società, alcune delle quali operanti proprio nel settore delle scommesse.

Nonostante i citati lucrosi business criminali, da tempo si registra il coinvolgimento di sodali mafiosi o di loro parenti anche nella commissione di rapine, di norma appannaggio di delinquenti comuni. Ciò appare verosimilmente collegato ad una possibile carenza di liquidità. Tuttavia, stretti congiunti di elementi di vertice delle famiglie mafiose non disdegnerebbero tali reati predatori anche per dimostrare, ai consociati, le loro capacità e la propria determinazione criminali, derivanti dall’appartenenza a tradizionali gruppi familiari di Cosa nostra. Per quanto riguarda i condizionamenti della criminalità mafiosa nel settore politico-amministrativo, si segnalano, nel semestre, le proroghe delle gestioni commissariali dei comuni di Corleone e di Palazzo Adriano.

Sul territorio della provincia si registra, infine, anche la presenza di bande criminali composte da stranieri, specializzate in determinati settori illeciti. Emerge come l’eventuale ricorso a questi soggetti da parte di Cosa nostra sia limitato ad una collaborazione, anche non episodica, per attività criminali circoscritte e più rischiose (come lo spaccio di droga, lo sfruttamento della prostituzione o la riscossione del pizzo), con ruoli di basso profilo. Le famiglie mafiose manterrebbero, quindi, il controllo delle attività nelle zone di rispettiva competenza, tollerando la presenza – anche in rioni e quartieri, come Ballarò o Brancaccio, caratterizzati dalla storica operatività di consorterie mafiose – di gruppi organizzati stranieri in ruoli marginali di cooperazione.

Un discorso a parte merita la criminalità organizzata nigeriana, che dimostrando molteplici elementi propri delle associazioni di tipo mafioso, ha saputo progressivamente insediarsi anche nel territorio palermitano e organizzarsi per la gestione e il controllo stabile di attività illegali, quali lo sfruttamento della prostituzione e il traffico di sostanze stupefacenti. Cosa nostra, pressata da esigenze contingenti, e da sempre caratterizzata da un’opportunistica flessibilità, potrebbe essersi adattata alla nuova realtà evitando conflitti.

[titolo_paragrafo]Mafia a Trapani[/titolo_paragrafo]

La provincia di Trapani continua ad essere dominata da Cosa nostra, che monopolizza la gestione delle più remunerative attività illegali e condiziona perniciosamente il contesto socio-economico dell’intero territorio provinciale, avvalendosi di sperimentati modelli operativi, caratterizzati sia da una significativa forza di intimidazione che dell’opera di professionisti e soggetti insospettabili.



In merito, va osservato che l’organizzazione mafiosa trapanese sta subendo un’incessante e sempre più pressante attività di contrasto, prioritariamente finalizzata alla cattura del noto latitante Matteo MESSINA DENARO. Un’azione che passa innanzitutto per la disarticolazione del reticolo di protezione di cui lo stesso gode da decenni e che viene sviluppata sia sotto il profilo delle indagini giudiziarie, con i conseguenti numerosi provvedimenti restrittivi, sia sotto quello delle investigazioni preventive, realizzate con numerosi e consistenti provvedimenti di sequestro e confisca. Nonostante tale pressione e pur attraversando momenti di criticità, l’organizzazione criminale non presenta segnali di cambiamento organizzativi, strutturali o di leadership.

La struttura continua a mantenere la tradizionale unitarietà e gerarchia, disciplinata da regole vincolanti, che le consentono di rimanere fortemente ancorata al territorio d’origine. Strategie tuttora ispirate dal predetto latitante Castelvetranese, il quale continuerebbe a ricoprire, sebbene con progressiva difficoltà, il duplice ruolo di capo del mandamento di Castelvetrano e di rappresentante provinciale di Cosa nostra. Per quanto concerne l’architettura delle consorterie, il territorio della provincia risulta sempre suddiviso in quattro mandamenti mafiosi, che raccolgono 17 famiglie.

Nel solco della tradizione, la pericolosità di Cosa nostra trapanese continua a manifestarsi anche attraverso le consuete condotte estorsive in danno di imprenditori e commercianti, spesso accompagnate da danneggiamenti ed atti intimidatori di vario genere.

Dagli esiti delle recenti attività d’indagine, di seguito illustrate è, inoltre, emerso che Cosa nostra trapanese, oltre che nei tradizionali comparti economici (quali il movimento terra, le costruzioni edili, la produzione di conglomerati bituminosi e cementizi – con particolare attenzione agli appalti e subappalti pubblici – nonché la grande distribuzione alimentare e la produzione di energie alternative), si è significativamente infiltrata nel settore delle scommesse e dei giochi on-line, nonché nel business delle aste giudiziarie legate a procedure esecutive e fallimentari, potendo far leva sul capillare controllo del territorio con il tradizionale e sistematico ricorso all’intimidazione e all’assoggettamento.

In merito, in data 13 marzo 2018, la Direzione Investigativa Antimafia e i Carabinieri, a conclusione di due parallele attività d’indagine, hanno congiuntamente dato esecuzione, con l’operazione denominata “Pionica”, all’ordinanza di applicazione di misure cautelari nei confronti di 12 soggetti (tra i quali il capo della famiglia di Salemi e quello della famiglia di Vita, nonché un noto imprenditore alcamese operante nel settore dell’energia eolica), a vario titolo indagati per concorso in associazione mafiosa, estorsione e intestazione fittizia di beni aggravata dalle modalità mafiose.

Contestualmente, è stato eseguito anche il decreto di sequestro preventivo di tre società, delle quali una con sede a San Giuseppe Jato (PA) e due a Vita (TP), per un valore di circa 1,5 milioni di euro. Le indagini hanno approfondito, tra l’altro, le infiltrazioni di Cosa nostra trapanese negli investimenti immobiliari relativi a terreni agricoli posti all’asta nell’ambito di procedure esecutive.

Nello specifico, si è dimostrato che le citate famiglie mafiose di Vita e di Salemi, entrambe appartenenti al mandamento di Mazara del Vallo, avevano avuto un ruolo centrale nella gestione di una significativa operazione di speculazione immobiliare, realizzata attraverso l’acquisto, ad un’asta giudiziaria, di una vasta tenuta agricola e la sua successiva rivendita ad una società agricola di San Giuseppe Jato, vicina ad ambienti mafiosi locali.

Le attività hanno altresì permesso di ricostruire, con riferimento ad una delle citate tre società sequestrate, gli interessi ed i correlati notevoli investimenti nel settore della silvicoltura. Nel giugno del 2013 la società aveva, infatti, realizzato in provincia di Trapani una prima piantagione di Paulownia, un albero che si contraddistingue per la rapidità di crescita e la qualità del legno, ideale anche per la produzione di biomasse. Finalità dell’impresa – con l’esclusiva per la vendita in Sicilia di un clone della pianta – era quella di avviare un lucroso progetto che prevedeva la realizzazione nella provincia di un’ulteriore e ben più ampia piantagione.

Il successivo 19 aprile 2018 la DIA, la Polizia di Stato e l’Arma dei carabinieri, a conclusione di una vasta attività d’indagine, hanno dato esecuzione, nell’ambito dell’operazione congiunta “Anno Zero”, al decreto di fermo d’indiziato di delitto nei confronti di 22 soggetti, a vario titolo indagati per associazione di tipo mafioso, estorsione, danneggiamento, detenzione di armi ed intestazione fittizia di beni, reati aggravati dalle modalità mafiose.

Tra i destinatari del provvedimento restrittivo figurano il latitante Matteo MESSINA DENARO e due suoi cognati – uno dei quali investito del ruolo di reggente del mandamento di Castelvetrano – il capo del mandamento di Mazara del Vallo e quello della famiglia di Partanna, nonché un imprenditore di Castelvetrano operante nel settore dei giochi on-line.

Nel medesimo contesto operativo sono state sottoposte a sequestro preventivo 5 imprese, con sede a Castelvetrano, del valore di oltre 200 mila euro. Le investigazioni hanno documentato le dinamiche associative dei mandamenti mafiosi di Castelvetrano e di Mazara del Vallo ricostruendo, in particolare, parte dell’organigramma delle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara, Partanna e Mazara del Vallo.

È stato, inoltre, documentato il capillare controllo economico-criminale del territorio, attuato anche attraverso le estorsioni in danno di imprenditori economici dell’area. Le indagini hanno, altresì, rivelato l’esistenza, in seno al mandamento di Castelvetrano, di accese interlocuzioni per la spartizione dei proventi illeciti, tra esponenti della famiglia di Campobello di Mazara e quella di Castelvetrano, per dirimere le quali si sarebbe resa necessaria la forte presa di posizione del cognato di Matteo MESSINA DENARO.

Tale scenario avrebbe, peraltro, fatto da sfondo all’omicidio avvenuto a Campobello di Mazara il 6 luglio 2017: dopo un lungo periodo in cui nella provincia di Trapani non si registravano omicidi riconducibili a Cosa nostra è stato, infatti, ucciso, in un agguato tipicamente mafioso, un soggetto all’epoca sottoposto ad indagini, in quanto indiziato di far parte della famiglia di Campobello di Mazara. Dalle indagini è emerso che la vittima era colui che, tra tutti i componenti della famiglia di Campobello di Mazara, aveva manifestato maggiori critiche e perplessità sul comportamento del cognato del latitante, vertice pro tempore del mandamento di Castelvetrano.

Nell’ambito delle attività è stata registrata l’ascesa, non priva di contrasti, del capo del mandamento di Mazara del Vallo, così come sono stati evidenziati gli attriti tra i diversi mandamenti per la gestione mafiosa del parco eolico di Mazara, in corso di realizzazione. Ancora una volta non è mancato l’uso dei “pizzini”, dai quali – insieme ad una serie di conversazioni intercettate – traspare la “presenza” del latitante sul territorio. In particolare, tale consolidata forma di comunicazione mafiosa viene utilizzata come strumento per dirimere controversie, risolvere questioni di interesse dell’organizzazione criminale, impartire ai sodali regole di comportamento e disposizioni, nonché per attribuire i ruoli all’interno delle consorterie della provincia.

Grazie all’indagine “Anno Zero” è stato dimostrato come il latitante castelvetranese sia ancora oggi l’unico soggetto a cui è necessario rivolgersi per dirimere controversie interne al sodalizio mafioso. Lo stesso, al fine di assicurarsi il costante controllo delle attività illecite e dei relativi proventi, sembra ancora prediligere appartenenti alla propria cerchia familiare, o comunque persone a lui vicine, nei ruoli di vertice dell’organizzazione mafiosa.

