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Il 25 aprile 2001 ci lasciava Michele Alboreto, colui che sfiorò il mondiale con la Ferrari

La giornata di oggi per quasi tutti è una festa. Si celebra la liberazione dell’Italia avvenuta nel 1945 e la fine della guerra, le strade si riempiono di manifestazioni e cortei, sembra un giorno in cui la tristezza non può trovare alcuno spazio. Eppure per noi appassionati ogni volta viene il magone allo stomaco quando arriva il 25 aprile, pensando a quello che è accaduto al pilota Michele Alboreto.
Era un guerriero che aveva da sempre il sogno di correre, fin da piccolo, ed è un sogno che ha coronato alla grandissima, anche se ci sarà per sempre un grande rimpianto: quello di non averlo visto gareggiare, perché il tempo non ce lo ha permesso, maledetto tempo.

25 aprile 2001: muore Michele Alboreto, ex pilota Ferrari

Nato a Milano il 23 dicembre 1956, a quel tempo Michele Alboreto era un ragazzo coi capelli neri e riccioluti, molto più lunghi di come li avrebbe avuti in seguito. Su una monoposto che si doveva rivelare storta, dopo accurate verifiche eseguite in seguito, si distingueva per il coraggio e la determinazione in staccata.

La gavetta

Riservato, quasi timido, mostrava una decisione eccezionale. All’interno della scuderia lo adoravano e ci fu chi mise mano al portafogli per permettergli di andare avanti a correre in Formula Italia. «Devo approfittare di ogni occasione, perché non so se ci sarà una seconda possibilità», diceva spesso.

Prima ancora che gli altri se ne rendessero conto, Alboreto era già in Formula 3, a sfidare “quelli grandi“, spiati spesso da dietro le reti. E a vincere subito, al primo anno. Nemmeno cinque anni dopo i primi giri di ruota con la F. Monza, Michele Alboreto era già in Formula 1.



L’ascesa

Quando le cose giravano per il verso sbagliato, Alboreto poteva diventare furibondo. Ma aveva la grande capacità di incanalare, in modo positivo, tutta la sua aggressività per andare più forte, per non cedere, per non arrendersi mai. Si poteva scommettere che, qualche ora o il giorno dopo, la tanta rabbia si sarebbe trasformata in decimi in meno nei tempi sul giro.

Nadia, la fedele e tranquilla compagna sin dai giorni della scuola, lo accompagnava sempre. Michele era inarrestabile. L’occasione con la Tyrrell arriva a Imola, nel 1981. Un’altra chance da prendere al volo e che non gli sfugge, complice l’aiuto di un mecenate che già aveva aiutato, tra gli altri, Ronnie Peterson e che si aggiunse all’elenco degli amici. Di ciascuno di loro, Alboreto si è sempre ricordato fino agli ultimi giorni.

Sapeva bene dove voleva arrivare: «Non voglio sembrare presuntuoso, ma ho programmato il mio arrivo in Formula 1. Potevo riuscirci o meno, ma quelle erano le tappe da percorrere».



Il passaggio in Ferrari

Le vittorie con la Tyrrell colgono di sorpresa molti, ma non chi lo conosceva bene. Poi, tra le proposte di McLaren e Ferrari, Michele sceglie il fascino del cavallino rampante e la grande sfida di Maranello. Diviene più riservato e diffidente, complici anche alcuni malintesi con la stampa.

Il 1985 è il suo anno migliore, ma il grande sogno di diventare campione del mondo sfuma insieme ai turbo Garrett scelti dalla Ferrari per il finale di stagione. Albobreto è furioso in quelle settimane. Forse presagiva che non avrebbe avuto più occasioni simili.



Williams e ritorno alla Tyrrell

Invece di andare alla Williams (al posto di Nigel Mansell) vuole rimanere a Maranello anche per non abbandonare la squadra. L’avvento del suo più grande nemico, John Barnard, pone fine alla lunga parentesi ferrarista.

Il sabato pomeriggio del Gran Premio di Germania 1988, in una camera dell’Holiday Inn di Walldorf si accorda per correre, finalmente, con la Williams. Un’unione siglata a parole che però non avrà seguito. Rimane molto male, anche se della cosa non si saprà molto.

Il ritorno alla Tyrrell è ancora più amaro e concluso anzitempo a causa di un cambio di sponsor dei tabacchi. Seguono begli sprazzi, soprattutto con la Footwork e l’Arrows.



Dopo la morte di Ayrton Senna

Il sedile per vincere in F1 non tornerà mai più. L’incidente di Ayrton Senna lo scuote, soprattutto perchè Michele aveva visto il brasiliano il sabato della morte di Ratzenberger, turbato e quasi cosciente della fine in arrivo. In tribunale, da vero uomo, lo difende sino in fondo dalle menzogne di chi avrebbe detto qualunque cosa, pur di avere una monoposto vincente.

Ma Michele Alboreto non abbandona la corse. Dal campionato turismo tedesco alla Irl e Indianapolis, finisce con l’approdare alle Sport. Delle corse sugli ovali dice che “gareggiare là è come andare in guerra in Vietnam“, cosciente che ormai ha rischiato abbastanza per non andare oltre.



Il trionfo a Le Mans

Nadia lo implora, mese dopo mese, di smettere. Negli ultimi anni gli affari lo assorbono quasi a tempo pieno. Il resto è dedicato alla famiglia e all’Harley Davidson, con un occhio di riguardo agli aerei, altra sua grande passione.

La vittoria a Le Mans è il coronamento di un sogno, cullato sin dai tempi in cui aveva visto Steve McQueen al cinema su una Porsche nel celebre lungometraggio sulla 24 ore. Si sentiva sicuro sulle Sport, così sicuro che il pensiero di smettere non lo sfiorava nemmeno.



Morte

Il 25 aprile 2001 sul circuito tedesco di Lausitzring arriva il tragico incidente che strappa la vita a Michele Alboreto. Si ipotizza che un componente della vettura abbia improvvisamente ceduto e che sia decollata scavalcando il guard-rail e distruggendosi a lato della pista.



 

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