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Monica Vitti, uno dei grandi volti del cinema italiano

Maria Luisa Ceciarelli, conosciuta ai più con lo pseudonimo Monica Vitti, è stata una delle grandi donne del cinema italiano. La sua bellezza, la sua voce roca e l’innata verve, sono stati gli elementi che hanno caratterizzato i suoi 30 anni di carriera. Monica Vitti è morta il 2 febbraio del 2022, all’età di 90 anni.
Le sue caratteristiche l’hanno resa celebre nella cinematografia italiana, dalle sue interpretazioni drammatiche, infatti, nella “tetralogia dell’incomunicabilità” di Michelangelo Antonioni (L’avventuraLa notteL’eclisse e Deserto rosso) che le diedero fama internazionale, a quelle in ruoli brillanti (da La ragazza con la pistola a Io so che tu sai che io so) che la fecero considerare l’unica “mattatrice” della commedia all’italiana, tenendo ottimamente testa ai colleghi Alberto SordiUgo TognazziVittorio Gassman e Nino Manfredi.

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Monica Vitti, leggendaria attrice italiana

Nata a Roma il 3 novembre del 1931 da padre romano e da madre bolognese, da bambina Monica Vitti ha vissuto a Messina per circa otto anni a causa del lavoro del padre, un Ispettore del Commercio Estero. In quel periodo fu soprannominata scherzosamente dai familiari “setti vistìni”, per via della sua freddolosità che la portava a indossare i vestiti l’uno sull’altro. Sette sottane, traduzione del nomignolo infantile, diventò poi il titolo del suo primo libro autobiografico, edito nel 1993, seguito da Il letto è una rosa (1995).



Scoprì la passione per il teatro durante la guerra, mentre – racconta lei stessa – giocava con i burattini dilettando i fratelli, distraendoli così da un periodo molto buio. A soli quattordici anni debuttò in scena con La Nemica di Niccodemi, interpretando una madre di 45 anni che perde un figlio in guerra.

L’Accademia e la nascita di “Monica Vitti”

Nel 1953 si diploma all’Accademia nazionale d’arte drammatica, allora diretta dal suo maestro Silvio D’Amico e intraprende quella che sarà una breve ma formativa attività teatrale, in cui dà prova della sua versatilità recitando in Shakespeare e Molière. Particolarmente significativa è la sua esperienza accanto al suo maestro Sergio Tofano – suo insegnante in Accademia – negli allestimenti delle commedie sul personaggio di Bonaventura, firmate dallo stesso Tofano con lo pseudonimo “Sto”; qui offrirà le sue prime prove di versatilità nella comicità, che contraddistinguerà gran parte della sua carriera.



Su consiglio di Tofano, in quegli anni fu invitata a mettersi un nuovo nome e cognome, più artistico. Allora si mise a tavolino, e scelse metà del cognome di sua madre, Vittiglia, alla quale fu molto legata e che perse in giovane età. Al cognome associò il nome “Monica”, che aveva appena letto in un libro e le suonava meglio. Nel 1956 debuttò come Ofelia in Amleto di Riccardo Bacchelli al Teatro Olimpico di Vicenza e in Bella di Cesare Meano al Teatro del Convegno di Milano con la regia di Enzo Ferrieri. A Roma si esibì in una serie di atti unici comici al Teatro Arlecchino (ora Teatro Flaiano).

Il percorso cinematografico

Dopo qualche ruolo di secondo piano in alcune pellicole comiche, viene notata dal regista Michelangelo Antonioni, con il quale intreccia una relazione artistica e sentimentale, che ne fa la sua musa e la protagonista nella sua celeberrima tetralogia cosiddetta dell’incomunicabilità: diventa così la tormentata Claudia ne L’avventura (1960), la tentatrice Valentina de La notte (1961), la misteriosa e scontenta Vittoria de L’eclisse (1962) e la nevrotica Giuliana in Deserto rosso (1964).



Lavora, anche se saltuariamente, come doppiatrice: è la voce del personaggio Ascenza nel film Accattone di Pasolini; di Rossana Rory ne I soliti ignoti di Monicelli e di Dorian Gray nel film Il grido di Antonioni. È la voce inoltre di Dalila (Daphne) nel film Senti chi parla adesso! del 1993 sostituendo la voce di Diane Keaton nella versione originale, insieme a Renato Pozzetto, voce del cane Scag (in originale Rocks), doppiato in inglese da Danny DeVito. È stata doppiata a sua volta da Vittoria Febbi ne La pacifista (1971) di Miklós Jancsó, anche se dello stesso film esiste una versione in cui la Vitti si auto doppia (sono disponibili entrambe nel DVD Cinekult, mentre solo il doppiaggio con la Febbi è presente nell’edizione Alan Young).