È, quindi, ancora confermata la fedeltà dei membri dell’organizzazione nei confronti del citato latitante. Non da ultimo, l’attività investigativa in parola ha anche documentato l’interesse di Cosa nostra per il remunerativo settore dei giochi e delle scommesse on-line.

È stato, infatti, dimostrato come l’espansione di una rete di oltre 40 agenzie di scommesse e punti gioco facenti capo ad un giovane imprenditore castelvetranese fosse avvenuta, sia nella provincia di Trapani che nel palermitano, grazie al supporto della famiglia mafiosa di Castelvetrano: questa gli avrebbe garantito protezione nei confronti degli altri sodalizi criminali delle provincie di Trapani e di Palermo in cambio di periodiche dazioni di denaro, dirette sia al sostentamento del circuito familiare del latitante che all’organizzazione mafiosa nel suo complesso.

Nello stesso contesto investigativo, il 18 maggio 2018 la DIA ha eseguito un decreto di sequestro preventivo nei confronti del sopra citato imprenditore, per un valore complessivo di circa 400 mila euro. Per quanto concerne l’aggressione ai patrimoni illeciti, nel semestre di riferimento, la locale Sezione della DIA ha inoltre proceduto al sequestro e alla confisca di beni riconducibili ad esponenti di rilievo della locale realtà criminale, tra i quali anche parenti o soggetti vicini a MESSINA DENARO.

In particolare, in data 16 gennaio 2018 è stata data esecuzione ad una confisca di beni (numerose unità immobiliari, tra locali commerciali, appartamenti, rimesse, terreni, nonché cinque aziende, quote di partecipazione in società di capitali, vari conti bancari e polizze assicurative), per un valore di circa 25 milioni di euro, nei confronti di un imprenditore, originario di Campobello di Mazara (TP), operante nei settori turistico-alberghiero e del commercio di autoveicoli. Nei suoi confronti è stata anche disposta la sorveglianza speciale di p.s. per la durata di due anni. Il 23 gennaio 2018 è stato eseguito, un decreto189di sequestro di beni, per un valore di circa 400 milioni di euro, nei confronti di un imprenditore di Mazara del Vallo (TP).

Il successivo 11 maggio si è, poi, proceduto al sequestro di un patrimonio del valore di 1 milione di euro, intestato ad una nipote di Matteo MESSINA DENARO. In data 6 giugno 2018, nell’ambito di un procedimento di prevenzione che, nel novembre 2017, aveva già consentito il sequestro di beni per 10 milioni di euro, la DIA ha proceduto all’esecuzione di un ulteriore sequestro, questa volta del marchio di una società produttrice di olio d’oliva.

Il decreto ha colpito un commerciante internazionale d’opere d’arte e reperti di valore storico–archeologico, originario di Castelvetrano, già titolare di imprese operanti in Sicilia nei settori del cemento e dei prodotti alimentari. Per oltre un trentennio lo stesso aveva accumulato ricchezze con i proventi del traffico internazionale di reperti archeologici, molti dei quali trafugati nel sito archeologico di Selinunte da tombaroli al servizio di Cosa nostra, in particolare del noto boss mafioso Francesco MESSINA DENARO, padre del latitante Matteo.

L’attività di contrasto ai patrimoni mafiosi messa in atto dalla DIA si affianca a quella delle Forze di polizia. Nell’ordine, in data 10 febbraio 2018, i Carabinieri hanno dato esecuzione al decreto di confisca di beni (tre società attive nel settore oleario, oltre a numerosi immobili e diversi fabbricati industriali, macchine agricole, conti correnti e polizze assicurative) riconducibili a un imprenditore di Castelvetrano, il cui valore complessivo ammonta a circa 4 milioni di euro.

L’11 giugno 2018, ancora i Carabinieri hanno dato esecuzione al decreto di confisca dei beni riconducibili a 2 imprenditori di Castelvetrano (TP), zio e nipote, operanti nel settore dei rifiuti, ritenuti prestanome dell’organizzazione capeggiata dal noto latitante, del valore complessivamente stimato in circa 3 milioni di euro.

Il successivo 13 aprile, ancora i Carabinieri hanno dato esecuzione al decreto, con il quale è stato disposta la confisca di un’unità immobiliare sita in Mazara del Vallo (TP) e svariati rapporti bancari e assicurativi, riconducibili al nucleo familiare del fratello del noto RIINA Salvatore, stimati complessivamente in circa 600 mila euro.

Il 7 giugno, invece, la Polizia di Stato e la Guardia di finanza hanno dato esecuzione a due decreti di sequestro, nei confronti, tra l’altro, del figlio di un defunto capo del mandamento di Mazara del Vallo, il cui valore complessivo ammonta a circa 3 milioni di euro. Tra i beni sequestrati figurano diverse società (tra le quali due operanti nel settore della commercializzazione dei prodotti ittici, ed altrettante rispettivamente nel settore dello smaltimento dei rifiuti ed in quello edile) e numerosi immobili, automezzi, rapporti bancari e diverse partecipazioni societarie.

Considerato il rischio, più volte in passato concretizzatosi, dell’importante apporto che alcuni soggetti già detenuti per associazione di tipo mafioso potrebbero ulteriormente fornire una volta scarcerati, è anche doveroso segnalare che nel semestre è intervenuta la scarcerazione, al termine di una prolungata detenzione, di due parenti di Matteo MESSINA DENARO, nonché di un noto soggetto mafioso, già capo della famiglia di Castellammare del Golfo.

Per quanto nel semestre di riferimento non siano stati adottati, nella provincia, provvedimenti di scioglimento di Enti locali, non può essere trascurata la capacità di Cosa nostra trapanese di porre in essere azioni di infiltrazione e di condizionamento della Pubblica amministrazione.

A tal proposito, è ancora attiva nel semestre, la gestione straordinaria del Comune di Castelvetrano, sciolto in data 6 giugno 2017 ed affidata, per un periodo di diciotto mesi, all’apposita Commissione, per accertati condizionamenti da parte della criminalità organizzata.

Sul fronte degli stupefacenti, non si segnalano, per il periodo in esame, investigazioni che abbiano visto il coinvolgimento diretto dell’organizzazione mafiosa. Ciononostante, lo spaccio di sostanze stupefacenti, segnatamente hashish e marijuana, ma anche cocaina ed eroina, realizzato da gruppi criminali minori, continua a destare un certo allarme sociale, assieme ai reati predatori.

Si segnala, altresì, la presenza di alcuni gruppi delinquenziali stranieri, impegnati nelle attività illecite connesse al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, come acclarato a seguito di due recenti attività d’indagine condotte, nel 2017 e nel 2018, dalla Guardia di finanza, denominate “Scorpion Fish” e “Scorpion Fish2”. Il filone investigativo concluso nel semestre, precisamente nel mese di aprile, ha portato all’arresto – disposto dalla Procura della Repubblica di Palermo – Direzione Distrettuale Antimafia- di 30 soggetti appartenenti a due associazioni per delinquere operanti tra la Tunisia e la Sicilia, e composte da cittadini di entrambi i Paesi.

[titolo_paragrafo]Mafia ad Agrigento[/titolo_paragrafo]



La provincia di Agrigento rimane anch’essa caratterizzata dalla forte pervasività di associazioni criminali di matrice mafiosa che, anche grazie ad una diffusa situazione di disagio economico-sociale e ad un contesto ambientale in parte omertoso, continuano a trovare condizioni favorevoli.

In particolare, Cosa nostra agrigentina, ancorata alle tradizionali regole mafiose, risulta difficilmente permeabile dall’esterno e continua a porsi come un pilastro per l’intera organizzazione regionale. Rimasta, nei profili essenziali, unitaria e verticistica, è sempre suddivisa nella tradizionale ripartizione in mandamenti e famiglie. Al riguardo va, inoltre, considerata la contestuale presenza della Stidda, originariamente organizzazione scissionista da Cosa nostra ed a questa contrapposta, ma con la quale oggi condivide la realizzazione degli affari illeciti.

La Stidda continuerebbe, oltreché a Palma di Montechiaro e Porto Empedocle, ad esercitare la sua influenza anche nelle zone di Bivona, Canicattì, Campobello di Licata, Camastra, Favara e Naro. Le attività investigative continuano ad evidenziare come l’articolazione agrigentina di Cosa nostra si caratterizzi sia per una spiccata capacità relazionale con le consorterie mafiose di altre province e regioni, sia per la forza con la quale riesce a rigenerarsi e a rimodularsi negli assetti.

Nella provincia sarebbe in atto una fase di riequilibrio interno dell’organizzazione mafiosa, provocato anche dalle ultime operazioni di contrasto, a seguito delle quali sono state tratte in arresto figure apicali di diverse famiglie mafiose. In particolare, le ultime risultanze investigative hanno documentato sia una rimodulazione organizzativa in corso nella zona nord della provincia, nell’entroterra montano – con la formazione di un nuovo mandamento mafioso che, per connotazione geografica e vastità territoriale, viene denominato mandamento “della Montagna” – sia frequenti e stretti rapporti tra esponenti mafiosi agrigentini e le famiglie di altre province siciliane.

Le composizioni e ricomposizioni di famiglie e mandamenti ed i progetti criminali di tipo affaristico sono influenzati anche dalle scarcerazioni di sodali che, dopo aver scontato la condanna a pene detentive di lunga durata, avrebbero interesse, nella maggioranza dei casi, a riconquistare le pregresse posizioni di potere, non di rado creando attriti all’interno del gruppo. In particolare si segnalano, nel periodo in esame, le scarcerazioni di soggetti, anche con ruoli apicali, appartenenti alle famiglie di Cattolica Eraclea, Favara e Siculiana.



Le attività illecite perseguite dai sodalizi criminali sono variegate. Al di là dei reati più ricorrenti, Cosa nostra agrigentina ha dimostrato, infatti, in più occasioni, di saper lucrare, oltre che sulle opere pubbliche, anche sulla filiera agroalimentare, sulle fonti energetiche alternative, sullo stato di emergenza ambientale e sui finanziamenti pubblici alle imprese, di sovente reinvestendo capitali illecitamente accumulati nelle strutture ricettive locali, attraverso prestanome e intermediari compiacenti. Cosa nostra condiziona, infatti, lo sviluppo della provincia continuando ad ingerire nel campo dell’imprenditoria e delle opere pubbliche.

