di Domenico De Rosa
Negli ultimi anni, l’Unione Europea ha spinto con forza la transizione verso l’auto elettrica, presentandola come la soluzione definitiva ai problemi ambientali e alla riduzione delle emissioni di CO₂. Tuttavia, dietro questa narrazione “verde” si cela una realtà ben diversa, fatta di contraddizioni, interessi economici poco trasparenti e un impatto ambientale tutt’altro che nullo. L’imposizione forzata dell’elettrico, senza un adeguato sviluppo infrastrutturale e senza alternative concrete, rischia di trasformarsi in una gigantesca truffa ai danni dei consumatori, delle imprese e dell’intero sistema produttivo europeo.
L’UE ha scelto di promuovere l’auto elettrica non attraverso il naturale sviluppo tecnologico e la competizione di mercato, ma imponendola con un sistema di incentivi e sanzioni. Da un lato, i governi hanno erogato miliardi in sussidi per abbattere il costo di acquisto delle auto elettriche, sostenendo artificialmente una domanda che altrimenti sarebbe rimasta marginale. Dall’altro, sono state imposte multe salatissime alle case automobilistiche che non rispettano rigidi limiti sulle emissioni di CO₂, costringendole di fatto a ridurre la produzione di auto termiche.
Questa distorsione del mercato non solo penalizza le imprese europee, già in difficoltà nel competere con i giganti asiatici dell’elettrico, ma scarica i costi dell’operazione direttamente sui consumatori. Senza incentivi, i prezzi delle auto elettriche restano proibitivi per la maggior parte della popolazione, e il valore dell’usato delle auto a combustione interna crolla, impoverendo chi non può permettersi il passaggio immediato all’elettrico.
Uno degli argomenti principali a favore dell’auto elettrica è la sua presunta “emissione zero”. In realtà, questa affermazione è profondamente fuorviante. Se è vero che un’auto elettrica non emette CO₂ mentre è in movimento, bisogna considerare l’intero ciclo di vita del veicolo, dalla produzione allo smaltimento.
Le batterie, elemento centrale dell’auto elettrica, richiedono l’estrazione di minerali rari come litio, cobalto e nichel, spesso ottenuti in condizioni di sfruttamento umano e con un impatto ambientale devastante. Inoltre, la produzione delle batterie è altamente energivora e in molti casi alimentata da centrali a carbone, soprattutto in Cina, che domina la filiera produttiva.
Anche la questione dell’energia elettrica non è priva di gravi contraddizioni: molti paesi europei non dispongono di una rete elettrica alimentata al 100% da fonti rinnovabili, il che significa che la ricarica delle auto elettriche avviene spesso utilizzando energia prodotta da combustibili fossili. In sintesi, l’auto elettrica non elimina le emissioni, ma le sposta soltanto a monte, rendendole meno visibili al consumatori.
Un altro aspetto preoccupante della corsa forzata all’elettrico è la crescente dipendenza dell’Europa dalla Cina. Pechino controlla gran parte della produzione mondiale di batterie, oltre ad avere un’industria automobilistica elettrica molto più competitiva rispetto a quella europea. Mentre i produttori europei faticano ad adattarsi alle nuove normative e a riconvertire le loro fabbriche, le aziende cinesi stanno invadendo il mercato con modelli più economici e tecnologicamente avanzati.
Il risultato è un declino dell’industria automobilistica europea, storicamente uno dei pilastri economici del continente. La transizione forzata all’elettrico non solo mette a rischio migliaia di posti di lavoro nella produzione di motori termici e componentistica correlata, ma espone l’Europa a una dipendenza strategica per l’approvvigionamento di materie prime e batterie.
L’auto elettrica non è una truffa in sé, ma lo è il modo in cui viene imposta in Europa. La narrativa ufficiale ignora deliberatamente le criticità ambientali, economiche e strategiche di questa transizione forzata, mentre governi e istituzioni europee continuano a favorire interessi specifici a discapito di una reale sostenibilità.
L’Europa avrebbe dovuto investire in un mix di soluzioni, tra cui biocarburanti, idrogeno e motori ibridi di nuova generazione, invece di puntare tutto su una tecnologia ancora immatura e dipendente da filiere produttive esterne. Il rischio oro concreto è quello di un disastro industriale ed economico senza precedenti, con un mercato automobilistico strangolato da normative irrealistiche e consumatori sempre più penalizzati.
Se la transizione ecologica deve essere davvero sostenibile, deve basarsi sulla libertà di scelta, sulla competitività tecnologica e su un impatto ambientale valutato con criteri realistici. Altrimenti, sarà solo l’ennesima manovra politica ed economica destinata inesorabilmente a fallire, con conseguenze disastrose per l’intero continente.