I grandi film

È Mario Monicelli, su proposta del produttore Fausto Saraceni, a metterne in risalto la verve di attrice comica, dirigendola nella commedia La ragazza con la pistola (1968), dove Monica interpreta una ragazza siciliana che insegue per il mondo l’uomo che l’ha “disonorata” con l’intento di vendicarsi. Il film ebbe un grande successo e contribuì notevolmente a ridefinire la carriera dell’attrice romana, soprattutto agli occhi del pubblico.



Questo significativo e di fatto definitivo mutamento dell’immagine cinematografica della Vitti è in qualche modo anticipato, nel 1966, dal film di produzione britannica Modesty Blaise – La bellissima che uccide (Modesty Blaise) di Joseph Losey, al quale partecipa anche Rossella Falk.

Fine anni Sessanta e anni Settanta

Nel maggio del 1968 l’attrice romana viene nominata presidente della giuria al XXI festival del cinema di Cannes, ma le contestazioni del maggio francese raggiungono la kermesse. Monica Vitti si dimette dal suo incarico e verrà imitata da Louis MalleRoman Polański e Terence Young. Come conseguenza, nessun premio cinematografico verrà ufficialmente attribuito.



Lasciate alle spalle le esperienze internazionali, sia pure episodiche, e una volta confermato il suo talento brillante in Dramma della gelosia – Tutti i particolari in cronaca (1970) di Ettore Scola e ne La Tosca (1973) di Luigi Magni, lungo tutti gli anni Settanta la Vitti sarà protagonista di numerose pellicole del filone della commedia all’italiana (l’esperienza accanto ad Alberto Sordi nei film con lui interpretati per la regia di quest’ultimo sarà quella che l’avvicinerà maggiormente al grande pubblico, nel senso più nazional-popolare del termine), ma nel frattempo anche all’estero si accorgono di lei e molti registi di prestigio la vogliono sul set: oltre al già citato Miklós Jancsó, Luis Buñuel in Il fantasma della libertà (Le fantôme de la liberté) (1974) e André Cayatte in Ragione di stato (La raison d’état) (1978).

Nel 1974 inoltre si esibisce con Raffaella Carrà e Mina nell’ultimo varietà televisivo di quest’ultima, Milleluci, cantando con loro Bellezze al bagno e inscenando una simpatica coreografia balneare. Quattro anni dopo recita sempre per la televisione nella commedia Il cilindro, di Eduardo De Filippo.

Anni Ottanta

Negli anni Ottanta, continua a dividersi tra il cinema (dopo essere tornata a lavorare con Antonioni per Il mistero di Oberwald, 1980, gira infatti con l’esordiente Roberto Russo Flirt, per il quale riceve il premio dell’attrice al Festival di Berlino del 1984, e Francesca è mia del 1986, film da lei anche sceneggiati) e il teatro (La strana coppia, 1987; Prima pagina, 1988). Nel giugno del 1984 prende parte al picchetto d’onore ai funerali del segretario del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer, insieme ad altri esponenti del cinema italiano come Federico Fellini e Marcello Mastroianni.



Nel 1988 il prestigioso quotidiano francese Le Monde commise una clamorosa gaffe nei suoi confronti, pubblicando in prima pagina la notizia della sua morte, “avvenuta per suicidio con barbiturici”. L’attrice, con grande eleganza e senso dell’umorismo, si limitò a smentire la notizia, ringraziando i responsabili della gaffe per averle allungato la vita. Nello stesso anno è protagonista con Orazio Orlando del videoclip Ma chi è quello lì, brano eseguito da Mina, tratto dall’album Rane supreme, e composto da Pino D’Angiò. Da segnalare inoltre la partecipazione di Maria Grazia Bon nel ruolo della cassiera del supermercato dove è completamente ambientato il filmato, andato in onda all’epoca su RAI1.

In alcuni suoi film opera quale sua controfigura un’ancora sconosciuta Fiorella Mannoia, cantante che proviene da una famiglia di stuntman. Al Festival di Cannes 1990 per presentare il film Scandalo segreto, da lei scritto, diretto e interpretato. Dopo aver debuttato anche nella regia col film Scandalo segreto (1990), da lei anche scritto e interpretato, nel 1992 recita nella miniserie TV Ma tu mi vuoi bene? accanto a Johnny Dorelli, in cui interpreta il ruolo di un’assistente sociale, e nella stagione 1993-94 fa parte del cast della trasmissione di RAI1 Domenica in. Alla Mostra del cinema di Venezia del 1995 riceve infine il Leone d’oro alla carriera.