Un’opera di infiltrazione realizzata attraverso il condizionamento delle gare di appalto, danneggiamenti e minacce di vario genere, reati contro la Pubblica Amministrazione, nonché garantendosi il controllo degli impianti per la produzione di calcestruzzo e, in genere, dei materiali necessari per l’edilizia. Tra le attività illecite poste in essere da Cosa nostra, le estorsioni si confermano, poi, fondamentali per la sussistenza dell’organizzazione stessa, in quanto in grado di garantire sia liquidità che il controllo del territorio.

Tra le modalità di realizzazione del racket, spesso accompagnato da danneggiamenti di varia natura, vi è l’imposizione di manodopera e/o di forniture di mezzi e materiali. Altrettanto significativi rimangono il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti. Nella zona orientale della provincia si segnalano ricorrenti ritrovamenti di piantagioni di cannabis. Anche il settore delle scommesse e del gioco continua a porsi, con sempre maggiore frequenza, come un terreno di investimento per le consorterie mafiose, che operano attraverso l’imposizione e la gestione di slot-machine all’interno di esercizi commerciali, spesso intestati a prestanome.

Quanto finora illustrato trova un’ennesima ed importante conferma nella citata attività investigativa denominata “Montagna”. In particolare, in data 22 gennaio 2018, i Carabinieri hanno arrestato 59 soggetti, a vario titolo indagati per associazione di tipo mafioso aggravata dall’uso delle armi, estorsione, detenzione e traffico di stupefacenti, scambio elettorale politico–mafioso, intestazione fittizia di beni, rapina aggravata dal metodo mafioso, truffa aggravata e concorso esterno in associazione di tipo mafioso.

L’indagine ha fatto luce sugli assetti organizzativi e gestionali dei mandamenti mafiosi di Sciacca e di Santa Elisabetta e sull’esistenza e la piena operatività di quello, neo costituito, c.d. “della Montagna”. Oltre ad individuare numerosi affiliati, sono stati delineati i ruoli dei vertici mandamentali e di 16 famiglie mafiose ad essi collegate.

Le attività hanno interessato anche le province di Palermo, Trapani, Caltanissetta, Catania, Ragusa ed Enna, evidenziando, tra l’altro, stretti rapporti di reciproca assistenza tra gli esponenti apicali delle diverse realtà mafiose territoriali, nonché con le ‘ndrine calabresi. Sono state, altresì, accertate svariate estorsioni (consumate e tentate) ai danni di 27 società appaltatrici di opere pubbliche di ingente valore, commissionate da varie amministrazioni pubbliche, comunali e regionali, eseguite nelle province di Agrigento, Palermo, Caltanissetta ed Enna.

In particolare, in due tentativi di taglieggiamento, nei confronti di amministratori di altrettante cooperative agrigentine impegnate nella gestione dei servizi di accoglienza per immigrati richiedenti asilo, veniva pretesa – con atti intimidatori di varia natura come l’incendio di macchine operatrici – l’assunzione di soggetti vicini all’associazione mafiosa, nonché una percentuale per ogni contributo pro capite ricevuto.

L’inchiesta ha, inoltre, documentato come il sindaco pro tempore di San Biagio Platani, in accordo con elementi apicali della locale famiglia mafiosa, nel corso delle elezioni amministrative del maggio 2014 avesse concordato le candidature e garantito future agevolazioni nella gestione degli appalti pubblici banditi dal Comune.

Tra i destinatari del provvedimento cautelare figura anche il coniuge di una candidata (poi eletta a consigliere comunale di Cammarata alle consultazioni amministrative del maggio 2015) cui è stato contestato il reato di scambio elettorale politico-mafioso, avendo chiesto ed ottenuto l’appoggio elettorale di un soggetto di vertice del locale sodalizio mafioso. È stata quindi data esecuzione al sequestro preventivo, per un valore di circa un milione di euro, di 7 tra società e imprese, tutte insistenti nella provincia agrigentina, attive nei settori dei lavori edili e del movimento terra, nonché delle scommesse e della distribuzione di slot-machine.

Agli amministratori è stata contestata anche l’intestazione fittizia di beni, strumentale all’associazione mafiosa. Il sodalizio aveva poi realizzato un cospicuo traffico di sostanze stupefacenti (cocaina, hashish e marijuana). In tale contesto, un soggetto ritenuto appartenente alla famiglia di Santa Elisabetta – con il ruolo di consigliere del capo del neo costituito mandamento “della Montagna” – destinatario del provvedimento cautelare in trattazione ed irreperibile durante l’esecuzione dell’operazione, è stato successivamente rintracciato in Belgio e consegnato alle Autorità italiane il 18 maggio 2018.

Successivamente, il 28 giugno 2018 (sulla base di ulteriori elementi di prova acquisiti204 e corroborati dalle dichiarazioni rese da un nuovo collaboratore di giustizia, arrestato a febbraio sempre nell’ambito dell’operazione “Montagna”) i Carabinieri hanno arrestato altri 10 soggetti, notificando la misura dell’obbligo di dimora a un elemento apicale della famiglia di Chiusa Sclafani (PA), già detenuto per altra causa. I predetti, ritenuti responsabili di associazione di tipo mafioso armata e di varie estorsioni, erano stati interessati a gennaio dalla predetta operazione “Montagna”, ma successivamente rimessi in libertà.

Con l’operazione “Opuntia”, che ha interessato la zona occidentale della provincia, l’8 febbraio 2018 i Carabinieri hanno, inoltre, arrestato per associazione mafiosa 7 persone, già sottoposte per lo stesso reato a fermo di indiziato di delitto in data 7 luglio 2016. L’indagine – che si è avvalsa anche delle dichiarazioni dell’ex capo della famiglia di Menfi, il quale, dopo essere stato fermato nel luglio 2016, ha iniziato a collaborare – ha fatto luce sugli assetti organizzativi e gestionali in seno alla predetta famiglia mafiosa, nel frattempo riorganizzatasi.

Tra l’altro, sono stati documentati tentativi di approvvigionamento di armi ed i collegamenti tra il capo del mandamento del versante occidentale belicino ed i vertici delle famiglie di Sciacca, Sambuca di Sicilia e Santa Margherita di Belice. Nel semestre in esame, sul fronte del contrasto ai patrimoni, la DIA e le locali Forze di polizia hanno proceduto, d’intesa con l’Autorità giudiziaria competente, al sequestro ovvero alla confisca di beni riconducibili ad esponenti di rilievo della realtà criminale agrigentina. In particolare, un primo provvedimento, eseguito dalla Sezione operativa DIA di Agrigento ha colpito, in data 5 giugno 2018, il patrimonio di un imprenditore (comprendente, tra l’altro, tre società di capitali e una quota societaria di un consorzio, numerosi fabbricati e terreni), parte del quale intestato fittiziamente a terze persone, per un valore di circa 3 milioni di euro.

L’imprenditore, originario di Favara, era asservito, con le sue attività imprenditoriali, agli interessi delle consorterie mafiose operanti nella provincia, con la precipua finalità dell’illecita acquisizione di appalti pubblici. Nel citato ambito operativo, la Guardia di finanza ha eseguito altri due sequestri. Il primo in data 19 gennaio 2018, nei confronti di un soggetto ritenuto al vertice della famiglia mafiosa di Cattolica Eraclea e del suo nucleo familiare, relativamente a terreni, fabbricati e risorse di conto e di deposito, per un valore complessivo di circa 750 mila euro.

Il secondo, il 7 marzo, di diverse aziende, beni e disponibilità finanziarie, per un valore stimato in oltre 120 milioni di euro, riconducibili a un noto imprenditore di Racalmuto (AG), il cui successo economico-imprenditoriale è stato ritenuto conseguente ai rapporti di connivenza intrattenuti, nell’arco di un ventennio, con esponenti di spicco di Cosa nostra agrigentina.

Anche nel periodo in esame, la Prefettura di Agrigento ha emesso provvedimenti interdittivi per infiltrazioni mafiose nei confronti di imprese operanti, ad esempio, nel settore agricolo ed in quello dell’estrazione e trasporto di inerti. I titolari, nella quasi totalità, sono risultati parenti di soggetti con precedenti specifici per “mafia”.

Alle predette società sono state negate autorizzazioni amministrative e concessioni per erogazioni di finanziamenti pubblici. Cosa nostra agrigentina è dotata di forte capacità di penetrazione e di condizionamento, oltre che nei settori commerciali e imprenditoriali, anche nell’attività politico–amministrativa. A tal proposito, oltre alle evidenze della già citata operazione “Montagna”, nel periodo in esame si segnala l’insediamento, il 29 marzo 2018, di una Commissione prefettizia di accesso presso il Comune di San Biagio Platani, per verificare l’eventuale sussistenza di forme di infiltrazione o di condizionamento da parte della criminalità organizzata, nonché il regolare funzionamento dei servizi.

È del mese successivo lo scioglimento, decretato con D.P.R. del 13 aprile 2018, dell’amministrazione comunale di Camastra, per la durata di diciotto mesi, per ingerenze mafiose in occasione delle ultime consultazioni amministrative.

L’accesso ispettivo era scaturito dall’operazione “Vultur”, eseguita dalla Polizia di Stato nel luglio del 2016, con la quale furono colpiti da ordinanza di custodia cautelare diversi soggetti con ruoli apicali in seno alla locale consorteria mafiosa. Questi erano stati indagati, a vario titolo, per associazione mafiosa, tentata estorsione e detenzione illegale di armi comuni da sparo e da guerra. In particolare, è stato contestato “…di aver partecipato attivamente, direttamente e tramite terze persone, alla campagna elettorale del comune di Camastra relativa alle elezioni amministrative del giugno 2013, fornendo supporto al candidato Sindaco”, poi effettivamente eletto, “…anche attraverso condotte intimidatorie nei confronti di esponenti politici di altri schieramenti”.

Gli esiti dell’accesso hanno, tra l’altro, messo in luce che nel 2014 l’ente aveva espletato una procedura negoziata per l’affidamento di lavori di manutenzione ordinaria delle strade comunali, invitando a partecipare alcune ditte all’epoca destinatarie di provvedimenti interdittivi ed omettendo di svolgere accertamenti antimafia, in contrasto con le cautele che sarebbe stato necessario adottare a tutela della legalità, specialmente in un ambito territoriale in cui è consolidata la presenza di sodalizi criminali. Nel panorama delinquenziale della provincia in esame, si registra, inoltre, la presenza di gruppi criminali stranieri, in particolare rumeni, tunisini, marocchini, egiziani ed ulteriori soggetti originari di altri Paesi nordafricani.

