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Matrimonio, la Cassazione: il pranzo di nozze va pagato anche se gli sposi non sono contenti

Matrimonio: la Cassazione parla chiaramente e dice che il pranzo di nozze va pagato anche se gli sposi non sono contenti dell’esito finale.

Il pranzo nuziale è stato servito: va pagato anche se va male

La Cassazione, con l’ordinanza n. 26485/2019 (sotto allegata) nega il risarcimento del danno non patrimoniale a una coppia di sposi che, a causa della pessima qualità del cibo e del servizio, si sono visti rovinare dalla s.r.l incaricata il banchetto di nozze.

Gli Ermellini, contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, ha precisato che il danno non patrimoniale da “banchetto rovinato” deve essere provato nello specifico poiché non è intrinseco all’inadempimento della prestazione. Contenti o scontenti gli sposi devono quindi pagare per intero chi ha organizzato loro la festa di matrimonio e se proprio hanno qualcosa da ridire, devono denunciare i vizi entro i 60 giorni previsti dalla legge.

Il primo grado di giudizio

Due coniugi si oppongono al decreto con cui il Tribunale ingiunge loro il pagamento di euro 17.700 in favore della s.r.l, che ha realizzato loro il ricevimento di nozze. I coniugi lamentano il grave inadempimento della società opposta poiché il cibo e il servizio del banchetto si sono rivelati di pessima qualità e con domanda riconvenzionale chiedono che vanga dichiarata la risoluzione del contratto e la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale subito. La s.r.l. si costituisce in giudizio ed eccepisce “la decadenza dal diritto di garanzia per la mancata tempestiva denuncia dei vizi” e la fondatezza dell’opposizione.

II Tribunale accertato il parziale inadempimento della società opposta condanna gli opponenti, in solido tra loro, al pagamento di un terzo della somma pattuita, pari a 5.900 euro, e rigetta la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale avanzata dai coniugi. Propone appello la s.r.l lamentando il mancato rilievo della tardiva denuncia dei vizi, con conseguente decadenza dei coniugi dal diritto di garanzia ex art. 1495 c.c.

L’appello e il ricorso in Cassazione

I coniugi propongono appello incidentale, impugnando la sentenza di giudice di prime cure nella parte in cui ha respinto la richiesta di risarcimento del danno. Il giudice di secondo grado, dopo avere qualificato l’accordo tra le parti come contratto di banqueting, accogliendo l’impugnazione principale dichiara la tardività della denunzia dei vizi avanzata dai coniugi rispetto al termine di sessanta giorni previsti dall’art. 1667, comma 2 c.c., conferma il decreto opposto e rigetta l’appello incidentale.

Contro la sentenza di secondo grado ricorrono per Cassazione i coniugi, lamentando l’errata qualificazione dell’accordo intercorso con la s.r.l come contratto di appalto e la negazione della sussistenza del danno non patrimoniale in re ipsa. Resiste con controricorso la s.r.l.

Banchetto nozze va pagato anche se gli sposi non gradiscono

La Cassazione, con ordinanza n. 26485/2019 rigetta il ricorso chiarendo, per quanto riguarda la qualifica dell’accordo intercorso tra le parti che il contratto di c.d. banqueting concluso tra le parti è un contratto atipico.

“Il carattere atipico-misto del contratto in esame non comporta però (…) che nessuna disciplina dei contratti tipici trovi ad esso applicazione. Come hanno sottolineato le sezioni unite di questa Corte, “in tema di contratto misto, la relativa disciplina giuridica va individuata in quella risultante dalle norme del contratto tipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti (cosiddetta teoria dell’assorbimento o della prevalenza)” (Cass. sez. un., n. 11656/2008). Correttamente, pertanto, il giudice d’appello ha ritenuto, in base appunto alla teoria dell’assorbimento, applicabile la disciplina giuridica del contratto, l‘appalto di servizi, al cui schema causale erano in prevalenza riconducibili gli elementi del contratto concluso tra le parti (preparazione delle pietanze, servizio ai tavoli e buffet, organizzazione della serata musicale).”

Per quanto attiene invece al secondo motivo del ricorso, finalizzato a contestare il mancato riconoscimento del danno non patrimoniale, la Cassazione condivide pienamente le conclusioni a cui è giunto il giudice di secondo grado, che si è limitato a condividere l’orientamento della Suprema Corte secondo cui “il danno non patrimoniale, con particolare riferimento a quello c.d. esistenziale, non può essere considerato in re ipsa, ma deve essere provato secondo la regola generale dell’articolo 2697 c.c., dovendo consistere nel radicale cambiamento di vita, nell’alterazione della personalità e nello sconvolgimento dell’esistenza del soggetto; ne consegue che la relativa allegazione deve essere circostanziata e riferirsi a fatti specifici e precisi, non potendo risolversi in mere enunciazioni di carattere generico, eventuale e ipotetico.”

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