Le ultime apparizioni

Il 15 giugno del Duemila prende parte ai festeggiamenti per gli ottant’anni di Alberto Sordi, mentre il 24 giugno, assieme ad altri colleghi, festeggia la sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico per la consegna dei Globi d’Oro a Cinecittà. A dicembre del Duemila nella basilica di San Pietro in Vaticano, celebra il Giubileo, assieme a molti personaggi del mondo dello spettacolo. Nell’aprile 2001 viene ricevuta al Quirinale assieme ai premiati del David di Donatello. Sempre nello stesso mese, partecipa alla convention de L’Ulivo insieme al marito Roberto Russo.



Già allontanatasi dalle scene da diverso tempo e prima di ritirarsi definitivamente a vita privata, a causa delle sue condizioni di salute, si mostra al pubblico per l’ultima volta nel marzo del 2002, alla prima teatrale italiana di Notre-Dame de Paris. Nello stesso periodo concede anche l’ultima intervista. Verrà immortalata dai fotografi per le ultime volte, dapprima in giro per le vie di Roma e poi a Sabaudia, in compagnia del marito.

La malattia

Attualmente, la mattia di Monica Vitti continua ad essere un mistero, la grande attrice è, infatti, affetta da una malattia degenerativa che l’ha portata a l’ha portata lontano dalle scene e costretta ad essere ricoverata in una clinica privata. Da anni l’artista si trova in Svizzera, in una clinica specializzata nella cura delle malattie degenerative, dove viene sottoposta alle cure di specialisti e dove riceve le visite del marito Roberto Russo e di pochi parenti stretti.



A scegliere di essere ricoverata nel più stretto riserbo, sarebbe stata proprio Monica Vitti, una volta scoperta la malattia che la stava divorando. Le ultime apparizioni dell’attrice risalgono agli anni Duemila, quando decise di sposare Roberto Russo dopo 27 anni di fidanzamento. Da allora la malattia sempre più l’ha spinta ad allontanarsi dalle scene e a vivere il suo dolore nel privato.

Vita privata


Monica Vitti e Roberto Russo.

Ha avuto tre relazioni importanti: la prima con il regista Michelangelo Antonioni, poi con il direttore della fotografia Carlo Di Palma ed infine Roberto Russo, fotografo di scena e regista. Quest’ultimo lo ha sposato nel 2000, dopo un fidanzamento lungo ben 27 anni.

La morte di Monica Vitti

Monica Vitti è morta, mercoledì 2 febbraio, all’età di 90 anni. “Roberto Russo, il suo compagno di questi anni, mi chiede di comunicare che Monica Vitti non c’è più. Lo faccio con grande dolore, affetto, rimpianto”, ha scritto Walter Veltroni sui social.

Com’è morta Monica Vitti: la malattia

Il suo compagno Roberto Russo, che le è stato accanto negli ultimi anni di malattia tipo Alzheimer, aveva raccontato così le sue condizioni: “Le preparerò una torta con una candelina simbolica e insieme passeremo una delle tante giornate che abbiamo condiviso — dice Russo — Ci conosciamo da 47 anni, nel 2000 ci siamo sposati in Campidoglio e prima della malattia, le ultime uscite sono state alla prima di Notre Dame de Paris e per il compleanno di Sordi.

Ora da quasi 20 anni le sto accanto e voglio smentire che Monica si trovi in una clinica svizzera, come si diceva: lei è sempre stata qui a casa a Roma con una badante e con me ed è la mia presenza che fa la differenza per il dialogo che riesco a stabilire con i suoi occhi, non è vero che Monica viva isolata, fuori dalla realtà”.

Chi era Monica Vitti: la vita e il cambio di nome

Nata a Roma da padre romano, Angelo Ceciarelli, e da madre bolognese, Adele Vittiglia, da bambina ha vissuto a Messina per circa otto anni a causa del lavoro del padre, un Ispettore del Commercio Estero. In quel periodo fu soprannominata scherzosamente dai familiari “setti vistìni”, per via della sua freddolosità che la portava a indossare i vestiti l’uno sull’altro. Sette sottane, traduzione del nomignolo infantile, diventò poi il titolo del suo primo libro autobiografico, edito nel 1993, seguito da Il letto è una rosa (1995). Scoprì la passione per il teatro durante la guerra, mentre – racconta lei stessa – giocava con i burattini dilettando i fratelli, distraendoli così da un periodo molto buio.

Nel 1953 si diplomò all’Accademia nazionale d’arte drammatica, allora diretta dal suo maestro Silvio D’Amico e intraprese quella che sarà una breve ma formativa attività teatrale, in cui diede prova della sua versatilità recitando in Shakespeare e Molière. Particolarmente significativa fu la sua esperienza accanto a Sergio Tofano – suo insegnante in Accademia – negli allestimenti delle commedie sul personaggio di Bonaventura, firmate dallo stesso Tofano con lo pseudonimo “Sto”; qui offrirà le sue prime prove di versatilità nella comicità, che contraddistinguerà gran parte della sua carriera.
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