Con il passare degli anni, essi sono aumentati nel numero ed hanno allargato i loro margini operativi, anche in ragione di un’integrazione sempre maggiore nel tessuto socio-criminale in cui si radicano. Si riscontrano, infatti, rapporti della criminalità di origine straniera con la criminalità agrigentina di tipo comune.

La presenza stanziale di gruppi criminali di origine straniera sembra tollerata da Cosa nostra, perché s’inserisce in settori illeciti di basso profilo, come ad esempio lo sfruttamento del lavoro nero (specie nel settore della pesca e dell’agricoltura) e della prostituzione, il trasporto e lo spaccio di sostanze stupefacenti, i furti di materiale ferroso e quelli realizzati in abitazioni ed in terreni agricoli, nonché il contrabbando di sigarette.

Con riferimento a quest’ultimo ambito, si segnalano gli esiti dell’operazione “Caronte” 210, eseguita il 23 marzo 2018 dai Carabinieri, che ha interessato i comuni della zona occidentale della provincia di Agrigento e la parte orientale della provincia di Trapani. Con la stessa sono stati arrestati 3 siciliani ed un pregiudicato tunisino, facenti parte di un sodalizio criminale e ritenuti responsabili, a vario titolo, di violazione delle disposizioni contro l’immigrazione clandestina nonché di contrabbando di tabacchi lavorati esteri.

Ad un altro indagato è stato notificato l’obbligo di dimora. Gli sbarchi avvenivano sulle coste del trapanese. Sull’imbarcazione, per ogni traversata, venivano trasportate, oltre a circa 1.600 stecche di sigarette, dalle 12 alle 15 persone, ciascuna delle quali pagava dai 4 ai 5 mila euro. Per la provincia agrigentina va infine annotata la sussistenza di proiezioni in ambito transnazionale, con eventi direttamente connessi con il territorio della provincia.

Al riguardo, tradizionalmente le consorterie agrigentine della parte occidentale si sono proiettate verso i Paesi dell’America del nord e verso l’America latina (specie Venezuela e Brasile), mentre quelle della parte orientale verso i Paesi del nord Europa (soprattutto Germania e Belgio). A tal proposito, si segnala, anche nel periodo in esame, l’ennesimo omicidio, consumato a Favara l’8 marzo 2018, in danno di un soggetto, con precedenti per stupefacenti e destinatario di un avviso di garanzia nell’ambito dell’indagine su una sparatoria avvenuta sempre a Favara il 24 maggio del 2017.

Tale grave fatto di sangue potrebbe inquadrarsi nell’ambito di una serie di analoghi episodi delittuosi avvenuti a Favara e in Belgio negli ultimi anni. Tutto ciò confermerebbe l’esistenza di una faida agrigentina in corso, assai probabilmente maturata in ambienti riconducibili al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, sull’asse Belgio–Agrigento.

A tal proposito, si ricorda che in data: – 17 marzo 2017, ad Agrigento, i Carabinieri hanno arrestato per traffico internazionale di sostanze stupefacenti un soggetto agrigentino residente a Seraing (Belgio), in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dall’Autorità giudiziaria belga; – 4 ottobre 2017, è stato arrestato dalla Polizia belga, a Liegi (Belgio), un soggetto originario di Favara (AG) e residente in Belgio, il quale, dalle risultanze dell’indagine “Up & Down”, è risultato capo e promotore di un sodalizio criminale che, avvalendosi anche di soggetti residenti all’estero o nel nord Italia, riusciva a far giungere a Favara ingenti quantitativi di cocaina e di hashish.

Correlati alla predetta faida, o comunque ad un possibile generale e preoccupante riarmo delle consorterie criminali agrigentine, potrebbero essere anche i quantitativi di armi da fuoco, sia comuni che da guerra, e di munizionamento, oggetto di diversi sequestri e denunce, che ormai da tempo si registrano nella provincia. Si sottolinea inoltre che, come già riportato, un indagato – ritenuto appartenente alla famiglia di Santa Elisabetta, con il ruolo di consigliere del capo del neo costituito mandamento della Montagna – irreperibile durante l’esecuzione della citata ed omonima operazione “Montagna”, è stato successivamente rintracciato in Belgio e preso in consegna, in esecuzione di mandato di arresto europeo, dalle autorità italiane il 18 maggio 2018.

[titolo_paragrafo]Mafia a Caltanissetta[/titolo_paragrafo]

La provincia nissena, insieme a quella di Enna, risente più di altre della crisi economica e della carenza di posti di lavoro. Le peculiarità del territorio, a vocazione prevalentemente agricola, si riflettono sulle caratteristiche delle consorterie locali, che si connotano, ancora oggi, come un fenomeno a sostanziale caratterizzazione agro-pastorale. L’endemica e perdurante carenza di opportunità di lavoro ha favorito, in tale contesto, l’insediamento della criminalità organizzata, che si manifesta in tutti gli aspetti legati al controllo della manodopera, al monopolio di settori imprenditoriali ed al reinvestimento di capitali illeciti.

Anche l’abitato di Gela, il comune più popoloso della provincia, pur possedendo le potenzialità per diventarne il cuore economico, risulta invece un serbatoio di manovalanza criminale composta da giovani, anche minorenni, attratti dall’illusione di facili guadagni. Non a caso, dal territorio gelese promana un’ulteriore consorteria mafiosa, la stidda, che, sebbene disgiunta da Cosa nostra, ne riproduce modelli organizzativi e metodologie criminali. Il ristretto numero di omicidi registrati nel semestre e riconducibili a dinamiche mafiose si inscrive nella generale tendenza di limitare al massimo l’attenzione investigativa e quella dell’opinione pubblica. L’interesse delle consorterie è rivolto, invece, all’infiltrazione silente nei settori produttivi, al reimpiego dei guadagni illeciti ed all’accaparramento di fondi e risorse assegnati dalle pubbliche amministrazioni, i cui apparati rappresentano l’obiettivo irrinunciabile nel quale tentare di incunearsi.

Per quanto concerne l’architettura delle consorterie, diversamente da quanto si registra per le province della Sicilia occidentale, ove i sodalizi sono territorialmente caratterizzati da confini ben definiti, in provincia di Caltanissetta le famiglie e le altre consorterie tendono ad assumere contorni piuttosto fluidi e ad ampliare lo spazio originario, espandendo la propria influenza, ad esempio, nella vicina provincia di Enna. Resta tuttavia invariata la suddivisione di massima sui quattro storici mandamenti: Vallelunga Pratameno e Mussomeli, (quest’ultimo anche detto del Vallone) nella parte settentrionale; Gela e Riesi nell’area più meridionale: I due mandamenti che insistono nella parte settentrionale risentono della consolidata influenza della famiglia MADONIA e, sebbene colpiti dall’azione investigativa di contrasto, sembrano comunque pronti ad operare ristrutturazioni e riorganizzazioni dei propri assetti.



Da segnalare come l’anziano capo dei MADONIA, sebbene si trovi ristretto in regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis dell’Ordinamento penitenziario, goda ancora “di rispetto” nell’ambiente criminale, mantenendo il proprio ruolo di vertice. Le figure dei “capi” succedutisi nel tempo sarebbero, in qualche modo, una sua espressione e per questo investiti della “reggenza” del sodalizio con l’affiancamento di anziani sodali.

Proprio in ragione della citata origine agro-pastorale della mafia nissena, le famiglie più importanti sono dislocate nella parte periferica del territorio provinciale, tanto che la famiglia del capoluogo provinciale è incardinata e dipende dal mandamento di Vallelunga, un paese di poco più di 3.000 abitanti, fortemente decentrato, nel cuore della Sicilia agricola. Gli altri due mandamenti, nella parte meridionale della provincia, fanno capo rispettivamente a Riesi (anch’esso centro abitato decentrato rispetto al capoluogo e caratterizzato da un’economia arretrata, causa, nel tempo, di un’intensa emigrazione della popolazione) ed a Gela, che merita una descrizione a parte per la tipicità delle organizzazioni mafiose ivi insistenti. La città di Gela, infatti, è il centro che ha evidenziato le maggiori potenzialità di sviluppo, anche industriale, della provincia, tanto che avrebbe potuto rappresentare un punto di riferimento e di traino produttivo per tutto il territorio.

Il tessuto economico e sociale appare, tuttavia, pesantemente permeato e dominato da più tipi di organizzazioni mafiose, le quali si riferiscono sia a Cosa nostra, sia alla più recente, ma non per questo meno aggressiva e pericolosa organizzazione denominata Stidda, in origine composta da fuoriusciti delle più consolidate consorterie e ad esse contrapposta.

Attualmente la Stidda ha assunto una posizione di non belligeranza rispetto alle organizzazioni criminali storiche ed è portatrice di un proprio ruolo nel panorama delinquenziale siciliano. In tale scenario, nell’ambito di Cosa nostra, la famiglia RINZIVILLO risulta predominante rispetto agli EMMANUELLO, fortemente colpiti da alcune attività d’indagine: le due famiglie, un tempo in contrasto, non risultano oggi in contrapposizione, preferendo anzi operare secondo veri e propri accordi di cooperazione.

Lo stesso atteggiamento si riscontra nelle relazioni fra le consorterie di Cosa nostra e quelle stiddare, nell’ambito delle quali, come già accennato, viene a realizzarsi un rapporto di sostanziale non belligeranza, finalizzato alla più efficiente spartizione dei proventi illeciti. Non da ultimo, alla già articolata descrizione della composizione criminale gelese, va aggiunta la presenza di un terzo gruppo, composto da giovani malavitosi, funzionante come una sorta di manovalanza sia per Cosa nostra che per la stidda e delegato, all’occorrenza, al compimento di azioni delittuose specifiche.

Questo variegato panorama criminale rende, nella zona di Gela, particolarmente evidente l’attività spesso cruenta delle consorterie, che si concretizza nel numero elevato di danneggiamenti, anche mediante incendio, verosimilmente riconducibili a pratiche estorsive. Con riferimento alle principali manifestazioni economico-criminali si conferma, nel semestre, la tendenza a limitare, per quanto possibile, le azioni violente, prediligendo i reati che consentono un immediato accumulo di denaro, quali lo spaccio di stupefacenti, le estorsioni, l’usura e l’acquisizione degli appalti.

