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Dipendente demansionato e “costretto a non far nulla”: la banca dovrà risarcirlo con 500mila euro, il caso a Milano

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Dipendente demansionato e “costretto a non far nulla”: la banca condannata al risarcimento di 500mila euro, il caso a Milano. La sentenza è stata emessa dalla Corte di Appello. Un dipendente di Credito Emiliano era stato licenziato due volte, nel 2011 e nel 2018, e in entrambi i casi il Tribunale di Milano aveva dichiarato i licenziamenti illegittimi. Una volta reintegrato in filiale, però, gli era stata assegnata una mansione inferiore rispetto a quella che ricopriva 15 anni prima. Lo riporta Fanpage.

Milano, dipendente demansionato: risarcimento

La Corte d’Appello di Milano ha condannato la banca Credito Emiliano a risarcire un dipendente, licenziato illegittimamente due volte e successivamente demansionato per un lungo periodo, con un importo vicino ai 500mila euro. Un dipendente di Credito Emiliano era stato licenziato due volte, nel 2011 e nel 2018, e in entrambi i casi il Tribunale di Milano aveva dichiarato i licenziamenti illegittimi. Una volta reintegrato in filiale, però, gli era stata assegnata una mansione inferiore rispetto a quella che ricopriva 15 anni prima. I giudici della Corte d’Appello di Milano non hanno considerato questo comportamento della banca come un “attacco alla reputazione”, ma piuttosto come una “grave situazione di demansionamento”, che ha portato infine al riconoscimento di quasi mezzo milione di euro di danni a favore del dipendente.

Il demansionamento e i licenziamenti illegittimi

Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, un bancario, fino al 2009, ricopriva il contratto di lavoro di livello più elevato, subito sotto i dirigenti della filiale. Tuttavia, successivamente, gli è stato revocato il ruolo di coordinamento e gestione del personale, culminando nel primo licenziamento nel 2011. In quella circostanza, il Tribunale ha stabilito che la decisione della banca Credito Emiliano nei confronti del dipendente era illegittima, ordinando il suo reintegro.

Nonostante ciò, il bancario non è mai tornato a ricoprire il ruolo che aveva prima del 2009. Alcuni colleghi hanno riferito che per mesi “non faceva nulla”, poiché aveva una causa in corso con la banca: “Non aveva compiti né incarichi assegnati”. Nel 2018, è avvenuto un secondo licenziamento, anch’esso dichiarato illegittimo dal Tribunale.

Il risarcimento stabilito dalla Corte d’Appello di Milano

Il Tribunale non ha riscontrato nel comportamento della filiale “attacchi alla reputazione” o “isolamento sistematico” nei confronti del dipendente. Tuttavia, i giudici della Corte d’Appello hanno evidenziato una “grave situazione di demansionamento”, accompagnata da una “volontà tendenziale di chiusura” da parte del bancario. Di conseguenza, Credito Bancario è stata condannata a versare un risarcimento al lavoratore pari al 30% lordo dello stipendio dal 2009 fino alla data di presentazione del ricorso, oltre a oltre 70mila euro per danni non patrimoniali. L’importo totale ammonta a quasi 500mila euro.

“La sentenza della Corte d’Appello riafferma che la dignità del lavoratore e la salvaguardia della sua professionalità non possono essere compromesse”, ha affermato Domenico Tambasco, l’avvocato che ha supportato il bancario durante i procedimenti legali, “evidenziando la serietà delle violazioni riscontrate e l’urgenza di adottare politiche aziendali che rispettino le normative in vigore”.

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