Il 9 maggio è il giorno in cui (nel 1978) venne assassinato da “Cosa Nostra” Peppino Impastato. Questo brutale atto della nota cosca mafiosa siciliana (la cui vicenda è stata recentemente raccontata nel film “I cento passi” di Marco Tullio Giordana) ha portato alla morte di questo simbolo della lotta alla crminalità per decisione dei vertici della famiglia mafiosa di Cinisi il cui capo era il “boss all’antica” Gaetano Badalamenti, un uomo dalla personalità autoritaria e un po’ vanesia che non esitò a commissionare l’omicidio del giornalista e attivista italiano.
9 maggio 1978: la mafia uccide a Cinisi il “poeta ribelle” Peppino Impastato
È la mattina del 9 maggio 1978. Nella cittadina di Cinisi, in provincia di Palermo, viene ritrovato il corpo senza vita di Giuseppe Impastato, detto Peppino. Ad ucciderlo, nella notte, alcuni uomini del boss locale, Gaetano Badalamenti, appartenente all’organizzazione mafiosa “Cosa Nostra”. L’unica “colpa” di Peppino? Aver denunciato, durante le trasmissioni in onda su Radio Aut, da lui fondata, i diversi atti illeciti per il controllo del territorio compiuti proprio da Badalamenti e dai suoi uomini. Cresciuto in una famiglia vicina agli ambienti mafiosi (suo padre, Luigi Impastato, era al servizio di Badalamenti), Peppino manifesta fin da subito il suo dissenso verso quel mondo corrotto di cui non si sente parte e che arriverà a definire «una montagna di merda».
Fatti antecedenti
Nel 1965 Peppino fondò il giornalino “L’Idea socialista” e aderì al PSIUP. Dal 1968 in poi, però, militò nei gruppi della Nuova Sinistra. Portò avanti una serie di lotte a favore dei contadini espropriati a causa della costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo, oltre a partecipare a diverse manifestazioni a favore di edili e disoccupati. Il suo impegno politico si intrecciò stabilmente con quello culturale: nel 1975 costituì il gruppo “Musica e cultura”, che portava avanti una serie di attività culturali come cineforum, musica dal vivo, teatro e dibattiti.
Nel 1977 Peppino fondò “Radio Aut”, radio libera autofinanziata, con la quale portò avanti una vera e propria crociata contro gli interessi mafiosi a Cinisi e Terrasini. Il principale bersaglio della dura azione di denuncia era proprio lo zio e nuovo capomafia di Cinisi Gaetano Badalamenti, in prima fila nel traffico internazionale di droga, grazie al controllo che la famiglia aveva sull’aeroporto. Il programma più seguito della radio era infatti “Onda pazza”, una trasmissione satirica durante la quale Peppino si destreggiava nello sbeffeggiare mafiosi e politici.
Nel 1978 Peppino si candidò nelle liste di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali, che si sarebbero tenute il 14 maggio. La sua intensa campagna elettorale e i duri attacchi contro Badalamenti ne decretarono l’esecuzione: nella notte tra l’8 e il 9 maggio fu rapito e fatto saltare in aria con una carica di tritolo dopo essere stato immobilizzato sui binari della ferrovia. Il suo omicidio, tuttavia, passò in secondo piano, poiché lo stesso giorno venne ritrovato il corpo del presidente della Democrazia Cristiana, l’on. Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse.
Indagini e depistaggio
L’omicidio di Impastato fu da subito identificato come un attentato terroristico finito male, nel quale l’attentatore era rimasto vittima del suo tentativo di sabotare la ferrovia. In un fonogramma del 9 maggio, infatti, il procuratore Gaetano Martorana scriveva: «Attentato alla sicurezza dei trasporti mediante esplosione dinamitarda. Verso le ore 0,30-1 del 9.05.1978 persona allo stato ignota, ma presumibilmente identificata in tale Impastato Giuseppe si recava a bordo della propria autovettura all’altezza del km. 30+180 della strada ferrata Trapani-Palermo per ivi collocare un ordigno dinamitardo che, esplodendo, dilaniava lo stesso attentatore». La tesi fu avvalorata dal ritrovamento di una lettera, che riportava la data di molti mesi prima, in cui senza alcun dubbio si accertava che l’attentatore non era altro che un suicida.
La prima mossa degli inquirenti fu l’interrogatorio dei compagni di Peppino, indicati come complici dell’attentatore: le loro case, come quella della madre Felicia e della zia, vennero perquisite, mentre nessun sopralluogo venne fatto nelle cave, benché una relazione di servizio dei carabinieri sostenesse che l’esplosivo usato nel presunto attentato fosse dello stesso tipo di quello impiegato nelle cave. Sui muri di Cinisi comparve un manifesto che dichiarava la matrice mafiosa dell’operazione. A Palermo, invece, un altro manifesto recitava: “Peppino Impastato è stato assassinato dalla mafia“. Al funerale parteciparono circa mille persone provenienti in gran parte da Palermo e dai paesi vicini.
Gli esposti alla Procura e la prima manifestazione
L’11 maggio il Centro siciliano di documentazione di Palermo fondato da Umberto Santino e da sua moglie Anna Puglisi (dal 1980 intitolato a Impastato), presentò insieme ad altri un esposto alla Procura in cui si sosteneva la tesi dell’omicidio di mafia. La mattina dello stesso giorno in un’assemblea alla Facoltà di Architettura dell’Università di Palermo il docente di Medicina legale in pensione Ideale Del Carpio smontò la tesi dell’attentato e del suicidio. Nel pomeriggio, invece, si tenne a Cinisi il comizio di chiusura della campagna elettorale che doveva fare Peppino assieme a un dirigente nazionale di Democrazia proletaria: il suo posto venne preso, su invito dei compagni, proprio da Santino, che accusò Badalamenti come responsabile del delitto. In quei giorni, i compagni di Peppino ritrovarono delle pietre macchiate di sangue nel casolare dove Peppino era stato portato e ucciso (o tramortito), che si sarebbero rivelate fondamentali nel prosieguo delle indagini per accertare la matrice mafiosa del delitto.
Il 16 maggio la madre di Peppino, Felicia, e suo fratello Giovanni inviarono un esposto alla Procura, indicando in Badalamenti il mandante dell’omicidio. Alle elezioni comunali del 14 maggio, Peppino venne eletto ugualmente in consiglio comunale a Cinisi. Grazie all’impegno della madre e del fratello, oltre a quello dei compagni e del centro siciliano di documentazione, si riuscirono a raccogliere le prove della matrice mafiosa, che portarono alla riapertura delle indagini. Il 9 maggio 1979, nel primo anniversario del delitto, il Centro siciliano di documentazione organizzò, assieme a Democrazia Proletaria, la prima manifestazione nazionale contro la mafia della storia d’Italia, a cui parteciparono 2000 persone provenienti da tutto il Paese.