A fronte del limitato numero di omicidi, per i quali non sempre è evidente il risvolto mafioso, la condizione di assoggettamento ed omertà, tradizionalmente diffusa nei territori sottoposti alla pressione mafiosa, impedisce l’emergere delle dimensioni effettive del reato di usura, in quanto raramente le vittime denunciano tale reato, così come le estorsioni loro imposte. Per quanto riguarda gli stupefacenti, le organizzazioni mafiose mantengono il controllo del settore non solo con l’approvvigionamento e lo spaccio ma anche, negli ultimi anni, con la coltivazione, avvalendosi di soggetti vicini alle consorterie.

In alcuni casi è stato accertato il ricorso a canali di rifornimento provenienti da altre aree territoriali ed alla concomitante commissione di reati in materia di armi. Se lo spaccio di droga è necessario per ottenere una pronta liquidità, la pratica delle estorsioni resta uno dei canali preferenziali dei sodalizi mafiosi per esercitare la propria pressione sulla popolazione, tenendola così assoggettata, e per incamerare immediatamente, anche in questo caso, forti somme di denaro. Non di rado, l’attività estorsiva risulta prodromica all’acquisizione di attività economiche e produttive, da intestare a persone terze, come è stato accertato per alcuni soggetti riconducibili alla famiglia di Riesi. Con riferimento all’infiltrazione delle consorterie negli apparati amministrativi degli Enti locali, si segnala lo scioglimento, nel mese di aprile, degli organi elettivi del Comune di Bompensiere (CL).

Gli accertamenti sono stati svolti da parte di una Commissione interforze – alla quale ha preso parte anche un esponente della locale articolazione DIA – nominata nel dicembre 2017 dal Prefetto di Caltanissetta e che ha poi presentato le risultanze delle verifiche effettuate nel successivo marzo 2018. Tra queste, appaiono significative quelle relative al fatto che “…esponenti della compagine politica e dell’apparato burocratico del comune, alcuni dei quali con pregiudizi di natura penale, annoverano frequentazioni ovvero relazioni di parentela sia con componenti della famiglia malavitosa riconducibile al primo cittadino che con soggetti appartenenti a consorterie criminali di altri territori della provincia [….]

Gli accertamenti ispettivi hanno altresì evidenziato una fitta rete di collegamenti tra funzionari in servizio presso l’ufficio tecnico comunale, amministratori locali e imprenditori legati alla locale criminalità organizzata che si sono aggiudicati, ripetutamente, lavori pubblici di consistente valore economico”.

Altre pervicaci forme di inquinamento del tessuto istituzionale provinciale sono emerse in un’altra attività investigativa avviata, fin dal 2014, in seguito alla collaborazione di un esponente di spicco di Cosa nostra, già reggente della famiglia di Serradifalco (CL). L’indagine, conclusa nel maggio 2018, ha coinvolto il presidente pro-tempore della Camera di Commercio di Caltanissetta e di RetImpresa Servizi srl di Confindustria il quale, in forza della vicinanza ad un noto esponente di spicco della citata famiglia di Serradifalco, era riuscito, dall’iniziale posizione di piccolo imprenditore locale, in successione di tempo: dapprima ad ottenere posizioni di assoluto rilievo all’interno di Assindustria Caltanissetta e del Consorzio Area Sviluppo Industriale e, successivamente, ad organizzare una rete di relazioni, estesa anche a funzionari ed ufficiali delle Forze dell’ordine con ruoli di rilievo, dai quali, in cambio di favori personali e di carriera, riceveva informazioni utili ad estendere la propria capacità di penetrazione all’interno degli Enti pubblici e delle Associazioni di categoria, nonché all’occorrenza spendibili per gli interessi della citata consorteria criminale. Inoltre l’attività del Gruppo provinciale interforze presso la Prefettura di Caltanissetta, al quale partecipa anche la DIA, nell’esaminare le posizioni delle società per la verifica di sussistenza dei requisiti antimafia, ovvero nel valutare gli esiti di accessi ai cantieri, ha prodotto 2 provvedimenti interdittivi antimafia e 3 dinieghi per l’iscrizione alle c.d. white list.

Nel semestre in esame la DIA di Caltanissetta ha proceduto al sequestro e alla confisca di beni riconducibili ad esponenti di rilievo della realtà criminale gelese. In particolare, un primo provvedimento ha attinto persone legate ai RINZIVILLO, ritenute di incondizionata fiducia. L’esecuzione del provvedimento, delegata dalla locale DDA, trae origine dalla disamina da parte della DIA di Caltanissetta di due operazioni sospette e dalla successiva delega di indagine disposta dalla citata Procura distrettuale.

Anche un altro personaggio molto vicino alla famiglia RINZIVILLO e alla stidda, è stato colpito da un sequestro patrimoniale della DIA. Le investigazioni hanno dimostrato l’intestazione fittizia di beni, aggravata dall’aver favorito la predetta organizzazione mafiosa. Il primo provvedimento è stato successivamente integrato con il sequestro di un gregge di ovini, composto da più di 1.400 capi.

Un provvedimento di confisca ha, invece, colpito un soggetto inserito nella famiglia mafiosa degli EMMANUELLO, al quale è stata anche applicata la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. Giova evidenziare che lo stesso, completamente asservito agli ordini dei capimafia e promotore di attività illecite legate alla gestione di commesse lavorative all’interno di grandi realtà gelesi, è stato successivamente raggiunto da un ordine di carcerazione.

Come in precedenza accennato, anche un soggetto gravitante nell’orbita mafiosa di Cosa nostra operante nel cosiddetto “Vallone” – area settentrionale della provincia dominata dalla famiglia di Vallelunga, da sempre facente capo ai MADONIA – è stato colpito da una confisca di beni, tra i quali due imprese per servizi funerari, in seguito ad una operazione già coordinata dalla DDA di Caltanissetta. Infine, è stato confiscato un fabbricato (non accatastato) sito in Gela, appartenente ad un personaggio legato da interessi affaristici con la famiglia RINZIVILLO, già tratto in arresto nel gennaio 2009 insieme ad altre 32 persone, tutte riconducibili al predetto sodalizio.

[titolo_paragrafo]Mafia ad Enna[/titolo_paragrafo]



Al pari della provincia di Caltanissetta, anche il territorio di Enna vive, da molto tempo, una condizione socioeconomica depressa, con un basso tenore di vita che favorisce l’assoggettamento della popolazione alle logiche mafiose, espressione sia delle consorterie locali che delle province limitrofe. Il territorio ennese è da sempre, infatti, oggetto di attenzione e di colonizzazione da parte dei sodalizi nisseni e, soprattutto, catanesi, con questi ultimi che avrebbero stretto alleanze con malavitosi locali.

La zona di Catenanuova (EN), ad esempio, risulta essere sotto l’influenza del clan catanese CAPPELLO, mentre il circondario di Troina (EN) vede la presenza della famiglia dei SANTAPAOLA; significativo sarebbe anche il ruolo svolto da un boss catanese che, forte dell’appoggio di un leader della famiglia LA ROCCA, avrebbe assunto il ruolo di reggente di Cosa nostra ennese. Facendo riferimento all’architettura delle consorterie, le cinque famiglie di Cosa nostra insediate nella provincia di Enna insistono sui territori di Enna, Barrafranca, Pietraperzia, Villarosa e Calascibetta: ad esse si relazionano e si collegano altri gruppi operanti nei comuni di Piazza Armerina, Aidone, Valguarnera, Agira, Leonforte, Centuripe, Regalbuto, Troina, Catenanuova.

La criminalità organizzata, nonostante il tendenziale stato di non emersione – tanto che risultano sporadici gli episodi di violenza contro le persone – conserva tuttavia la propria capacità offensiva, come confermato dalla quantità di munizionamento e di armi ritrovate nel semestre in esame nel corso delle attività di polizia. Anche in provincia di Enna, i gruppi privilegiano lo spaccio di stupefacenti, al quale viene dato forte impulso anche ricorrendo a canali di rifornimento esterni alla provincia ed a personaggi non necessariamente riconducibili ai sodalizi mafiosi presenti sul territorio.

Altra fattispecie criminale diffusa è l’estorsione, commessa sia secondo il “metodo diretto”, pretendendo dagli imprenditori locali una sorta di “messa a posto” per evitare danni ulteriori, sia imponendo forniture di beni e servizi. Strettamente collegato alle estorsioni è il reato di usura, difficilmente denunciato dalle vittime, di cui danno comunque atto diverse attività investigative concluse nel semestre.

Significativo anche il fenomeno dei danneggiamenti di immobili ed altri beni, con i quali le consorterie intendono manifestare la loro pressione sul territorio: nel primo semestre del 2018 sono stati segnalati episodi di danneggiamento, di cui 23 mediante incendio; questo tipo di danneggiamento è stato, in particolare, perpetrato a danno di agricoltori. In una provincia a vocazione prettamente agricola, infatti, negli ultimi anni si è osservato il fenomeno dell’acquisizione, in modo più o meno forzato, dei terreni, sia produttivi che temporaneamente incolti, al fine di poter accedere ai finanziamenti per lo sviluppo delle aree rurali.

Si comprende, quindi, l’interesse della criminalità organizzata per i beni fondiari e per gli incentivi finanziari correlati all’imprenditoria agricola e zootecnica. Quanto sopra assume ancor più significato, alla luce del fatto che il settore dell’edilizia appare, negli ultimi anni, fortemente ridimensionato, con un sensibile calo degli appalti per opere pubbliche e la contrazione dei finanziamenti ad esse associati. Nell’ambito della prevenzione degli appalti pubblici dal pericolo di infiltrazione mafiosa, l’attività dei Gruppi interforze, costituiti presso la Prefettura, ha prodotto 8 provvedimenti interdittivi a carico di altrettante società, per la maggior parte operanti nel settore agricolo, con sede ad Enna e provincia.

[titolo_paragrafo]Mafia a Catania[/titolo_paragrafo]

La presenza di Cosa nostra nella Sicilia orientale è da sempre caratterizzata dall’assenza di strutture rigide e dalla convivenza di diverse organizzazioni. Tali sodalizi, se da una parte si presentano articolati secondo gli schemi classici delle consorterie mafiose, dall’altra sono interessati da una certa fluidità dei propri componenti, i quali, in diversi casi, sono transitati in altri sodalizi per mutate alleanze o per il raggiungimento di specifici obiettivi personali. Denominatore comune delle varie espressioni mafiose resta l’adozione di comportamenti criminali che non destino allarme sociale, con la conseguente reazione e pressione delle Forze dell’ordine.



