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Maxi-attacco cyber a Hezbollah: esplodono 4mila cercapersone

Maxi-attacco cyber a Hezbollah: esplodono 4mila cercapersone

Maxi-attacco cyber a Hezbollah: esplodono 4mila cercapersone

Un maxi-attacco improvviso e silenzioso. La batteria del cercapersone che i miliziani di Hezbollah portano nelle tasche o alla cintura esplode violentemente. Erano alimentati con batterie al litio Terrore tra strade e negozi, almeno 16 morti. Il partito di Nasrallah: “Azione criminale, arriverà la vendetta”.

Maxi-attacco cyber a Hezbollah, esplosi 4mila cercapersone

Un maxi-attacco improvviso e silenzioso. La batteria del cercapersone che i miliziani di Hezbollah portano nelle tasche o alla cintura esplode violentemente. In simultanea ognuno di loro è raggiunto dal personale e inatteso ordigno che porta indosso. In attesa di dare il via alle operazioni di terra oltre il confine libanese, Israele scatena la sua “cyber war” contro Hezbollah. Una di quelle operazioni che negli anni hanno costruito e poi consolidato la fama  dei suoi servizi segreti. Un’azione improvvisa, non rivendicata, che coglie completamente di sorpresa l’organizzazione militare sciita filoiraniana che da mesi martella il fronte nord.

Caos, paura, corpi insanguinati che volano in aria. Le esplosioni si sono verificate esattamente alle 15:30, propagandosi in tutto il paese, dalla zona di Dahiye, nelle periferie meridionali di Beirut, fino a Baalbek nella valle della Bekaa, a centinaia di chilometri di distanza, e persino a Damasco, nel quartiere di Seydah Zeinab, un’importante roccaforte sciita che ospita una vasta presenza delle Guardie della rivoluzione iraniana (IRGC). Le immagini mostrano scene di panico tra le strade affollate da numerose ambulanze, in vari luoghi pubblici e nei supermercati. A tarda serata, il bilancio di questa giornata indicava 9 morti e 2800 feriti, tra cui oltre 200 in condizioni critiche. Tra le vittime figurano anche il figlio di un parlamentare di Hezbollah, Ali Ammar, e una bambina di 9 anni colpita da schegge del “beeper” del padre. L’ambasciatore di Teheran a Beirut, Mojtaba Amani, è rimasto lievemente ferito.

A questi numeri vanno aggiunti quelli che provengono dalla Siria, secondo Saberin News, organo di informazione vicino ai pasdaran iraniani si conterebbero altri 7 morti. I responsabili dell’organizzazione terroristica si affrettano a rendere noto che il leader supremo Nasrallah non è stato coinvolto nell’attacco. Giurano “vendetta per l’aggressione criminale che ha preso di mira anche i civili”. I dispositivi colpiti sarebbero stati forniti dall’Iran: si tratterebbe di apparecchi di ultima generazione che costituiscono un sistema di comunicazione capillare, alimentato da batterie al litio, che consente l’invio di messaggi e scritti in codice anche da aree remote.

La tensione a Nord è ormai alle stelle. Poco prima dell’attacco lo Shin Bet, il servizio segreto interno aveva rivelato di aver sventato un attentato contro un ex alto funzionario della sicurezza israeliana. Una bomba a lui destinata doveva essere attivata a distanza – addirittura dal Libano – grazie a una telecamera e una connessione cellulare scoperta dall’intelligence. Nella guerra, finora definita “a bassa intensità”, sul fronte settentrionale Hezbollah ha già perso 450 uomini, ma lo smacco di ieri resta la ferita più profonda perché mette in evidenza la propria vulnerabilità nonostante sia uno dei gruppi più organizzati e meglio armati del Medio Oriente.

La riunione per l’inasprimento del conflitto

Per discutere dell’acutizzarsi del conflitto, il Gabinetto di sicurezza si è riunito la notte di lunedì, e una nuova riunione d’emergenza è stata convocata da Netanyahu nella Kirya, sede centrale delle forze armate israeliane. Era presente anche il ministro della Difesa Gallant, il cui futuro al dicastero è incerto. Netanyahu ha l’intenzione di sostituirlo con l’ex ministro Gideon Sa’ar, uscito dal Likud a causa di contrasti con il primo ministro. Il partito che ha fondato, “New Hope”, ha ottenuto nelle ultime elezioni 4 seggi, che sono strategici per Netanyahu, il quale cerca di rafforzarsi con il supporto dei partiti ultraortodossi, interessati a mantenere i loro privilegi, come l’esenzione dalla leva militare e i finanziamenti per le scuole religiose.

Tuttavia, la rimozione del ministro della Difesa in un contesto di conflitto attivo su più fronti non sarà una faccenda semplice, nemmeno per un politico determinato come Netanyahu, che nel marzo del 2023 era già stato costretto a fare passo indietro rispetto alla decisione di allontanare Gallant. Attualmente circolano voci riguardo ai termini dell’accordo con Sa’ar, al quale sarebbe stata promessa una posizione nell’esecutivo, insieme a quella di altri due suoi parlamentari, mentre il quarto avrebbe la presidenza di una commissione nella Knesset.

Sa’ar, a sua volta, riceverebbe la garanzia che la riforma giudiziaria, da lui fortemente contestata, non riprenderà il suo corso una volta terminato il conflitto. Inoltre, avrà voce in capitolo riguardo alla selezione del prossimo Capo di Stato Maggiore dell’esercito. Tuttavia, le voci a favore di Gallant si fanno sempre più forti. Sia in ambito politico che militare, con interventi autorevoli da parte di ex comandanti delle forze armate, come Eisenkot e Yalon, e da parte del Business forum, che rappresenta i leader delle 200 principali aziende israeliane, chiedendo a Netanyahu di non privilegiare «futile politici» a discapito degli interessi nazionali.

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