Quando si dice “mostro sacro”. Mai appellativo è stato così indovinato come nel caso di Mario Monicelli, figura storica del cinema italiano. Insieme a Dino Risi e Luigi Comencini, fu uno dei massimi esponenti della commedia all’italiana, che ha contribuito a rendere nota anche all’estero con film come “Guardie e ladri”, “I soliti ignoti”, “La grande guerra”, “L’armata Brancaleone”, “Amici miei”, “Un borghese piccolo piccolo”, “Il marchese del Grillo”. Candidato per due volte al Premio Oscar, nonché vincitore di numerosi premi cinematografici, nel 1991 ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia.
Mario Monicelli, leggendario regista italiano
Nato il 16 maggio 1915 da una famiglia di origine mantovana, Mario Monicelli è cresciuto nella Viareggio degli anni Trenta, respirando l’aria delle spiagge alla moda, allora al centro di vivaci attività letterarie e artistiche.
Studi e il grande inizio
Frequenta il liceo classico Giosuè Carducci e si accosta al cinema a Tirrenia, attraverso l’amicizia con Giacomo Forzano, figlio del fondatore degli studi di Pisorno. E’ in questo contesto che si forma il particolare spirito toscano, caustico e irriverente che tanta parte ha avuto nella poetica cinematografica di Monicelli (molti degli scherzi narrati nel celebre film “Amici miei”, diventato un cult del genere, sono ispirati ad episodi reali della sua giovinezza).
Dopo gli esperimenti a passo ridotto e il pionieristico “Pioggia d’estate” girato nel 1937 insieme a un gruppo d’amici, l’esordio nella regia professionale avviene nel 1949, in coppia con Steno con il film “Totò cerca casa”. Abile narratore, estraneo ad ogni fumoso intellettualismo registico, Mario Monicelli ha uno stile efficace e funzionale, i suoi film scorrono perfetti senza far percepire la presenza della macchina da presa.
I leggendari film
Alcuni titoli lo hanno consegnato per sempre alla storia del cinema: “I soliti ignoti” del 1958 (con Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Totò, Claudia Cardinale), considerato da molti la prima vera pietra miliare della commedia all’italiana; “La grande guerra” del 1959, affresco comico e antiretorico insieme, sul primo conflitto mondiale; “L’armata Brancaleone” del 1966, dove inventa uno spassoso medioevo che ci parla dell’oggi in una inverosimile lingua maccheronica che ha fatto epoca.
E ancora “La ragazza con la pistola” (1968), il già ricordato “Amici miei”, (1975), “Un borghese piccolo piccolo” (1978) e “Il marchese del Grillo” (1981) con un grande Alberto Sordi, fino alle prove più recenti come il delizioso “Speriamo che sia femmina” (1985), il corrosivo “Parenti serpenti” (1992) o l’irriverente “Cari fottutissimi amici” (1994, con Paolo Hendel). Nel 1995, in occasione del suo ottantesimo compleanno, il Comune di Viareggio lo ha festeggiato conferendogli la cittadinanza onoraria.
Morte
Muore suicida il 29 novembre 2010, gettandosi da una finestra dell’ospedale San Giovanni di Roma dove era ricoverato per un tumore alla prostata. Suonano tutt’ora sinistre alcune sue dichiarazioni che fece un anno prima della sua morte.
«La speranza è una trappola, è una brutta parola, non si deve dire. La speranza è una trappola inventata dai padroni, di quelli che ti dicono “State buoni, state zitti, pregate che avrete il vostro riscatto, la vostra ricompensa nell’aldilà, perciò adesso state buoni, tornate a casa”. Mai avere la speranza, la speranza è una trappola, è una cosa infame inventata da chi comanda».
«Quello che in Italia non c’è mai stato, è una bella botta, una bella rivoluzione, rivoluzione che non c’è mai stata in Italia… c’è stata in Inghilterra, c’è stata in Francia, c’è stata in Russia, c’è stata in Germania. Dappertutto meno che in Italia. Quindi ci vuole qualche cosa che riscatti veramente questo popolo che è sempre stato sottoposto, sono 300 anni che è schiavo di tutti».
Vita privata
La sua ultima compagna è stata Chiara Rapaccini. Quando si sono conosciuti lui aveva 59 anni e lei 19. Hanno avuto una figlia, Rosa, quando lei ne aveva 34 e lui 74. Nel 2007 dichiarava di vivere da solo, di non sentire la lontananza di figli e nipoti (pur avendoli), di essere da qualche anno un elettore di Rifondazione Comunista e di avere pianto l’ultima volta alla morte del padre; mentre in un’intervista svelava, in particolare, il motivo per cui viveva da solo a 92 anni:
«Per rimanere vivo il più a lungo possibile. L’amore delle donne, parenti, figlie, mogli, amanti, è molto pericoloso. La donna è infermiera nell’animo, e, se ha vicino un vecchio, è sempre pronta ad interpretare ogni suo desiderio, a correre a portargli quello di cui ha bisogno. Così piano piano questo vecchio non fa più niente, rimane in poltrona, non si muove più e diventa un vecchio rincoglionito. Se invece il vecchio è costretto a farsi le cose da solo, rifarsi il letto, uscire, accendere dei fornelli, qualche volta bruciarsi, va avanti dieci anni di più».