È anche consueto, per la commissione di reati di tipo predatorio e per la gestione di piccole piazze di spaccio, l’utilizzo, da parte delle organizzazioni egemoni, di gruppi composti da soggetti di minore spessore criminale. I sodalizi criminali stranieri (nordafricani, nigeriani, albanesi, romeni ed anche cinesi) operano sul territorio sia stringendo alleanze “di scopo” con la mafia siciliana, sia pagando un sorta di “tassa” ai sodalizi egemoni. Non va sottovalutata, infine, anche per le consorterie mafiose dell’area, la propensione ad espandere la propria influenza in tutti quei territori, nazionali ed internazionali, giudicati di interesse.



Per quanto attiene all’architettura delle consorterie, permane stabile il livello di vertice, identificabile in Cosa nostra catanese, consorteria strutturata su tre famiglie principali:

Altri sodalizi non strettamente compresi nell’ambito delle famiglie di Cosa nostra, ma dotati di simili organizzazione e modalità operative, sono quelli del clan CAPPELLO – BONACCORSI, il cui capo, sebbene detenuto, ricopre ancora una posizione di prestigio negli ambienti criminali; è, inoltre, opportuno evidenziare che un importante esponente del sodalizio è oggi un collaboratore di giustizia. Il clan, che risulta capillarmente diffuso nei quartieri del capoluogo etneo, con ramificazioni anche nelle province di Siracusa e di Ragusa, nonché in alcuni comuni dell’ennese, è stato colpito recentemente da diverse misure di prevenzione patrimoniali, che ne hanno minato il potere economico.

Il clan CURSOTI, presente nei quartieri catanesi di Librino, Corso Indipendenza e San Leone, è attivo nel traffico di stupefacenti, finanziato con i proventi di estorsioni e rapine. Il sodalizio risulta diviso nella frangia “catanese” il cui referente, detenuto, sarebbe transitato nella famiglia MAZZEI, e la frangia “milanese”, ove la consorteria si è insediata negli anni ’70-‘80’, per essere poi smantellata in seguito a dichiarazioni di collaboratori di giustizia.

Attualmente, quest’ultimo gruppo, ritornato nel luoghi d’origine, risulta collegato al clan CAPPELLO. Il clan dei LAUDANI, alleato dei SANTAPAOLA, di recente pesantemente colpito da operazioni di polizia, manifesta una forte capacità di ricostituzione e di estendere propaggini anche in territorio lombardo. Rilevante è, con riferimento a tale consorteria, la cattura di un pregiudicato, sfuggito all’esecuzione di misura cautelare nell’ambito di una precedente operazione. L’arresto rappresenta un importante risultato del progetto “Eurosearch”, avviato da Europol e dalla Polizia di Stato e finalizzato alla localizzazione e cattura di latitanti mafiosi destinatari di mandato di arresto europeo.

Anche i LAUDANI sono risultati fortemente attivi nell’infiltrazione dei meccanismi elettorali comunali270. Altre consorterie catanesi si presentano fortemente ridimensionate da attività investigative, come ad esempio i PILLERA, o assorbite da compagini meglio organizzate, come nel caso degli SCIUTO, transitati nel clan CAPPELLO, ed i PIACENTI, che operano nel quartiere cittadino di Picanello e che devono comunque rapportarsi con l’egemonia della famiglia SANTAPAOLA.

Nell’ambito delle principali manifestazioni criminali, il traffico degli stupefacenti rappresenta sempre uno dei settori più redditizi delle economie illegali, che sono quindi protese a promuovere e realizzare, a vario livello, collaborazioni tra organizzazioni criminali catanesi, ‘ndrine calabresi, clan campani, pugliesi e stranieri, soprattutto per l’approvvigionamento dalle aree di produzione e transito.

A fattor comune, nel corso delle attività investigative più significative condotte nel semestre, è emerso come alcune organizzazioni, dopo anni di contrapposizione, avessero raggiunto intese proprio per la suddivisione dei lauti proventi derivati dalle varie attività illecite. Se da un lato alcune operazioni hanno disvelato frizioni tra i gruppi criminali per la gestione delle piazze di spaccio, dall’altro sono emersi accordi per la vendita al dettaglio di stupefacenti su piazze contigue, rifornite l’una dalla famiglia SANTAPAOLA-ERCOLANO, l’altra dal clan CAPPELLO.

A ciò si aggiunga come le operazioni di pattugliamento effettuate anche in acque internazionali, tra le coste siciliane, quelle nordafricane e l’isola di Malta, hanno permesso di effettuare un imponente sequestro di 10 tonnellate di hashish, confermando, così, l’importanza del Nord Africa come punto di partenza di una parte significativa dello stupefacente destinato ai mercati europei. Le estorsioni, spesso collegate all’usura, permettono alle consorterie mafiose di ribadire la propria presenza sul territorio.

Tali condotte, oltre ad essere particolarmente redditizie, consentono ai sodalizi di affermare la propria caratura criminale e di infiltrarsi nel tessuto economico e sociale. In qualche caso le pressioni estorsive, strettamente connesse con il fenomeno usurario, si sono manifestate con particolare aggressività, fino ad arrivare alla minaccia di sequestro di un congiunto della vittima, qualora non fossero state soddisfatte le pretese degli estorsori.

Altro settore di forte interesse dei sodalizi è il controllo dei mercati ortofrutticoli e la rete di produzione e distribuzione delle carni, tanto che, come hanno appurato dalle indagini, gruppi storicamente contrapposti sono risultati ora alleati per la spartizione dei proventi estorsivi. È necessario, inoltre, aggiungere che l’illecita pressione sugli esercenti e sulle imprese si esercita anche sotto forma di imposizione di manodopera o di materiali di qualità scadente, peraltro forniti alle imprese appaltanti a condizioni svantaggiose rispetto a quelle praticate sul libero mercato. Sono stati, infine, registrati, in provincia, rinvenimenti di armi che ne fanno supporre la disponibilità da parte delle consorterie.

Comportamenti ostili ed in qualche caso prevaricatori nei confronti di esponenti delle pubbliche amministrazioni, di giornalisti, di funzionari che ricoprono cariche pubbliche o di professionisti, anche se non sempre direttamente riconducibili alla criminalità organizzata, si sono verificati anche nel semestre in esame: questa pratica aggressiva e, in qualche caso, diffamatoria, si riversa generalmente su persone che potrebbero in qualche modo limitare o danneggiare gli interessi illeciti dei sodalizi.

I pubblici funzionari sono visti, infatti, sia a livello politico che tecnico-gestionale, come un importante anello da “agganciare” per l’accaparramento di finanziamenti pubblici, commesse, appalti e tutti gli altri vantaggi connessi con l’erogazione di altre utilità di vario tipo. In alcuni casi, tuttavia, sono stati gli stessi amministratori e politici a ricercare il contatto con gli ambienti mafiosi, per concordare il conferimento di appalti, anche previa indicazione di utili informazioni, la stipula di aggiudicazioni o l’assegnazione di incarichi al fine di riceverne un vantaggio, per lo più economico o in termini di altri benefici per sé e per i propri parenti.

L’atteggiamento di “disponibilità” di alcuni pubblici funzionari e dirigenti, inclini a favorire e ad essere coinvolti in episodi di corruzione, è emerso, ad esempio, nel semestre in esame, nella aggiudicazione del servizio di gestione (raccolta, spazzamento, trasporto e smaltimento) dei rifiuti. Grazie all’indagine “Garbage affair”, conclusa dalla DIA nel mese di marzo, è stato accertato come imprenditori del settore e dirigenti del Comune etneo avessero messo in atto sia una turbativa d’asta, che episodi di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio.

Le risultanze investigative rivelano, anche nel semestre, come sia prassi ormai consolidata il mercimonio gravitante intorno alle consultazioni elettorali.

Il controllo del voto è, infatti, un obiettivo di primario interesse per le consorterie criminali, costantemente alla ricerca di accordi di scambio politico-mafioso. La conferma giunge dalle risultanze dell’indagine “Agon” della DIA di Catania che ha portato alla luce i meccanismi di acquisizione dei consensi elettorali per le elezioni regionali del 2017, nei quali giocavano un ruolo attivo esponenti dei clan etnei LAUDANI e CAPPELLO, che si rapportavano anche con personaggi legati alla famiglia SANTAPAOLA.

In sostanza, le consorterie avrebbero pienamente appoggiato l’elezione di un sindaco, che aveva poi favorito i propri sostenitori, ad esempio per l’affidamento dei servizi di raccolta dei rifiuti solidi urbani e per il procacciamento di voti nelle elezioni regionali.

Infine, sebbene in un contesto posto al di fuori degli ambienti mafiosi, un’altra operazione condotta nei confronti di dirigenti di uffici pubblici etnei, professionisti ed un ex deputato regionale, ha rivelato come la funzione pubblica, asservita agli interessi di pochi privati, abbia agevolato il bacino di assunzioni clientelari, il lavoro nero e l’apporto elettorale a politici locali, il tutto finalizzato al mantenimento di prestigiosi incarichi dirigenziali.

La costante attenzione delle Forze di polizia sulla gestione degli apparati amministrativi, ha contribuito al monitoraggio degli enti locali anche da parte delle Prefetture, che ne hanno disposto l’accesso per le necessarie verifiche. Nel semestre in esame sono 6 i Comuni siciliani che risultano sciolti per infiltrazione o condizionamento e tuttora oggetto di commissariamento tra i quali, in provincia di Catania, Trecastagni286 (CT). Per lo stesso, a partire dal maggio 2018, è iniziata, per la durata di 18 mesi, la gestione da parte della prevista Commissione straordinaria, che eserciterà tutte le attribuzioni spettanti al consiglio comunale, alla giunta ed al sindaco, con l’obiettivo di assicurare il risanamento dell’ente locale.

Nel semestre in esame, nell’ambito del controllo delle imprese interessate alla realizzazione di appalti pubblici, 2 sono state interdette ed è stato eseguito l’accesso a 3 cantieri di società collegate al settore edile. Sul piano del contrasto ai patrimoni, la DIA di Catania ha proceduto, d’intesa e previa disposizione dell’Autorità giudiziaria competente, al sequestro e alla confisca di importanti patrimoni riconducibili ad esponenti di rilievo della locale realtà criminale.

Al riguardo, in particolare, nel giugno 2018, un soggetto vicino al clan catanese dei “CAPPELLO-BONACCORSI” è stato colpito dal sequestro di abitazioni, autoveicoli e di una ditta individuale; nel precedente mese di aprile 2018, ad un altro pluripregiudicato, vicino allo stesso “cartello”, era stato sequestrato un patrimonio costituito da immobili, automezzi e somme di denaro.

Anche un provvedimento di confisca del mese di marzo, ha riguardato, in provincia di Catania, un soggetto contiguo al clan CAPPELLO, il cui patrimonio era stato sottoposto a sequestro nel 2016.

[titolo_paragrafo]Mafia a Siracusa[/titolo_paragrafo]

Così come in tutta la Sicilia orientale, il territorio siracusano risente della pressione delle consorterie catanesi, alle quali fanno riferimento i sodalizi locali, che operano mantenendo una sorta di pax mafiosa.



L’azione delle organizzazioni criminali siracusane, quindi, per quanto ridimensionata dalle recenti attività di contrasto, continua a trovare linfa vitale in questa strategia di “tacita tregua”, e nelle salde coalizioni con le consorterie etnee. Nel contempo, emergono diversi eventi destabilizzanti la sicurezza pubblica: si tratta, in particolare, delle intimidazioni dirette ad operatori economici che, nel semestre in esame, si sono manifestate con una certa recrudescenza, con l’obiettivo di far avvertire alla popolazione la pressione del controllo criminale del territorio. Per quanto attiene alla mappatura delle consorterie, nel territorio urbano di Siracusa insistono due organizzazioni criminali denominate, rispettivamente, BOTTARO – ATTANASIO e SANTA PANAGIA, quest’ultima frangia “cittadina” del più poderoso e ramificato gruppo NARDO-APARO-TRIGILA, a sua volta legato a Cosa nostra catanese.

Nello specifico, il clan BOTTARO-ATTANASIO esercita il proprio potere nell’agglomerato urbano siracusano, risultando particolarmente attivo nelle estorsioni e nello spaccio di stupefacenti, grazie anche ai tradizionali legami con il clan catanese CAPPELLO. Il clan SANTA PANAGIA, attivo nella stessa area cittadina ed il cui leader storico è attualmente detenuto, vanta, invece – come accennato – forti relazioni con la famiglia etnea dei SANTAPAOLA, attraverso i collegamenti con il gruppo di famiglie NARDO-APARO-TRIGILA, presente nel territorio provinciale, anch’esso saldamente legato ai citati SANTAPAOLA-ERCOLANO.

Nei territori della frazione di Cassibile e del comune di Pachino (SR) operano, rispettivamente, il clan LINGUANTI (rappresentante, in quella fascia di territorio, una filiazione dei TRIGILA) ed il clan GIULIANO, dedito, ancorché non in via esclusiva, al traffico di stupefacenti, saldamente legato al clan CAPPELLO di Catania. Con riferimento alle principali manifestazioni economico-criminali, il traffico e lo spaccio di stupefacenti continuano a qualificarsi, insieme alle estorsioni, quali canali privilegiati di sostentamento economico dei sodalizi.

Le consorterie che insistono nella città di Siracusa e nei dintorni sfruttano la fascia costiera jonica come canale di approvvigionamento degli stupefacenti, specie di hashish e marijuana dall’area balcanica. Allo stesso modo, si confermano le tradizionali modalità di traporto ed occultamento della droga, ad esempio a bordo di autovetture, con il coinvolgimento anche di donne. Tra le indagini condotte nello specifico settore, nell’ambito del semestre in riferimento, alcune sono di diretta riconducibilità ad organizzazioni mafiose.

In un caso, in particolare, è emersa l’adozione del cosiddetto modello Scampia, ovvero con piazze di spaccio organizzate per turni e dotate di “vedette”, piazzate per monitorare gli spostamenti degli investigatori. Anche in un’altra indagine è emerso come gli indagati conducevano servizi di osservazione dell’attività delle Forze dell’ordine. Per quanto concerne le estorsioni, spesso direttamente collegate all’usura, anche per la città di Siracusa si ritiene possa valere il principio in base al quale il fenomeno rappresenti, oltre ad una redditizia forma delittuosa, anche una modalità di controllo economico e sociale del territorio.

Nei casi più estremi questa forma di ingerenza porta all’acquisizione delle aziende e alla sostituzione dei proprietari con soggetti prestanome. In tale contesto si segnala, nel semestre in argomento, l’arresto di un affiliato ai NARDO, conseguente ad una condanna per reati associativi con finalità estorsiva, aggravati del metodo mafioso.

Anche nel periodo in esame sono stati registrati episodi intimidatori nei confronti di pubblici funzionari, o di figure impegnate in attività sociali. Tali episodi, allo stato non direttamente riconducibili alla criminalità organizzata, hanno comunque destato allarme sociale. In tal senso, si inquadra anche l’esito dell’attività investigativa condotta in relazione ad un attentato dinamitardo commesso nel precedente semestre ai danni di un curatore fallimentare.

Sempre nel semestre sono stati individuati gli autori degli atti di intimidazione subiti dal primo cittadino di Siracusa e da un assessore comunale nel novembre dello scorso anno. Nell’ambito dell’attività di indagine è stato riscontrato come i destinatari della misura cautelare si siano resi responsabili anche di alcuni episodi di minaccia ed intimidazione verbale compiuti nei confronti dello stesso primo cittadino e dell’assessore pro-tempore alla mobilità, ai trasporti e alla polizia municipale, con l’intento di far sospendere l’applicazione del regolamento di polizia urbana. In ordine al settore politico-amministrativo, anche nella provincia di Siracusa sono emersi episodi di corruzione, fenomeno che danneggia gravemente la funzionalità degli Enti locali.

Si fa, in particolare, riferimento alle risultanze di un’indagine, conclusa nel mese di aprile 2018 e riferita alla raccolta e traffico illegale di rifiuti, nella quale sono emersi casi di corruzione che hanno coinvolto anche pubblici funzionari del Comune di Melilli (SR), professionisti ed imprenditori del settore dei rifiuti. Sul piano del condizionamento delle competizioni elettorali, vale la pena di richiamare l’arresto di un esponente politico regionale per il reato di scambio elettorale politico mafioso, in concorso con due soggetti affiliati alla famiglia CRAPULA, egemone nell’hinterland avolese.

L’indagine ha permesso di documentare come, in occasione delle recenti elezioni regionali, l’esponente politico avesse accettato la promessa di due soggetti i quali, in cambio dell’erogazione di denaro e di altra utilità, procuravano voti utili alla sua rielezione, avvalendosi della forza intimidatrice e della condizione di assoggettamento data dalla loro appartenenza alla predetta famiglia mafiosa.

Da rilevare, infine, sul piano del contrasto al potere economico delle consorterie mafiose che, nel semestre, è stata confiscato, all’esito di un procedimento di prevenzione patrimoniale avviato dalla DIA, un patrimonio di 9 milioni di euro riconducibile ad un soggetto condannato per concorso esterno in associazione di tipo mafioso e considerato prestanome della consorteria APARO-NARDO-TRIGILA.

[titolo_paragrafo]Mafia a Ragusa[/titolo_paragrafo]

Il tessuto criminale della provincia di Ragusa resta connotato dalla coesistenza di organizzazioni riconducibili sia a Cosa nostra che alla stidda gelese. Per quanto concerne il semestre, si conferma l’attenzione delle locali organizzazioni criminali verso il settore dell’agroalimentare, anche in ragione dell’importanza che riveste, sul piano nazionale, il mercato ortofrutticolo di Vittoria (RG). Oltre alle tradizionali attività illecite, la criminalità iblea è attiva anche nei settori dei centri scommesse e dei “compro oro”, proliferati in maniera esponenziale e potenziali canali di riciclaggio.

Gli interessi nel settore degli stupefacenti rimangono comunque preminenti. Gli ingenti quantitativi sequestrati testimoniano, da un lato, la diffusione del fenomeno, dall’altro il coinvolgimento di gruppi locali, anche multietnici (con soggetti di nazionalità romena ed albanese), apparentemente non inseriti in più ampi contesti organizzati. Da segnalare anche il fenomeno delle associazioni criminali transnazionali finalizzate al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Tali consorterie, composte da soggetti stranieri (etiopi, egiziani, somali, siriani, eritrei, libici, etc.) e con una forte caratterizzazione etnica, risultano suddivise in “cellule”, operanti sia nel territorio italiano che in altri Stati (africani, mediorientali ed europei); stabilmente connesse tra di loro, mantengono tuttavia una forte autonomia operativa nei rispettivi ambiti territoriali.

Scendendo nel dettaglio dell’architettura delle consorterie, l’accennata coesistenza, e la convivenza, di organizzazioni criminali riconducibili sia a Cosa nostra che alla stidda gelese, costituisce il tratto caratteristico della provincia iblea: Il gruppo stiddaro di maggior rilievo è quello dei DOMINANTE – CARBONARO, il cui capo storico, attualmente detenuto309, risulta essere stato sostituito, nella direzione della consorteria, da altri personaggi comunque dotati di notevole spessore criminale.



Il sodalizio è stato, comunque, recentemente interessato dalle condanne definitive emesse in base alle risultanze dell’operazione “Agnellino Ter”, laddove sono state comminate, a 7 soggetti, pene comprese fra i 14 e gli 8 anni, per reati in tema di traffico di stupefacenti. Significativo è risultato anche il sequestro, eseguito nel semestre, che ha colpito il patrimonio di un esponente di spicco del citato clan DOMINANTE-CARBONARO, per un valore di circa 45 milioni di euro.

Alla predetta organizzazione criminale si è da sempre contrapposta la famiglia PISCOPO di Vittoria, legata all’altra famiglia mafiosa nissena degli EMMANUELLO, che sembrerebbe soffrire della mancanza di figure di forte carisma criminale. Nel semestre in trattazione, Cosa nostra vittoriese è stata destinataria di un’ulteriore misura di custodia cautelare, che ha riguardato 3 soggetti accusati di traffico di stupefacenti e di associazione di tipo mafioso.

Nel comune di Scicli, la presenza di uno storico sodalizio stiddaro, i cui vertici sono stati condannati all’ergastolo, sarebbe stata sostituita dal gruppo MORMINA, riconducibile alla famiglia MAZZEI di Catania.

Per quanto attiene ai principali settori illeciti ed economico-criminali che interessano il territorio, si richiamano, in primo luogo, il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti, dove è marcata, anche se non esclusiva, la connotazione multietnica, con soggetti di origine albanese, marocchina, romena, o di aree dell’Africa sub-sahariana ben integrati nel tessuto criminale locale. È quanto emerge da diverse attività di indagine, che evidenziano l’esistenza di bande criminali il cui ambito d’azione resta circoscritto allo specifico settore delinquenziale, e non paiono riconducibili ad ambiti di tipo mafioso.

In tale contesto vanno, altresì, tenuti presenti i significativi sequestri di sostanze stupefacenti e delle coltivazioni illegali di cannabis. Come accennato in apertura del paragrafo, si conferma l’attenzione delle locali organizzazioni criminali, in specie quelle della stidda, verso il settore dell’agroalimentare, anche in ragione della presenza del mercato ortofrutticolo di Vittoria. In tale ambito, tutta la filiera della preparazione e lavorazione delle derrate alimentari, e dell’indotto che vi gravita intorno, sembra ricadere nelle mire dei sodalizi.

Già nel secondo semestre del 2017 le risultanze investigative hanno disvelato le estorsioni praticate nei confronti dei commercianti del settore ortofrutticolo e l’acquisizione di posizioni dominanti in tale comparto, avvalendosi della forza intimidatoria della Stidda vittoriese. Le attività investigative condotte nel precedente semestre, pur avendo intaccato il tessuto mafioso che gravita attorno al mercato, non hanno, infatti, eliminato l’infiltrazione nell’ indotto, nel cui ambito sono stati registrati ulteriori atti di violenza finalizzati al controllo della filiera. A tal riguardo, rilevante appare anche il fenomeno della “guardiania”, laddove è stata imposta in forma estorsiva.

Anche la provincia iblea è stata segnata dai tentativi di infiltrazione del tessuto politico ed amministrativo. In proposito, è emblematica l’operazione “Exit Poll”, del settembre 2017, e la nomina di una Commissione, comprendente un ufficiale della DIA, per l’accesso presso il comune di Vittoria, alla quale ha fatto seguito lo scioglimento dell’amministrazione comunale per infiltrazioni e condizionamenti mafiosi. Uno specifico approfondimento meritano i rapporti tra i sodalizi stranieri e le mafie italiane. Anche per il semestre in esame si riscontra, infatti, la presenza nel territorio di soggetti di diversa nazionalità, principalmente dediti a furti, rapine, spaccio di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione e del lavoro nero, commercio di prodotti contraffatti.

Questi si sarebbero consociati anche con criminali locali per ottenere una sorta di placet o di protezione. Vi è, poi, una esigua percentuale di soggetti appartenenti ad organizzazioni criminali nate in territorio estero che sono arrivati, in vario modo, in Italia, che fungono da trait d’union con i sodalizi operanti nei Paesi d’origine. In capo a questi gruppi ruotano interessi connessi ai traffici di stupefacenti, di armi e di prodotti petroliferi, ma anche alla tratta di esseri umani ed al riciclaggio di denaro trasferito illecitamente verso le aree di origine. Per quanto concerne la tratta di esseri umani, si segnala un’operazione che ha portato all’arresto di 5 cittadini romeni, responsabili di associazione per delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani.

L’indagine, scaturita dalla denuncia di una delle vittime, ha disvelato i maltrattamenti subiti da cittadini romeni attratti in Italia con false promesse da un gruppo di connazionali, e poi sfruttati, come schiavi, nel lavori dei campi. Deve ritenersi che, anche per una sorta di controllo e monitoraggio del territorio, le mafie locali mantengano la vigilanza sui traffici gestiti dai soggetti provenienti da altri Stati.

[titolo_paragrafo]Mafia a Messina[/titolo_paragrafo]

La particolare posizione geografica, che rende la provincia in esame crocevia di rapporti ed alleanze, costituisce il punto di forza della criminalità messinese, attribuendo alla stessa la possibilità di confrontarsi e rapportarsi tanto con Cosa nostra palermitana che con Cosa nostra catanese e la ‘ndrangheta. La propensione a relazionarsi con le organizzazioni delle province confinanti e con quelle che insistono oltre lo stretto, rende le consorterie messinesi dotate della flessibilità necessaria per riorganizzare, all’occorrenza, i propri assetti interni ed adattare organizzazione ed operatività alle diverse realtà emergenti.

Nel precedente semestre, ad esempio, gli esiti dell’attività investigativa denominata “Beta”, non solo avevano confermato la sussistenza dei legami con la criminalità etnea ma hanno documentato, per la prima volta, la presenza – sul territorio urbano – di una cellula costituente una proiezione di Cosa nostra catanese (denominata ROMEO-SANTAPAOLA) diretta emanazione della nota famiglia SANTAPAOLA-ERCOLANO. L’influenza della consorteria etnea si è manifestata con una netta e indiscussa preminenza sui sodalizi locali che tendono a non contrastarla.



La zona c.d. “nebroidea” – che abbraccia un territorio molto vasto, esteso dai Monti Nebrodi fino al limite occidentale della provincia di Messina, ai confini con quella di Palermo e Catania – era balzata all’attenzione nazionale, nel recente passato, per gli illeciti interessi palesati dalle consorterie mafiose nell’ambito del settore agro-pastorale, in quanto finalizzate all’accaparramento di finanziamenti regionali e comunitari e locali.

Attualmente, anche in forza del “Protocollo di legalità” promosso dalla Prefettura di Messina, la concessione dei fondi e l’erogazione dei finanziamenti sono sottoposte a controlli preventivi antimafia particolarmente stringenti. Passando al dettaglio dell’architettura criminale dell’area, la presenza dei “catanesi” nella città di Messina non sembra aver alterato gli equilibri delle competenze rionali dei gruppi cittadini e la loro tendenza ad agire autonomamente, ancorché nell’ambito di in una sinergia funzionale ad evitare situazioni di belligeranza ed al raggiungimento degli obiettivi criminali.



La città di Messina resta, quindi, suddivisa in quartieri, nei quali gli specifici gruppi operano in autonomia evitando, per quanto possibile, azioni conflittuali. Non appare, inoltre, trascurabile la capacità d’intervento dei clan messinesi in favore di esponenti politici locali, come evidenziato da indagini del recente passato.

Nel resto della provincia, la pervasiva presenza della criminalità organizzata di tipo mafioso continua ad assumere caratteristiche diverse in relazione agli equilibri ed alle collaborazioni criminali poste in essere nella zona d’interesse. In particolare, nella vasta area che abbraccia i Monti Nebrodi, limitrofa alla provincia di Palermo, si riscontra, non a caso, l’influenza di Cosa nostra palermitana, mentre nella fascia tirrenica le attività investigative continuano a confermare l’egemonia dei “barcellonesi”.

Quest’ultimi hanno assunto, nel tempo, una strutturazione e metodi operativi del tutto omologhi a quelli di Cosa nostra palermitana, sebbene vengano intrattenuti, per la gestione degli affari illeciti, rapporti costanti anche con le consorterie catanesi. La fascia jonica, che si estende dalla periferia sud della città di Messina al confine con la provincia di Catania, è un’area connotata dalla rilevante influenza di Cosa nostra catanese, facente capo sia alla famiglia SANTAPAOLA ERCOLANO sia ai clan LAUDANI e CAPPELLO, che si avvalgono di referenti locali.

Anche in provincia di Messina la criminalità organizzata influisce significativamente sul tessuto economico-sociale, attraverso diverse attività criminali quali le estorsioni e l’usura – spesso tra loro connesse –, il traffico di stupefacenti, le corse clandestine di cavalli, l’accaparramento di fondi agricoli allo scopo di accedere ai finanziamenti connessi allo sviluppo rurale, nonché, più recentemente, tramite il controllo delle scommesse online.

Gli introiti che ne derivano vengono reimpiegati e riciclati in imprese operanti in diversi settori economici quali l’edilizia, le attività commerciali in genere ed i servizi. Il lucroso settore degli appalti pubblici, viene infiltrato sia mediante l’aggiudicazione forzata delle gare ad imprese di riferimento delle consorterie, sia sottoponendo ad una sistematica attività estorsiva gli imprenditori affidatari.

Al riguardo, appare rilevante un’attività investigativa, conclusa nel semestre in esame, che ha disvelato i nuovi assetti della famiglia di Mistretta (ME) e la sua capacità di ingerenza nella pubblica amministrazione per il controllo degli appalti e per l’accaparramento dei finanziamenti pubblici. L’appalto investigato riguardava la riqualificazione di siti culturali insistenti su vari comuni, tra i quali Mistretta, Tusa e Castel di Lucio, dove sono installate 12 opere d’arte contemporanea, che costituiscono, nel loro insieme, il noto percorso culturale denominato “Fiumara d’arte”.

Per quanto riguarda le attività estorsive, l’importante filone di indagini denominato “Gotha”, ad oggi giunto alla settima tranche, ha fatto piena luce su decine di episodi estorsivi verificatisi nell’area tirrenica della provincia di Messina, in un esteso arco temporale, individuandone mandanti ed esecutori materiali.

È stato, anche, definitivamente accertato come il sodalizio mafioso dei “barcellonesi” non rappresenti un’associazione criminale occasionale, ma una organizzazione strutturata che si basa, come avviene nella province di Palermo e Catania, su scrupolose competenze territoriali ripartite tra i gruppi che la compongono, capace di riorganizzare i propri assetti interni nonostante le ripetute azioni investigative succedutesi nel tempo. Un sintetico approfondimento va, infine, riservato, nell’ambito delle investigazioni preventive svolte dalla DIA, all’attività di aggressione ai patrimoni illeciti.

A tal proposito, proprio nell’ambito della citata operazione “Gotha VII”, nel marzo 2018, la DIA di Messina ha sequestrato beni per 6 milioni di euro. Il Tribunale di Messina ha disposto, quindi, nell’aprile del 2018, l’aggravamento della sorveglianza speciale di PS, nonché la confisca di un’azienda del valore di 1 milione di euro, intestata al figlio di un detenuto appartenente al sodalizio TRISCHITTA.

Un ulteriore sequestro, infine, è stato eseguito dalla DIA nel giugno 2018 nei confronti di un soggetto, anch’egli ritenuto appartenente al clan dei barcellonesi: gli accertamenti patrimoniali eseguiti, estesi anche al relativo nucleo familiare, hanno dimostrato la rilevante sproporzione tra i redditi dichiarati, l’attività svolta e gli arricchimenti conseguiti. Il patrimonio sottoposto a sequestro ha riguardato imprese, immobili, terreni, numerosi automezzi, rapporti finanziari e disponibilità bancarie, intestati anche a soggetti terzi, per un valore complessivo di circa 32 milioni di euro.

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